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I costi sociali/mentali dello smart working

L'incremento dello smart working su scala mondiale ha implicato vantaggi in termini pratici, ma allo stesso tempo costi sociali e/o mentali non indifferenti

Di Arianna Belloli

Pubblicato il 10 Set. 2021

Durante la pandemia di COVID-19, il numero di lavoratori in smart working è aumentato del 69% in Italia.

 

Il contesto di lockdown, indotto dai governi a seguito della pandemia di COVID-19, ha radicalmente rivoluzionato la socialità e l’attività lavorativa a partire dal primo trimestre del 2020. Per ridurre al minimo il contatto fisico tra gli individui e prevenire ulteriori contagi, molte aziende hanno implementato lo smart working, ‘lavoro mobile’: una modalità lavorativa che permettere di svolgere la medesima professione, senza il vincolo della presenza fisica sul luogo lavorativo, tramite il supporto di specifiche piattaforme tecnologiche (Moretti, 2020).

L’espressione smart working ha iniziato a entrare in auge come mai prima d’ora nel corso della storia. Durante la pandemia di COVID-19, il numero di lavoratori a distanza è aumentato del 69% in Italia, mentre è stato stimato che circa l’81% della forza lavoro mondiale sia stata interessata dai cambiamenti della modalità lavorativa (Savić, 2020). Tale mutamento dello scenario lavorativo su scala mondiale ha inevitabilmente implicato dei vantaggi in termini pratici, ma allo stesso tempo ha generato costi sociali e/o mentali non indifferenti. Considerando che per la maggior parte dei lavoratori è stata la prima esperienza da remoto, tra i fattori positivi di natura pratica è possibile individuale i seguenti: tempi e costi ridotti per gli spostamenti (specialmente per il pendolarismo), minore stanchezza fisica, migliore equilibrio tra lavoro e vita privata e maggiore controllo sugli orari (Savić, 2020). Un ulteriore fattore positivo, per alcuni lavoratori, concerne la possibilità di potersi prendere maggiormente cura dei figli e di eventuali famigliari con complicanze mediche che richiedono un trattamento mirato; a discapito, però, di minor tempo a disposizione per attività di svago personale (Nakrošienė et al., 2019). In merito agli svantaggi sociali, invece, è stato possibile individuare i seguenti: difficoltà a monitorare le prestazioni, ostacoli comunicativi, assenza di un confine di demarcazione netto tra sfera domestica e lavorativa e complicanze a carico della vista e della colonna vertebrale a causa delle tempistiche protratte dinnanzi al computer (Moretti, 2020).

Focalizzando l’attenzione su questo ultimo punto, è possibile comprendere quanto l’ambiente domestico rischi di essere ostacolante sotto molteplici aspetti, rispetto al luogo di lavoro canonico. In particolare, l’assenza di mobili da ufficio ergonomici a casa (sedia da cucina convenzionale a quattro gambe non regolabile in altezza, monitor non regolabile in altezza, assenza di poggiapiedi) può impedire l’adozione di una postura sana e può favorire l’insorgenza di disturbi muscoloscheletrici (Pillastrini et al., 2010; Will, Bury & Miller, 2018). Lavorare, infatti, in posizione sedentaria per periodi prolungati aumenta il rischio di dolore al collo e/o lombalgia (Baker et al., 2018). In merito all’associazione tra l’aumento dell’uso del computer e il dolore al collo correlato al lavoro, non è chiaro se si tratti di una relazione causale, considerando la complessa eziologia del dolore al collo che comprende l’interrelazione tra fattori fisici, psicologici e ambientali (Wahlström et al., 2004).

Focalizzandosi, invece, sui costi mentali è stato possibile registrare un incremento di ansia, alterazioni del sonno e dell’alimentazione, tendenza all’isolamento e quadri sintomatologici riconducibili al Burnout, che inevitabilmente inficiano l’efficacia lavorativa, il benessere psicofisico e l’equilibrio tra lavoro e vita privata. È stata, inoltre, riscontrata tra le conseguenze avverse dello smart working una maggiore irritabilità nei lavoratori, fortemente associata all’isolamento sociale e all’impossibilità di condividere difficoltà di vario genere sul lavoro e di trovare possibili soluzioni con i colleghi (APA, 2020). L’isolamento sociale forzato, unito a una marcata riduzione dell’attività fisica all’aria aperta e in strutture apposite, potrebbe anche implicare conseguenze avverse sulla salute sia fisica, sia mentale; pertanto, il lavoro a distanza sembra essere associato a un aumento del rischio di problematiche di natura psicofisica (Fana, Pérez & Fernández-Macías, 2020).

La variabile ‘produttività’ è quella che più tra tutte ha registrato risultati discordanti tra i vari studi condotti a riguardo: l’ipo-produttività può essere ricondotta alla presenza di maggiori distrazioni nell’ambiente domestico e alla ridotta interazione con i colleghi, mentre l’iper-produttività può essere spiegata da un decremento di fattori stressogeni, come ad esempio la riduzione delle tempistiche di spostamento (Moretti et al., 2020). Nonostante la ricerca si sia occupata di questa tematica estremamente attuale in maniera massiva, lo stato dell’arte di tale filone di ricerca si colloca ancora ad uno stadio preliminare, che necessita di molteplici approfondimenti e studi. Sono, infatti, necessari ulteriori ricerche con cospicue numerosità campionarie e basate su archi temporali estesi, in modo tale da permettere una maggiore generalizzabilità dei risultati su ampia scala (Moretti et al., 2020).

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