Il singolo di Vasco Brondi Nel Profondo Veneto racconta delle incertezze di una ragazza veneta che si trasferisce a Milano ed è un inno all’arte dell’accontentarsi.
Nel Profondo Veneto è un brano che fa parte dell’album Terra, di Vasco Brondi (alias Le Luci della Centrale Elettrica), uscito nel 2017. L’album tratta diversi temi, il cui filo conduttore è quel pianeta, chiamato appunto Terra “anche se come noi è quasi soltanto acqua”, come ricorda in uno dei più apprezzati brani del disco dal titolo profetico, Coprifuoco. Il disco è riuscito ad entrare nella ristretta cerchia degli album che ascolterei senza saltare nemmeno una canzone, annoverando grandi pezzi come Waltz degli scafisti, il waltz degli spostamenti umani che ci sono e ci saranno nella storia dell’umanità, oppure Iperconnessi, che tratta la tematica del digitale e della tecnologia, Qui, che è un elogio alla fragilità (“è un superpotere essere vulnerabili“).
Una delle cose che più mi colpisce del ferrarese Vasco Brondi è la capacità di mettere in risalto a più riprese le immagini di un’Italia secondaria e dimenticata, quella delle periferie e dei paesini, come quel Veneto “senza traffico, dove il cielo come te è sempre pallido”, quasi a tracciare un parallelismo fra lo stato d’animo della protagonista e il contesto ambientale in cui questa è cresciuta. Una scelta voluta a partire dal nome del progetto musicale, Le luci della centrale elettrica, che richiama la centrale elettrica in periferia di Ferrara che si intravede all’uscita del casello autostradale, o in un brano di un precedente album intitolato Nei garage di Milano Nord, che descrive con immensa potenza evocativa una zona di Milano periferica e sconosciuta ai più. L’autore della canzone stessa ha dichiarato che:
‘Nel profondo Veneto’ è una canzone sul crollo delle illusioni e su quanto questo possa essere benefico. Uscire da questa corsa senza senso e senza fine verso il futuro, di obiettivo in obiettivo. Non esiste quella cosa lì. Non c’è, è una specie di miraggio il futuro. Il disco si chiama Terra anche perché è l’accettazione della realtà di quello che c’è.
Il brano in questione racconta di una studentessa di un piccolo paesino veneto, dove ci sono solo “due bar una farmacia ed una chiesa” e “non c’è niente da dire, niente da spiegare, niente da capire, c’è solo da esistere”. La ragazza non resiste più a questa monotonia e decide di andare a studiare all’università, a Milano. Le cose però iniziano a non andare bene, non si ambienta con i compagni, nella realtà cittadina. Non riesce a trovare una relazione affettiva nonostante “facevi l’amore tutte le sere”, risente del contesto cittadino competitivo e troppo legato alle apparenze.
Le difficoltà arrivano fino a quella che gli psichiatri chiamano “ideazione suicidaria”: “Ti leggeranno in faccia/ la data del giorno/ in cui stavi pensando/ di volerti ammazzare, ma non lo diremo a nessuno, non ti preoccupare”, che descrive tutte le difficoltà di ambientamento della giovane protagonista nella metropoli milanese, unite al profondo disagio di riferire le proprie difficoltà ai genitori. Questo pezzo di brano viene cantato a più voci, evocando con ancora maggiore efficacia il tormento interiore della ragazza.
L’unica soluzione che la protagonista riesce a trovare è ritornare al proprio paesino “sconfitta e contenta”, dove è possibile “non pensare alla tua immagine ed essere più trasparente”.
Colpisce molto la contrapposizione fra la melodia allegra e ritmata con il testo della canzone, molto diretto e a tratti crudo.
Il parallelismo provincia-metropoli milanese è una tematica spesso trattata dai cantautori contemporanei: Brunori Sas, artista calabrese, nel brano Lamezia Milano descrive il contrasto fra “una metropoli che ancora incanta e la provincia ferma agli anni ‘80”, dove “c’è un lupo della Sila fra i piccioni del duomo, c’è un vecchio ragazzino dentro al corpo di un uomo”.
Viviamo ormai in una società che il sociologo Han definisce “della prestazione”, dove il non raggiungere un obiettivo prefissato costituisce un fallimento e il “poter fare” si identifica con il “poter essere”. Giovanni Stanghellini, in una relazione chiamata La melancolia del manager. Il narcisismo del XXI secolo, descrive un imperativo morale molto comune nella nostra società, il “io posso”, seguito da quella figura che Michel Focault definisce “homo economicus”, che vive per raggiungere obiettivi e i cui valori principali sono appunto la prestazione e l’ottimizzazione. Nella società della prestazione anche le relazioni assumono una finalità utilitaristica, e l’altro diventa un “bene di consumo”. Tali concetti si rivedono bene nel viaggio andata e ritorno della nostra protagonista e nel suo “fallimento”, che la porta ad interrompere gli studi e tornare nel piccolo paese dove è nata e cresciuta.
Penso di fare parte di una generazione di ragazzi (ormai direi più adulti) forse più immatura di quella precedente, che si sta realizzando un po’ più tardi ed abiterà sempre più spesso lontano dai propri genitori. Una generazione girovaga di ragazzi che viaggiano “con la chitarra e il computer” (come recita la strofa di un’altra canzone brondiana, 40 km) che spesso cambiano città o nazione per provare ad inseguire il proprio sogno lavorativo, l’amore di una vita o per scappare da dei problemi che pensavano fossero esterni e invece erano interni a loro, ma che spesso hanno bisogno di quel cambiamento, quello spostamento per comprenderlo, che forse a volte si fanno troppo condizionare dal “io posso”. Una generazione che a volte in questo processo “ce la fa” e realizza i propri obiettivi, a volte “non ce la fa” e “fallisce”, come nel caso della protagonista di questa canzone, sempre in cerca del proprio “centro di gravità almeno momentanea“, come recita la strofa di un altro pezzo brondiano, la Terra, l’Emilia, la luna.
Vasco Brondi in questa e in altre canzoni racconta di tutto questo, dello spaesamento dei ventenni e ormai trentenni di fronte all’instabilità del futuro, a quella che Baumann definisce “società liquida”, dove lavoro, amicizie e relazioni sono sempre meno solidi.
La “sconfitta” del personaggio brondiano de Nel Profondo Veneto è anche la sconfitta di una società che vuole che si raggiungano subito i propri scopi, anteponendo forse troppo a tutti i valori morali il raggiungere traguardi lavorativi, economici e relazionali.
Ritengo che Brondi, insieme a Brunori SAS e pochi altri rappresenti uno dei capostipiti dei cantautori italiani nella scena attuale italiana: un cantautorato che canta sempre di più di instabilità e incertezza, dove l’ascoltatore cerca sempre di meno un riferimento morale ed ideale e sempre di più un riferimento emotivo.
Ho ascoltato questa canzone almeno un centinaio di volte e l’ho amata ed odiata in momenti diversi: ciò che mi colpisce di più in assoluto è la vicinanza di due aggettivi nella prima strofa, “sconfitta e contenta”: quanto spesso nella mia vita ho associato la sconfitta alla contentezza?
Quando questo “centro di gravità almeno momentanea” di cui Brondi parla e in cui mi ritrovo profondamente tenderà ad un minimo di permanenza?
NEL PROFONDO VENETO – Ascolta il brano: