Una delle domande cruciali riguardo all’età fino alla quale ci si può spingere per avere figli è questa: quali saranno le tendenze future e soprattutto, i figli di genitori anziani saranno a loro volta genitori anziani?
Le società si trasformano, le persone cambiano e così anche i loro contesti di appartenenza.
Negli ultimi decenni vi è stato un significativo cambiamento nella concezione di cosa sia una famiglia e di come essa possa realizzarsi: sempre più diffuse ed accettate socialmente sono infatti nuove configurazioni familiari tra le quali le famiglie ricomposte, quelle monogenitoriali, le famiglie arcobaleno, le famiglie in surroga, le famiglie miste, le famiglie adottive, le famiglie affidatarie, ecc…
Questa pluralità di scenari familiari ha prodotto da un lato un aumento della possibilità di essere famiglia ma dall’altro, come è ovvio, problemi specifici.
Tali problemi si intrecciano poi con i grandi cambiamenti del nostro tempo che hanno inciso sulla formazione delle famiglie e sul loro modo di evolvere: dalla crisi economica a nuove modalità di intendere il lavoro, da internet all’instabilità geopolitica, dalle migrazioni, dal terrorismo alle possibilità sempre maggiori di viaggiare o ancora al Covid. Tali elementi hanno influito in modo significativo anche sul modo attuale di “essere famiglia”.
Uno dei cambiamenti più rilevanti relativi alle famiglie contemporanee (che riguarda in massima parte la società occidentale post industriale) concerne l’età nella quale si diventa genitori. I dati ISTAT dal 1995 al 2018, riportati nella Figura 4, evidenziano infatti come in Italia l’età media delle donne al momento della nascita del primo figlio abbia raggiunto i 31,2 anni nel 2018 (tre anni in più rispetto al 1995). Anche l’età media delle donne ad ogni parto è aumentata considerevolmente, passando da 30 a 32 anni. Se si considerano poi i dati del 2019, l’età media si attesta a 32,09 anni.
Anche la paternità segue il medesimo trend: l’età infatti del padre alla nascita del primo figlio è cresciuta di 1,44 anni, raggiungendo nel 2019 una media di 35,6 anni.
Fig. 4: Dati ISTAT dal 1995 al 2018
Il dato relativo all’aumentata età dei neo genitori alla nascita del primo figlio va poi messo in relazione con un altro dato caratteristico della nostra società, ovvero la diminuzione della mortalità tra gli anziani. Senza considerare in questa sede, per gli ovvi motivi di eccezionalità, il periodo Covid-19, va segnalato che la mortalità tra gli anziani è progressivamente diminuita negli anni (ISTAT, 2019; Società Italiana di Gerontologia e Geriatria – SIGG).
Oltre ad una ridotta mortalità degli anziani, è importante sottolineare che essi oggi sono sempre più in forma: Marchionni (2019) e Ursini (2020) segnalano che in media un soggetto di 65 anni oggi ha la forma fisica e cognitiva di un 45enne di 30 anni fa, mentre un 75enne di oggi è paragonabile ad un individuo che ne aveva 55 nel 1980. Sul piano della rilevanza nella popolazione generale, l’ISTAT (Report 2019) evidenzia come nel 2019 gli anziani oltre i 75 anni fossero l’11,7% della popolazione italiana, quindi un dato significativo.
All’ottenimento di questo risultato ha largamente contribuito il progresso scientifico in campo medico, il quale ha inciso positivamente anche sulla possibilità di avere figli in età sempre più avanzata.
Oggi, soprattutto grazie ai trattamenti di fertilità e alla fecondazione assistita, è possibile diventare genitori anche dopo i 50 anni (Christoffersen & Lausten, 2009). L’Italia si attesta, in merito a ciò, al primo posto in Europa per numero di figli nati da donne con più di 50 anni (Eurostat, 2019).
Il quadro descritto pone importanti questioni: da un lato è infatti necessario comprendere le motivazioni che spingono i genitori a fare il primo figlio sempre più tardi e dall’altro devono essere considerate le conseguenze che la genitorialità tardiva porta con sé dal punto di vista biologico, psicologico e sociale soprattutto sulle nuove generazioni.
Una delle domande cruciali riguardo all’età fino alla quale ci si può spingere per avere figli è questa: quali saranno le tendenze future e soprattutto, i figli di genitori anziani saranno a loro volta genitori anziani?
L’ipotesi presentata in questo lavoro è che i figli di genitori anziani potrebbero confermare il trend in atto, diventando a loro volta genitori sempre più tardivamente.
Tra i fattori che si ritiene risulteranno facilitatori in questo senso devono essere considerati la generale situazione economica dei paesi industrializzati, la qualità dei rapporti familiari ed amicali nonché le politiche di welfare.
Perchè si arriva a diventare genitori sempre più in tarda età?
Negli ultimi decenni sempre più coppie nei paesi industrializzati hanno ritardato il momento nel quale sono diventati genitori, alimentando una tendenza, definita “transizione di rinvio” da Kohler et al. (2002), divenuta ormai caratteristica. Sobotka (2009) sostiene che l’incremento della genitorialità in tarda età sia l’effetto dell’azione negli anni di diversi macro fattori politico-sociali tra i quali in primo luogo la diffusione della contraccezione moderna e la legalizzazione dell’aborto. Oltre a questi, diverse modificazioni sociali come l’istruzione sempre prolungata, l’emancipazione delle donne e il cambiamento del comportamento familiare rispetto all’educazione dei figli hanno reso l’avere figli da giovani sempre meno attraente.
Più in generale il raggiungimento delle classiche tappe evolutive del giovane adulto (tra cui terminare l’istruzione, lasciare la casa dei genitori e formare una coppia sentimentale) è sempre più posticipato.
L’entità del fenomeno è tale che la comunità scientifica se ne sta occupando sempre di più a causa dei possibili aumentati rischi per la salute di madri e figli nonché per i timori di ulteriori abbassamenti nei tassi di natalità (Sobotka, 2009).
Vediamo meglio gli elementi principali che giocano un ruolo in questo ritardo della genitorialità.
Stabilità emotiva della coppia
Molti soggetti scelgono di avere figli più tardi perché più tardivo è anche il raggiungimento della stabilità emotiva della coppia, che nelle società occidentali si raggiunge in media ad un’età più avanzata rispetto ad altre parti del mondo (Mills et al., 2011). Un ruolo importante è in questo senso giocato dall’idea che sia importante fare diverse esperienze sentimentali prima della scelta del partner definitivo.
Oltre a ciò si è assistito negli ultimi decenni ad un aumento della presenza di una particolare tipologia di coppia, che potremmo definire “narcisistica”. Tale coppia si basa sulla gratificazione personale derivante dallo stare insieme al proprio partner svincolando ciò dal progetto concreto di formare una famiglia. Lo stare insieme in queste coppie è funzionale principalmente al benessere soggettivo, quasi di tipo egoistico, nel quale rilevante è il vissuto personale di serenità nel qui ed ora. Queste coppie spesso non si pongono il problema della loro durata, dello strutturarsi di un legame stabile e della costruzione di un progetto a lungo termine in quanto lo stare insieme assume significato quasi esclusivamente nel presente, nell’immediato. Anzi, in molti casi queste coppie rifuggono addirittura l’idea che vi possa essere una strutturazione del legame in quanto ciò è sentito come una limitazione della libertà individuale (Andolfi, 1999).
Una coppia dunque, quella narcisistica, che non subordina lo stare insieme alla realizzazione di un progetto comune, ma che esiste finché esiste la gratificazione personale dello stare insieme. Tale coppia si regge sul piacere personale dell’avere accanto a sé un partner adatto “in questo momento” e non sull’idea che tale partner sia necessario per la propria vita, per la propria realizzazione personale e per la costruzione di un progetto di vita, per esempio di tipo familiare.
Questa configurazione di coppia è in netta contrapposizione con un’altra tipologia, che potremmo definire “coppia progettuale”. Essa si basa sullo stare insieme come mezzo per il raggiungimento di un obiettivo comune, di solito legato al fare famiglia o ad un’indipendenza economica dalla famiglia di origine, all’avvio di un’attività lavorativa, ecc.. Tale tipologia di coppia è in grado di subordinare, sebbene naturalmente non lo neghi affatto, il solo piacere personale e l’attrazione verso il partner allo stare insieme per trarre energia e mezzi per realizzare uno scopo comune di livello gerarchico superiore.
La coppia narcisistica pare figlia diretta della “società liquida” descritta da Bauman (1999), caratterizzata dal rifiuto di ogni infrastruttura sociale. In questo senso essa mostra tutte le sue fragilità proprio nella “tenuta” dentro ad un progetto comune, minando in questo modo dall’interno la sua stessa sopravvivenza.
La configurazione della coppia come narcisistica, rispetto alla genitorialità, potrebbe con alta probabilità contribuire a posticipare, se non addirittura ostacolare, la scelta di avere un figlio.
Mutamenti nel mondo del lavoro
Un fattore che certamente incide sulla scelta di diventare genitori è la riduzione delle opportunità lavorative, in particolare a seguito alla crisi economica del 2008.
È necessario ammettere che oggi il mondo del lavoro non è certamente, in media, “amico dei genitori”. Anche quando si riesce a trovare un lavoro infatti subentra il problema delle “8 ore”: l’occupazione a tempo pieno non considera l’impegno di cura di un figlio e costringe molto spesso le giovani coppie a posticipare la scelta di concepire un figlio rimandandola a momenti nei quali la coppia avrà raggiunto una maggiore tranquillità economica e potrà permettersi adeguati periodi di congedo dal lavoro o la rinuncia alla carriera da parte di uno dei due partner.
Spesso le aziende, soprattutto private, non incentivano la maternità, in particolare quella giovanile. Ciò sia dal punto di vista dei bassi salari tipici dell’inizio carriera, che non aiutano le giovani coppie a sopportare da sole i costi un uno o più bambini, che rispetto alla concessione di agevolazioni pratiche (permessi retribuiti, orari flessibili, ecc.. ) così necessari alle coppie con figli piccoli.
Inoltre, le donne spesso subiscono una discriminazione “in ingresso” (Eagly & Carli, 2007) nel senso che non vengono assunte proprio perché potrebbero decidere di avere figli e dunque assentarsi dal lavoro per periodi prolungati.
Il “peso” della genitorialità viene allora evitato ritardando il momento del concepimento o quando possibile spostato sulle generazioni precedenti, i nonni, i quali oltre a disporre in media di maggiori risorse di tempo, hanno un forza economica quasi sempre non paragonabile a quella della giovane coppia.
Maggior tempo da dedicare ai nipoti e maggiori risorse economiche determinano nella pratica dei problemi nella definizione della leadership familiare tra giovani ed anziani della famiglia.
Queste condizioni, soprattutto legate al mondo del lavoro, possono far desistere molte coppie dall’avere figli o farle decidere per un posticipo.
Cambiamenti sociali
Un ulteriore fattore da considerare nell’analizzare il fenomeno del ritardo nella genitorialità è la scolarizzazione sempre più alta e specializzata. Essa sul piano pratico comporta uno spostamento sempre più in avanti nel tempo della fine degli studi e dell’avvio, nei casi più positivi, di una solida carriera lavorativa dopo il percorso universitario. In media i giovani laureati arrivano a strutturare una buona posizione lavorativa non prima dei 30 – 34 anni.
È interessante notare che tale periodo della vita è risultato negli ultimi decenni quello con la maggiore predisposizione al concepimento. Se decidere di avere un figlio a carriera già avviata e non durante gli studi è una scelta per molti aspetti ragionevole – in quanto assicura maggiore autonomia economica e dunque maggiore sicurezza rispetto a possibili imprevisti o alla possibilità di fare scelte progettuali – va segnalato che la sovrapposizione tra l’età media nella quale si hanno figli e quella nella quale si ha il vero sviluppo della carriera professionale crea una competizione tra questi due aspetti, nella quale fatalmente è la genitorialità ad avere minori chances di vittoria.
Cambiamenti culturali
I cambiamenti culturali rappresentano certamente un fattore di grande importanza nella determinazione del ritardo nella genitorialità. In particolar modo è l’emancipazione femminile a giocare un ruolo fondamentale: essa infatti ha comportato uno slittamento in avanti dell’età media nella quale si ha il primo figlio in quanto le donne hanno oggi più possibilità (e desiderio) di studiare, di lavorare e di essere indipendenti rispetto ad alcuni decenni fa.
Se si collega questa situazione con quanto detto più sopra rispetto alle discriminazioni in ambito lavorativo cui le donne sono spesso fatte oggetto, si comprende ancora meglio la scelta di molte di loro di attendere prima di avere un figlio, anche perché spesso una volta rientrate dalla maternità non riescono a recuperare il loro posto di lavoro.
