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Il concetto di olobionte umano-microbiota e l’effetto imbuto dei telomeri

Il termine olobionte descrive un organismo caratterizzato dalla convivenza simbiotica di agenti biologici che non condividono lo stesso DNA

Di Massimo Agnoletti

Pubblicato il 14 Ott. 2021

Il concetto di olobionte implica una mente umana quale sistema integrato che, non solo cerca di soddisfare le teleonomie bio-psico-sociali implementate dal DNA della specie umana, ma include anche le teleonomie dell’ecosistema.

 

Il settore scientifico del microbiota ha fatto emergere la necessità di introdurre il concetto di olobionte mentre la scienza dei telomeri ha evidenziato la natura convergente di molti aspetti psicofisici umani. La mente, in questo scenario complesso, assume un ruolo nuovo di mediatore tra esigenze bio-psico-sociali umane e degli altri microorganismi che ospitiamo.

Abstract

L’epigenetica e lo studio del microbiota supportano il concetto di olobionte cioè di organizzazione formata da un ecosistema di agenti biologici che non condividono il medesimo DNA, ma che interagiscono simbioticamente al fine di massimizzare la fitness dell’unità globale. In questo contesto la velocità di consumo dei telomeri, le strutture cromosomiche che determinano la nostra longevità e qualità di vita complessiva, assumono un significato nuovo e ancora più complesso. Mentre il concetto relativo l’“effetto imbuto” (detto anche “a collo di bottiglia”) dei telomeri ben rappresenta la dinamica estremamente convergente ed in parte indipendente delle teleonomie umane e non, la mente assume il ruolo di spazio in cui queste eterogenee teleonomie convergono in maniera integrata per essere negoziate all’interno dei processi decisionali umani.

Il microbiota

Sulla nostra pelle, all’interno della nostra bocca e delle vie respiratorie, ma soprattutto nell’intestino, il complesso ecosistema di microorganismi con un DNA diverso dal nostro chiamato microbiota svolge un ruolo fondamentale ed indispensabile per la nostra salute e la nostra sopravvivenza.

Seppur largamente sottostimato fino a pochi anni fa anche dalle scienze biomediche, oggi sappiamo finalmente che dalle funzioni digestive a quelle metaboliche o immunitarie, il microbiota è essenziale per il funzionamento del nostro organismo sia nei suoi aspetti più strettamente fisiologici che psicologici.

Il ruolo e l’impatto del microbiota, ossia l’insieme di microorganismi (batteri, virus e funghi) che coabitano con le nostre cellule, finora non ha mai trovato il suo reale spazio logico perché fino a pochi anni fa era considerato solo come un insieme di agenti biologici tollerati dal nostro organismo, ma che parassitavano le cellule umane senza apportare alcun beneficio.

Attualmente, in considerazione delle conoscenze emerse dal settore del microbiota, occorre cambiare paradigma per incorporare le teleonomie espresse da questo vasto ecosistema che vive in simbiosi con le cellule umane, soprattutto perché siamo sempre più coscienti che la loro interazione con le teleonomie bio-psico-sociali che caratterizzano la specie umana è fondamentale ed imprescindibile (Agnoletti, 2021a).

Il microbiota risulta indispensabile per capire l’eziologia di molte problematiche di natura sia fisiologica (si veda ad esempio la celiachia, l’obesità o la colite ulcerosa) che psicologica come l’ansia, la depressione e molte psicopatologie quali l’autismo, la schizofrenia, etc. (Caio et al., 2019; Cheung et al., 2019; Kelly et al. 2016; Li & Zhou, 2016; Foster & McVey Neufeld; 2013; Garrett et al. 2007; Koenig et al., 2011; Mangiola et al., 2016; Ottman et al., 2012; Rodrigues-Amorim et al., 2018; Sharon et al., 2019; Simpson et al., 2021).

Questa considerazione comporta dei cambiamenti piuttosto radicali dei paradigmi delle scienze biomediche e psicologiche perché aumentano notevolmente la complessità dei fenomeni da analizzare, anche se offre contemporaneamente tutta una serie originale di processi esplicativi finora mai considerati scientificamente (Agnoletti, 2021b; Agnoletti, 2021c).

L’olobionte

In passato, anche prima di quella che viene attualmente chiamata “microbiota revolution” per il suo forte impatto sulle scienze biomediche, alcuni biologi evoluzionisti e microbiologi avevano già sentito l’esigenza di parlare di “olobionte”, per meglio descrivere un organismo caratterizzato dalla convivenza simbiotica di agenti biologici che non condividono lo stesso DNA.

