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Quando la malattia mentale colpisce gli psicoterapeuti: un limite o una risorsa?

La malattia mentale colpisce gli psicoterapeuti proprio come il resto della popolazione, con aspetti di sfida ma anche punti di forza aggiuntivi

Di Dominique De Filippis

Pubblicato il 12 Ott. 2021

Aggiornato il 15 Ott. 2021 13:34

La malattia mentale, al pari di qualsiasi altra forma di malattia, può colpire chiunque, compresi i professionisti della salute mentale.

 

Prevalenza della malattia mentale tra i terapeuti

Tuttavia, pochi studi si sono proposti di valutare la prevalenza delle diagnosi di malattia mentale tra i terapeuti, ma gli attuali dati suggeriscono che un numero significativo di professionisti è affetto da una malattia mentale e/o ha cercato una terapia per sé stesso. Uno studio che ha coinvolto 264 psicoterapeuti, ad esempio, ha mostrato che il 57% dei terapeuti ha avuto episodi depressivi, l’11% ha ammesso di aver avuto problemi di tossicodipendenza e il 2% ha dichiarato di aver tentato il suicidio (Deutsch, 1985).

Ulteriormente, una ricerca condotta su un campione di 727 psicoterapeuti ha mostrato che l’84% del campione era stato in terapia almeno una volta nella vita con differenti motivazioni, tra cui problemi coniugali (20%), depressione (13%) e ansia o stress (10%; Bike, Norcross, & Schatz, 2009). In effetti, andare in terapia è così comune tra gli psicoterapeuti che coloro che non l’hanno fatto potrebbero essere in minoranza (Orlinsky et al., 2011).

Stigma verso la malattia mentale

Lo stigma verso le persone con malattia mentale si riferisce alla condivisione di stereotipi negativi e pregiudizi che rafforzano la discriminazione o comportamenti scorretti verso lo stigmatizzato (Corrigan, 2005). Paradossalmente, la ricerca ha dimostrato che alcuni professionisti della salute mentale nutrono atteggiamenti negativi verso le persone con malattia mentale (Henderson et al., 2014). In particolar modo, si è visto come i suddetti atteggiamenti possano variare a seconda della diagnosi psichiatrica. Per esempio, alcuni psicoterapeuti preferiscono astenersi dal lavorare con pazienti schizofrenici (Nordt et al., 2006) o con clienti affetti da un disturbo borderline di personalità (Black et al., 2011).

Ulteriormente, alcune ricerche hanno mostrano che, talvolta, i professionisti della salute mentale accettano di prendere in carico alcuni pazienti e allo stesso tempo, però, giudicano i colleghi che presentano i medesimi disturbi (Zerubavel & Wright, 2012).

Esistono, però, dei potenziali benefici per i terapeuti che hanno vissuto l’esperienza della malattia mentale: difatti, un’esperienza di recupero e di remissione dai sintomi può essere una risorsa sul lavoro (Zerubavel & Wright, 2012). L’autoconsapevolezza può permettere ai terapeuti di comprendere le esperienze dei loro clienti e promuovere la loro guarigione (Hayes, 2002).

Allo stesso tempo, la malattia mentale da cui sono affetti alcuni professionisti può interferire con la loro capacità di praticare la psicoterapia, ad esempio ostacolando la loro capacità di concentrazione (Gilroy et al., 2002).

In sintesi, le malattie mentali colpiscono i professionisti della salute mentale proprio come accade per il resto della popolazione.

Malattia mentale tra i terapeuti: uno studio

Uno studio preso in esame si è proposto di intervistare 12 terapeuti affetti da una malattia mentale. Gli autori hanno riportato come lo scopo originale dello studio fosse quello di “dare voce agli individui che esercitano un ruolo rilevante nella società e che, allo stesso tempo, affrontano i sintomi e lo stigma della loro malattia”.

Le interviste hanno incluso domande sulla salute mentale degli individui, sulla loro carriera, sulle esperienze di esposizione a pregiudizi e discriminazioni, le tendenze a rivelare o nascondere le loro malattie mentali dentro e fuori dal lavoro. Inoltre, ai terapeuti è stato chiesto di discutere come la loro malattia mentale avesse influito sulla loro capacità di trattare i pazienti in terapia.

Rispetto all’esposizione al pregiudizio e alla discriminazione verso le persone con malattia mentale da parte di altri terapeuti, l’esperienza più comune è stata il pregiudizio indiretto, che aveva comportato l’aver sentito altri professionisti esprimere commenti denigratori nei confronti delle persone con malattie mentali. Il pregiudizio diretto e, dunque, esplicito e la discriminazione sono stati relativamente rari, in parte perché si basavano sul fatto che i terapeuti avessero deciso di condividere la loro malattia mentale, ma molti si sono mostrati restii alla condivisione. Solo due terapeuti hanno riportato di essersi aperti con i loro colleghi, la maggior parte ha scelto di condividere solo alcune informazioni, mentre due si sono mostrati completamente riservati. Si trattava di due uomini con posizioni di rilievo, che avevano effettuato la diagnosi autonomamente. Entrambi erano preoccupati di come la divulgazione avrebbe potuto influenzare la loro carriera e temevano che i colleghi avrebbero messo in dubbio la loro idoneità alla pratica professionale.

Indipendentemente dal fatto che i terapeuti fossero aperti con i loro pazienti sulla loro malattia mentale, la condividessero in circostanze specifiche, o non ne avessero mai parlato, 11 dei 12 terapeuti hanno sottolineato come la loro malattia mentale fosse una risorsa preziosa sul lavoro.

Alcuni hanno sottolineato come l’essere affetti da una malattia mentale li avesse aiutati a vedere i loro pazienti come esseri umani, con tutte le capacità necessarie per recuperare e avere successo. I terapeuti hanno spiegato come l’aver vissuto l’esperienza della malattia mentale li abbia aiutati a comprendere il dolore dei loro clienti ma, allo stesso tempo, gli intervistati hanno anche riferito come l’empatia a volte fosse problematica. “Mi immedesimo troppo perché lo capisco”, ha riportato una professionista, “spesso mi sono sentita sopraffatta dalle emozioni e tuttavia è stato molto soddisfacente, perché in parte sentivo di prendermi cura anche di me stessa”.

Conclusioni

Quanto appena esposto mette in luce come gli psicoterapeuti non siano immuni alle malattie mentali e come talvolta essi siano i primi ad essere giudicanti nei confronti di certi temi. Secondo gli autori, i terapeuti affetti da malattie mentali dovrebbero essere consapevoli di non essere soli e di come altri professionisti descrivano la loro malattia come una risorsa.

Per questo motivo, gli autori sottolineano la necessità di programmi di intervento che includano una discussione aperta sulle preoccupazioni dei soggetti, l’analisi dell’impatto della malattia mentale sulla competenza professionale e delle conseguenze derivanti dallo stigma. Tale intervento potrebbe ridurre la necessità di segretezza, permettendo ai terapeuti di essere più consapevoli dei loro punti di forza e delle sfide personali e professionali che potrebbero incontrare sul loro cammino. Inoltre, secondo gli autori, il programma renderebbe i professionisti attivi nella lotta al pregiudizio, per il bene dei loro clienti e di loro stessi.

 

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