Stabilità economica
Tale aspetto è fortemente correlato ai precedenti: la stabilità economica nella nostra società occidentale si raggiunge come detto sempre più tardi e ciò influisce significativamente sulle scelte di genitorialità.
Maturità emotiva e cognitiva
L’età avanzata comporta solitamente un irrobustimento della consapevolezza di sé e delle proprie capacità, nonché un’identità più strutturata. Le persone potrebbero perciò decidere di aspettare questa conquistata coscienza di sé e della propria identità prima di concepire un bambino, anche alla luce del fatto che negli ultimi decenni è molto aumentata la sensibilità verso l’infanzia.
Inoltre, scegliere di fare un figlio più tardi può essere riconducibile al desiderio di fare esperienze da giovani che altrimenti la cura di un bambino non permetterebbe (Chodorow, 2003).
Da non sottovalutare sono infine le sfide classiche, sia fisiche che psicologiche, poste dal diventare genitore: il parto, la ridefinizione dell’identità da “figlio” a “genitore”, l’abbandono di aspetti individualistici. Questi aspetti faticano in molti casi a trovare un’armonizzazione con una tendenza più generale legata ad una infantilizzazione delle nuove generazioni, connessa anche in questo caso al ritardo nel raggiungimento di un’indipendenza economica ma anche a stili educativi che tendono ad iperproteggere i figli e ad evitare loro le fatiche della crescita e dell’assunzione di responsabilità.
Che conseguenze comporta la genitorialità tardiva?
Una volta delineati i fattori macrosociali ed il processo di decision making legato al diventare genitori tardivamente, vediamo le possibili conseguenze di tale scelta.
I rischi fisici per la madre
In primo luogo, molti studi hanno rilevato che l’età avanzata della puerpera è correlata con diverse conseguenze negative per il figlio. Esistono evidenze di complicazioni importanti sul piano biologico, soprattutto legate al periodo della gravidanza. Alti sono infatti i rischi di aborto spontaneo in quanto a quarant’anni una donna ha il 40-50% di possibilità di perdere il bambino prima della nascita.
Il rischio di avere un bambino con delle anomalie cromosomiche è di 1 su 350 a 35 anni mentre si impenna drammaticamente a 45 anni, divenendo 1 ogni 35 nati (Guida Genitori, 2020). Ulteriori rischi legati alla genitorialità tardiva sono poi da associare alla salute della madre: la gravidanza ectopica (impianto dell’embrione in sedi diverse dalla cavità uterina), la pre-eclampsia (ovvero una sindrome caratterizzata da ipertensione, edema e proteinuria), il diabete gestazionale e le complicanze durante il parto sono i rischi maggiori.
I rischi psicologici per la madre
Avere un figlio tardi è correlato con il rischio per la madre di sviluppare un disagio psicologico e sociale di matrice depressiva ed ansiosa. Diversi studi collegano infatti la maternità tardiva alla depressione post parto (vedi ad esempio Carlson, 2011; Aasheim et al., 2012). Rispetto alle ipotesi esplicative di un tale aumentato rischio depressivo, rilevante sembra essere la concezione negativa della maternità tardiva che la società attualmente conserva: Muraca & Joseph (2014) sostengono che gli amici e le persone attorno alla neo mamma potrebbero stigmatizzare e giudicare la sua scelta di maternità tardiva ritenendola “azzardata”, “pericolosa” e facendole mancare il sostegno sociale. Persiste ancora infatti nel senso comune l’idea che concepire figli in età avanzata rappresenti una decisione puramente egoistica della donna, che non prende in considerazione le possibili conseguenze per il bambino. Il rischio per le donne divenute madri tardivamente di diventare vittima di pregiudizi da parte dei loro contesti di appartenenza (comunità, amici, famiglia) è confermato anche da un recente studio di Mistretta & Giusti (2020).
A tal proposito riteniamo che, traendo spunto dalla teoria delle depressioni elaborata da Ugazio (2012) e da quella elaborata da Linares (2003), si possa sul piano psicologico affermare che i sintomi depressivi nella neo mamma tardiva possano avere una doppia funzione:
- prevenire potenziali attacchi giudicanti e svalutanti da parte degli altri: manifestare infatti sintomi depressivi dopo la nascita del figlio potrebbe avere il significato di proteggere la madre, attraverso l’esaltazione delle proprie difficoltà, da possibili attacchi di terzi.
