Questo lavoro evidenzia come le differenze individuali nella regolazione delle emozioni possano precedere lo sviluppo di un Disturbo da Uso di Sostanze, e possano quindi essere concettualizzate come un fattore di rischio che predice l’insorgenza della malattia.
Pamela Filiberto – OPEN SCHOOL Psicoterapia Cognitiva e Ricerca Mestre
Il Disturbo da Uso di Sostanze è frequentemente associato a deficit nella regolazione delle emozioni. La domanda che gli studi spesso si sono posti è: “Questi deficit precedono lo sviluppo del disturbo, in modo che possano essere considerati un fattore di rischio?” La risposta sembra essere di sì.
A partire dai classici esperimenti del “test del marshmallow” negli anni ’60 di Mischel e colleghi, l’ipotesi che è stata proposta dai ricercatori consiste nel considerare la capacità di ritardare la gratificazione, e di regolare uno stato affettivo come il desiderio, un elemento cruciale nel determinare le traiettorie di sviluppo dei bambini (Mischel, Ayduk, Berman, Casey, Gotlib, et al., 2011). In questi studi sperimentali ormai famosi, ai bambini in età prescolare veniva presentato un dolcetto gustoso e veniva detto loro che potevano mangiarlo subito o, in alternativa, ricevere due dolcetti in un secondo momento, se fossero riusciti ad aspettare e, quindi, ritardare la gratificazione. Nella descrizione dell’esperimento, Mischel riferisce che i bambini differiscono nella loro capacità di ritardare la gratificazione, che va dal non essere assolutamente in grado di aspettare, all’aspettare tutto il tempo previsto dallo sperimentatore (utilizzando anche una varietà di strategie spontanee per rendere più tollerabile l’attesa). Successivamente Mischel (2011) ha riferito che i bambini in età prescolare che sono stati in grado di ritardare la gratificazione più a lungo (aspettando una ricompensa più grande piuttosto che cedere immediatamente alla ricompensa più piccola) in seguito hanno ottenuto punteggi più alti ai test accademici, hanno avuto un migliore adattamento socio-cognitivo ed emotivo durante l’adolescenza e, cosa importante, avevano meno probabilità di usare sostanze come, in particolare, cocaina in età adulta. Questo lavoro evidenzia come le differenze individuali nella regolazione delle emozioni possano precedere lo sviluppo di un Disturbo da Uso di Sostanze, e possano quindi essere concettualizzate come un fattore di rischio che predice l’insorgenza della malattia.
Negli anni successivi alla pubblicazione del lavoro di Mischel e colleghi, sono stati raccolti altri dati sperimentali che suggeriscono come lo scarso autocontrollo in età infantile possa effettivamente essere un fattore di rischio per l’uso di sostanze e l’insorgenza di un Disturbo da Uso di Sostanze in età adulta. Per esempio, Moffitt e colleghi (2011) hanno seguito 1.000 bambini dalla nascita ai 32 anni. Durante l’infanzia, i partecipanti sono stati valutati su varie misure di autocontrollo relative alla regolazione delle emozioni, tra cui labilità emotiva, tolleranza alla frustrazione e persistenza. Gli autori riferiscono che le differenze individuali nella capacità di autocontrollo erano significativamente predittive degli esiti di salute in età adulta, tra cui l’uso e la dipendenza da sostanze, fino a 30 anni dopo.
La Disregolazione delle Emozioni
La Disregolazione delle Emozioni è un costrutto multidimensionale, che descrive l’incapacità dell’individuo di controllare o modulare gli stati emotivi (Gratz & Roemer, 2004), e rappresenta un fattore transdiagnostico per molte psicopatologie.
Diversi modelli esplicativi del Disturbo da Uso di Sostanze considerano la Disregolazione delle Emozioni come una caratteristica implicata nell’uso continuativo di sostanze e uno degli elementi responsabili delle ricadute, giocando quindi un ruolo significativo sia come fattore di rischio precoce (Moffitt et al., 2011) che come fattore di mantenimento (Kober e Gross, 2014). Ad esempio, il Modello di Prevenzione delle Ricadute (Marlatt & Witkiewitz, 2005), il Modello del Rinforzo Negativo (Baker, Piper, McCarthy, Majeskie, & Fiore, 2004), e il Modello del Self Medication (Khantzian, 1985), tra gli altri, chiamano direttamente in causa il processo di regolazione carente come motivo chiave e primario nella spiegazione di un uso problematico di sostanze e della ricaduta.