La famosa biologa Lynn Margulis propose in passato la teoria dell’endosimbiosi in riferimento soprattutto a strutture biologiche intracellulari (si veda ad esempio il ruolo dei mitocondri), introducendo anche il concetto di olobionte come entità in cui vari organismi cellulari che non possiedono lo stesso DNA condividono una prossimità spaziale e funzionale, pur mantenendo una propria autonomia cellulare (non si trovano cioè all’interno della stessa cellula come nel caso dell’endosimbiosi).

Il concetto di olobionte implica necessariamente una mente umana quale sistema integrato che, non solo cerca di soddisfare le teleonomie bio-psico-sociali implementate dal DNA della specie umana, ma include anche le teleonomie dell’ecosistema rappresentato dall’insieme di microorganismi del microbiota che non condividono il nostro DNA ma che globalmente possiamo considerare all’interno un’unità olobiontica (Agnoletti, 2021b).

Un esempio pratico di questa interazione complessa e bidirezionale può essere rappresentato dal fatto che, ad esempio, una corretta quantità di serotonina o dopamina può non essere sintetizzata in una situazione disbiotica (di perdita cioè dell’equilibrio stabilito nel microbiota) con tutte le conseguenze esperienziali, motivazionali ed emotive del caso, così come la consapevolezza di alcune conoscenze riguardo gli stessi argomenti di questo scritto può condurre a decidere di alimentarsi in una maniera favorevole al ristabilirsi di una situazione eubiotica (in cui si recupera l’equilibrio all’interno del microbiota introducendo il Lactobacillus Rhamnosus) riportando quindi vantaggi anche a livello psicologico.

È chiaro quindi che il ripristinare un certo tipo di benessere psicologico passi inevitabilmente dal considerare e favorire la teleonomia di alcuni ceppi specifici di batteri, decidendo di effettuare delle scelte alimentari (intervenendo quindi a livello mentale) favorevoli la loro proliferazione.

La transizione da una teleonomia all’altra (rispettivamente da quella biologica di specie microbiotiche a quella biologica umana a quella psicologica e culturale e “ritorno”) è necessaria, in questo esempio, per descrivere la dinamica complessiva del fenomeno.

Il legame tra olobionte e telomeri

Se da una parte il microbiota richiama il concetto di olobionte implicando una visione della mente quale dominio dove le varie teleonomie convergono per essere continuamente negoziate al fine di ottimizzare la fitness complessiva, l’altrettanto recente scienza dei telomeri ci offre un punto di vista diverso e sotto certi aspetti ancora più sfidante, perché rappresenta un altro luogo dove convergono tutte queste teleonomie.

In estrema sintesi i telomeri sono il nostro orologio biologico perché la loro lunghezza determina la nostra aspettativa di vita residua nel senso che la lunghezza assoluta di queste strutture molecolari che si trovano sulle estremità terminali dei nostri cromosomi definiscono la nostra longevità e, di conseguenza, la nostra probabilità di sviluppare problematiche e malattie legate all’invecchiamento cellulare.

La letteratura esistente relativa alla scienza dei telomeri evidenzia che diversi fattori incidono quantitativamente sulla dinamica che determina l’attivazione degli enzimi della telomerasi (gli enzimi responsabili della ricostruzione strutturale dei telomeri stessi).

Queste “macchinette” biologiche sono deputate a ricostruire i telomeri contrastando, almeno in parte, il fisiologico consumo e quindi l’invecchiamento globale cellulare e dell’intero organismo.

Più è efficace il lavoro di manutenzione fatto sugli stessi telomeri per opera della telomerasi, più lunga è la vita residua della cellula e migliore sarà la sua fitness globale.

Per la stessa logica, minore è la lunghezza assoluta dei telomeri, più la cellula tenderà ad avere problemi d’invecchiamento fino al punto limite in cui i telomeri, non riuscendo più a soddisfare il loro ruolo strutturale nei confronti del resto del cromosoma, avviano il processo di disgregazione decretando il declino irreversibile di tutta la struttura e la funzione cellulare (Andrews & Cornell, 2017; Blackburn, 2010).

Dopo una certa soglia specifica, pari a circa 5000 basi azotate, l’accorciamento telomerico predispone quindi a molte malattie di natura cardiocircolatoria, immunitaria ed oncologica (Prinz, 2011).