- allo stesso modo tali sintomi potrebbero avere la funzione di smorzare eventuali pensieri aggressivi della madre verso chi lei pensa la stia giudicando ed attaccando, mantenendo così il legame con i soggetti comunque per lei significativi.
Altre ricerche evidenziano un possibile rischio legato allo sviluppo di sintomi d’ansia nelle madri tardive. Esse infatti vivono fortemente il timore di perdere il bambino, sviluppano preoccupazioni riguardo una loro possibile futura adeguatezza sociale e riguardo la loro identità come madre anche e soprattutto perché non rispondente alle classiche aspettative sociali di madre giovane.
Il diventare madre tardivamente si accompagna infine ad un maggiore timore della propria morte, e allo spettro dell’impossibilità di accompagnare i figli in tutte le loro fasi della crescita (Shaw & Giles, 2009).
I rischi fisici per il figlio
La ricerca evidenzia alcuni rischi per i figli di genitori anziani di sviluppare conseguenze fisiche negative. Dal punto di vista fisico sono stati infatti confermati problemi legati all’aumento dell’indice di massa corporea (IMC), della pressione sanguigna e riduzione dell’altezza (Carslake et al., 2017).
L’aumento invece dell’età paterna alla nascita è associato nei bambini ad esiti avversi come la natimortalità.
In oltre 40 milioni di nati vivi negli Stati Uniti tra il 2007 e il 2016, avere un padre più anziano ha poi aumentato il rischio di peso troppo basso alla nascita e di parto prematuro (Khandwala et al., 2018).
I rischi psicologici per il figlio
Dal punto di vista psichiatrico Sandin et al. (2012) e Lee & McGrath (2015) evidenziano un rischio definito “importante” di sviluppare autismo nei figli di genitori “anziani”.
Altre condizioni patologiche correlate alla condizione di essere figli di genitori anziani sono il disturbo bipolare in età adulta (Menezes et al., 2010), sintomi depressivi, ansia e stress (Tearne et al., 2016), scarso funzionamento sociale (Weiser et al., 2008).
Uno studio sulla popolazione danese, che ha riguardato 2,8 milioni di persone, ha rilevato che i padri più anziani sono maggiormente a rischio di avere figli con disabilità intellettiva e schizofrenia (McGrath et al., 2014).
Mentre l’età paterna avanzata è stata principalmente associata a esiti negativi per la salute fisica e nel neurosviluppo, con patologie come autismo e schizofrenia, l’età materna particolarmente avanzata sembra piuttosto predire problemi di salute mentale con una componente psicosociale più marcata, come problemi di esternalizzazione (Zondervan‐Zwijnenburg et al., 2019).
I vantaggi
Oltre agli aspetti negativi sul piano della salute fisica e del rischio psicologico, va detto che essere figli di genitori in età più avanzata può comportare anche dei vantaggi. Questi genitori infatti non solo hanno in misura maggiore una posizione socio-economica migliore rispetto a quelli giovani (Bray et al., 2006) ma hanno anche una maggiore esperienza di vita. Essi mostrano più resilienza (McMahon et al., 2007), tendono a fare meno uso di sostanze e ad avere meno problemi di salute mentale (Kiernan, 1997) rispetto ai genitori più giovani. Alcune ricerche dimostrano che le madri più anziane meno frequentemente usano punizioni mentre sono più sensibili ai bisogni del bambino e forniscono più sostegno emotivo al figlio (Trillingsgaard & Sommer, 2018). Oltre a ciò le madri più anziane tendono ad avere comportamenti di salute migliori durante la gravidanza.
Vi sono infine risultati in letteratura che mostrano come l’età materna superiore ai 30 anni sia predittiva di una maggiore autosufficienza del figlio in età adulta, il quale raggiungerebbe esiti scolastici e psicosociali migliori (Fergusson, 1999; McGrath et al., 2014).
Che interpretazione è possibile dare a questi dati e quali scenari si possono immaginare?
Come abbiamo visto avere un figlio in tarda età rappresenta un’eventualità determinata da una scelta personale ma anche da specifiche condizioni e necessità.