Spesso i consumatori di sostanze sviluppano aspettative positive riguardo l’uso, per esempio “se bevo, mi sentirò bene”, che sono associate a un maggiore utilizzo e a un maggiore rischio di sviluppare un vero e proprio disturbo (Jones, Corbin, & Fromme, 2001). Oltre alle aspettative riguardo alle emozioni positive, diverse sostanze sono associate a un decremento degli stati emotivi negativi, come l’ansia con l’alcol e i farmaci ansiolitici, la tristezza e la depressione con gli stimolanti come la cocaina e le anfetamine, il dolore con l’eroina, la morfina e altri oppiacei sintetici. In considerazione di ciò, è stato proposto che gli effetti di riduzione dell’Affettività Negativa da parte delle sostanze funzionino da rinforzo negativo, aumentando così la probabilità di un successivo utilizzo (Koob & Le Moal, 2008).
Questa idea è stata inizialmente resa popolare dal Modello del Self Medication proposto da Khantzian (1985), caratterizzato da due componenti principali: (1) gli stati affettivi spiacevoli predispongono gli individui all’uso di sostanze, e (2) quelli con una particolare predisposizione agli stati affettivi negativi hanno maggiori probabilità di sviluppare un Disturbo da Uso di Sostanze verso una sostanza in grado di invertire su quei particolari stati affettivi.
Sebbene l’ipotesi dell’automedicazione sia stata messa in discussione, diverse linee di ricerca supportano l’ipotesi che l’uso di sostanze serva a regolare l’affettività negativa. In primo luogo, il Disturbo da Uso di Sostanze frequentemente co-occorre con una serie di altri disturbi psichiatrici, in particolare i disturbi dell’umore e dell’ansia. Inoltre, le diagnosi psichiatriche preesistenti aumentano la probabilità che un individuo sviluppi successivamente un Disturbo da Uso di Sostanze (Kessler et al., 2005). In secondo luogo, le persone con dolore cronico sembrano avere molte più probabilità di sviluppare Disturbo da Uso di Sostanze rispetto alla popolazione generale, soprattutto per quanto riguarda i farmaci antidolorifici come gli oppiacei (Morasco et al., 2011). In terzo luogo, anche livelli tipici di affettività negativa sono correlati all’uso di droghe. Per esempio, i livelli di rabbia e ansia di tratto sono correlati al desiderio di bere negli alcolisti (Litt, Cooney, & Morse, 2000). Infine, gli stati affettivi negativi possono essere considerati alcuni dei fattori scatenanti del craving nel contesto d’uso sia occasionale che problematico di sostanze.
L’Intolleranza all’Incertezza
L’Intolleranza all’Incertezza è definita come “la capacità dispositiva di un individuo di sopportare la reazione avversa innescata dalla assenza percepita di informazioni chiave e sufficienti, e sostenuta dalla percezione associata di incertezza” (Carleton, 2016) e, in maniera simile alla Disregolazione delle Emozioni, è considerata un fattore di vulnerabilità transdiagnostica per diversi disturbi emotivi.
In circostanze incerte, le persone con un alto livello di intolleranza all’incertezza sperimentano pensieri ed emozioni negative che le spingono a mettere in atto comportamenti che portano alla riduzione dell’incertezza. Le persone intolleranti all’incertezza sono inclini a sperimentare difficoltà nell’identificare quali emozioni provano, e tendono a interpretare con ambiguità le emozioni come fastidiose e indesiderabili. L’intolleranza all’incertezza potrebbe inoltre promuovere un comportamento impulsivo in risposta all’incertezza: a lungo termine, la cessazione immediata dell’incertezza e del relativo disagio potrebbe rafforzare strategie di coping impulsivo e le stesse credenze di intolleranza.
Per quanto riguarda la relazione tra Intolleranza all’Incertezza e l’uso di sostanze per regolare le emozioni, Kraemer et al. (2015) e Oglesby et al. (2015) hanno indagato l’associazione tra Intolleranza all’Incertezza e i motivi dell’uso di alcol in laureati non clinici; entrambi gli studi hanno mostrato che l’Intolleranza all’Incertezza prediceva il bere come modalità per gestire o evitare emozioni negative.
Garami et al. (2017) hanno scoperto che i pazienti dipendenti da oppioidi, sottoposti a terapia di mantenimento con metadone, avevano un tasso di Intolleranza all’Incertezza più elevato rispetto agli individui non clinici.
In conclusione, l’uso problematico di sostanze e il Disturbo da Uso di Sostanze potrebbe essere considerato una strategia di coping maladattivo che ha lo scopo di ridurre l’affettività negativa in assenza di strategie di regolazione delle emozioni più adeguate. L’approccio della CBT consente di incrementare le abilità di riconoscimento e padroneggiamento dell’esperienza emotiva soggettiva attraverso una serie di tecniche cognitive e comportamentali di comprovata efficacia, come il dialogo socratico, l’automonitoraggio, le tecniche di distrazione, gli esperimenti comportamentali, la gestione delle contingenze, il monitoraggio delle attività.