L’invecchiamento cellulare determinato dalla lunghezza dei telomeri ha quindi una proprietà plastica “esperienza dipendente” nel senso che può essere accelerato o rallentato in base alla tipologia di esperienza epigenetica che influenza l’attività della telomerasi e, in ultima analisi, della lunghezza assoluta dei telomeri.

I fattori responsabili dell’accelerazione od il rallentamento dell’attività della telomerasi, e quindi dell’invecchiamento cellulare, sono stati ben identificati dalla letteratura scientifica.

La nutrizione, l’attività motoria, la qualità del sonno, della rete sociale che percepiamo ed il benessere psicologico, contribuiscono tutti a modificare l’attività della telomerasi (in senso positivo o negativo) influenzando in ultima analisi la lunghezza assoluta dei telomeri.

In altre parole gli aspetti psicologici, motori, del sonno, nutrizionali e relativi le relazioni sociali hanno la medesima capacità di modificare le dinamiche della telomerasi e quindi della lunghezza assoluta dei telomeri determinando la longevità potenziale residua dell’organismo intero.

Tutti questi fattori sociologici, psicologici, fisiologici, nutrizionali e motori, con le loro rispettive teleonomie, “bersagliano” quindi in maniera convergente ed almeno in parte indipendente i telomeri perché tutte queste “esperienze” epigenetiche vengono “tradotte” in codici biologici che si esprimono, in ultima analisi, in termini di attività della telomerasi.

Quanto appena descritto sottolinea chiaramente la natura almeno in parte indipendente e convergente che coinvolge molti livelli delle nostre teleonomie bio-psico-sociali e che hanno importanti implicazioni pratiche relative il nostro benessere psicofisico (Agnoletti, 2018a; Agnoletti, 2018b).

Ho chiamato “effetto imbuto” o “effetto collo di bottiglia” telomerico questa dinamica dei telomeri appunto per descrivere l’evidente convergenza di molti processi parzialmente indipendenti, che influenzano l’attività della telomerasi, determinando cambiamenti nella longevità e nella qualità di vita cellulare.

Le implicazioni, anche cliniche, di questo concetto sono rilevanti per quanto riguarda il benessere psicofisico e la salute umana e rappresentano un cambiamento piuttosto radicale rispetto gli standard applicati attualmente (Agnoletti, 2018b; Agnoletti, 2019).

Nel contesto descritto precedentemente, che prevede il concetto di olobionte caratterizzato dalla convivenza di teleonomie umane e relative i microorganismi del microbiota, il livello d’analisi dei telomeri rappresenta uno spazio particolare dove il grado di negoziazione tra queste diverse teleonomie viene in qualche modo sintetizzato sia attraverso l’attività della telomerasi che attraverso la lunghezza totale dei telomeri.

Risulta particolarmente importante sottolineare il fatto che questo livello di analisi è oggettivo e già misurabile in maniera sufficientemente affidabile, anche se è prevedibile che nel prossimo futuro si svilupperà una ancora maggiore precisione ed affidabilità.

Quindi riassumendo abbiamo uno spazio mentale (conscio e non), dove le teleonomie umane e non umane si incontrano per essere negoziate globalmente all’interno dei processi decisionali che dirigono i nostri comportamenti, ed uno spazio rappresentato dai telomeri, dove queste scelte vengono sostanziate in termini di fitness biologica di tutte queste scelte globali.

Lo spazio psicologico umano è il dominio caratterizzato dall’incontro dell’oggettività e della soggettività, dall’incontro delle dinamiche che caratterizzano la nostra specie, così come le particolarità individuali derivanti dalla nostra storia personale in tutti i suoi aspetti bio-psico-sociali.

Lo spazio dei telomeri è un luogo biologico, oggettivabile, perché definito da una natura digitale, e quindi misurabile, in cui convergono tutte le dinamiche dello spazio psicologico espresse in comportamenti psico-neuro-endocrino-immunologici.

Il nostro concetto di benessere psicofisico non può ormai prescindere da questi macro concetti che la scienza ha identificato, e che ho provato a descrivere sinteticamente in questo testo, perché la consapevolezza delle loro dinamiche si declina in aspetti pratici sia per i professionisti del benessere (nel modo di supportare i loro assistiti) sia per tutte le persone che vogliono migliorare la propria salute e la loro qualità di vita.

 

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