Dunque una scelta a metà o, all’opposto, una mezza risorsa, se si enfatizzano i vantaggi per i genitori ed il bambino.
I dati relativi ai rischi sia per la salute che per l’equilibrio psicologico sono di complessa interpretazione: laddove avendo figli tardi possono esservi rischi sul piano fisico per madri e figli, possono esservi anche vantaggi sociali e psicologici, soprattutto legati a migliori abilità di accudimento e di sintonizzazione con i bisogni del bambino.
Laddove invece avere figli presto diminuisce il rischio biologico, risultano maggiori i rischi sul piano sociale ed educativo, soprattutto connessi alla giovane età dei genitori e alla loro ridotta esperienza di vita.
In definitiva dunque si tratta di un quadro con rischi ed opportunità in entrambi i casi.
Quale può essere il destino di genitorialità per i figli di genitori anziani?
Sul piano prospettico si può ora riprendere il tema introdotto all’inizio di questo lavoro, ovvero la questione relativa al destino dei figli di genitori anziani in merito all’età nella quale diverranno loro stessi genitori. L’ipotesi qui presentata, ovvero che figli di genitori vecchi diventeranno a loro volta genitori in tarda età, è sostenuta considerando quasi esclusivamente variabili di tipo macro sociale: non vi sono infatti, dai dati raccolti, elementi “micro sociali” (a livello delle singole famiglie) che possono a nostro giudizio realmente influenzare queste scelte su vasta scala.
A livello macro sociale le componenti che possono spingere oggi, ma anche in futuro, un soggetto a diventare genitore in tarda età sembrano collegate al fatto che:
- è molto difficile (e verosimilmente continuerà ad esserlo) raggiungere in giovane età una solida indipendenza economica, anche considerando che il percorso di studi dura sempre più a lungo e che chi non studia inizia un percorso fatto di lavori precari con contratti temporanei;
- l’emancipazione dei figli dalla famiglia, in una società (quella occidentale) altamente complessa, è sempre più tardiva e in media non promossa attivamente dagli stessi genitori i quali, investendo molto sui loro figli (economicamente ma anche affettivamente) tendono a riporre in loro importanti aspettative compensatorie e di riscatto /ascesa sociale, tendendo a “guidarli” dunque per molto tempo;
- avere genitori anziani ma in forma e con risorse economiche che i figli non hanno quando raggiungono l’età adulta, comporta un prolungamento nel figlio di una condizione di dipendenza dalla famiglia.
Avere genitori “vecchi” ma in buona salute, non avere in media dei fratelli con cui condividere l’accudimento dei genitori anziani (visti i tassi di natalità sempre più bassi), vivere in una società dove il sistema di welfare e quello lavorativo sostengono poco le neo famiglie, determina il fatto che le nuove generazioni tenderanno a fare figli sempre più tardi disponendo di risorse più scarse rispetto ai loro genitori alla loro età e dovendo verosimilmente accudire da figli unici i genitori, nel frattempo diventati ancora più vecchi e bisognosi di cure.
Dunque le nuove generazioni, rimanendo “figli” sempre più a lungo, avranno maggiori probabilità di ritrovarsi incastrate in una dinamica per la quale avranno meno risorse economiche e parallelamente si ritroveranno con genitori già anziani i quali, sebbene molto più in forma e giovanili rispetto al passato, avranno comunque sempre più bisogno di assistenza.
I figli di genitori anziani dunque rischiano di trovarsi, per sopravvivere e senza vere alternative sul piano lavorativo e di economia generale, a doversi prendere cura dei propri genitori fin da giovani e ciò comporterà problemi nella realizzazione di un precoce progetto familiare.
Questo spostamento in là nel tempo della genitorialità raggiungerà un livello massimo?
Come precedentemente menzionato se è vero che dal punto di vista biologico si riscontra uno slittamento dell’età utile al concepimento fino ai 50 anni, questa soglia risulta essere al momento un limite importante per la scienza, già di per sé pieno di rischi: la medicina conferma infatti l’esistenza di un orologio biologico, certamente oggi spostato in avanti ma pur sempre presente, che scandisce ancora le fasi del ciclo di vita anche se, come abbiamo visto, le pressioni di tipo sociale, economico e relazionale per uno slittamento in là nel tempo della genitorialità sono diventate negli ultimi decenni particolarmente significative.