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Gravidanza tardiva: perché decidere di avere un figlio dopo i 40 anni?

Esiste un reale orologio biologico? Quali sono le implicazioni nella scelta di una gravitanza tardiva? Cosa comporta fare i figli dopo i 35-40 anni?

Di Giovanna Mistretta, Selene Giusti

Pubblicato il 16 Lug. 2020

Dato il cambiamento culturale e il maggior desiderio di autosufficienza, frutto dell’emancipazione moderna, avere figli dopo i 35-40 anni è una decisione che deve essere presa liberamente dalla donna, dopo un’accurata riflessione su di sé e sulle proprie possibilità, senza basarsi su pregiudizi o pressioni sociali.

 

Negli ultimi anni si assiste ad un cambiamento radicale della figura femminile e del rapporto con la maternità, non più legato esclusivamente alla volontà di realizzarsi come madre. Sono sempre più numerose le donne che scelgono di avere figli dopo i 35-40 anni e la creazione di una famiglia non si definisce più come una necessità evolutiva di genere, quanto più come un’opzione alla realizzazione della coppia matura, permettendo alla donna di poter compiere una scelta attiva in merito. Questo processo decisionale, ad oggi è possibile grazie alla diffusione dagli anni ‘60 degli anticoncezionali, ai trattamenti per la fertilità, la fecondazione in vitro e la legalizzazione dell’aborto per le gravidanze non desiderate (Christoffersen e Lausten, 2009).

Esiste quindi un reale orologio biologico? E quali sono le implicazioni bio-psico-sociali nella scelta di fare figli dopo i 35 anni?

Motivazioni a favore della maternità tardiva

Relazioni stabili e sicure

Molte donne scelgono di fare figli più tardi anche in relazione alla loro stabilità di coppia, rassicurate maggiormente dalla volontà di entrambi i partner di prendersi cura del bambino, in modo che nessuno dei due si debba trovare davanti alla scelta di sacrificare il lavoro per la famiglia o viceversa (Mills et al., 2011). La percezione di una disparità nella distribuzione del lavoro domestico e nell’occuparsi del figlio rende questo aspetto molto rilevante durante il processo decisionale nell’intraprendere o meno il percorso della genitorialità (Hook, 2010).

Istruzione e condizioni lavorative vantaggiose

Il lavoro a tempo pieno non tiene conto dell’impegno che richiede necessariamente la cura del figlio; con l’impostazione delle 8 ore lavorative, una coppia che decide di avere un figlio deve prendere in considerazione lavoro part-time e asili nido o babysitter che comunque comportano costi ed orari da rispettare. A complicare ulteriormente il processo decisionale c’è la difficoltà della donna a recuperare il proprio posto di lavoro una volta sostituita per i congedi di maternità, come molto spesso accade per la precarietà della posizione. Ad oggi, purtroppo, le conquiste delle donne per l’eguaglianza sul lavoro continuano a non essere abbastanza per assicurare compatibilità con la scelta di essere una madre giovane. La possibilità di intraprendere una carriera, dopo il percorso universitario, rientra comunque in un range di vita che va dai 30 ai 40 anni, periodo in cui biologicamente è predisposta al concepimento. Coerentemente, decidere di avere un figlio a carriera già avviata, e non prima della laurea o durante gli studi, assicura maggiore autonomia economica nel mantenimento e uno stipendio più alto. I percorsi di studio dopo l’istruzione superiore sono lunghi ed evitare la gravidanza in questo periodo formativo è la risultante della percezione di “non poterselo permettere” (Miller, 2010).

Maturità delle capacità cognitive ed emotive

Decidere di avere un figlio più in là con gli anni comporta sicuramente una maggiore consapevolezza delle proprie risorse personali, cognitive ed emotive, nel saper cogliere e interpretare correttamente i bisogni del bambino, strutturando un sistema coerente di regole all’interno dell’ambiente domestico. Studi confermano che l’età materna superiore ai 27-30 anni è predittiva di una maggiore autosufficienza del figlio in età adulta, associata a risultati scolastici e psicosociali migliori (Fergusson, 1999).

Elaborazione di una nuova identità

La maternità comprende una trasformazione inevitabile dell’identità connessa all’abbandono definitivo dello status di “figlia” per quello di “madre” che comprende una ridefinizione del proprio assetto mentale, affrontare gravidanza e parto (che implicherebbe in parte l’angoscia di morte), un annullamento di sé (del proprio tempo e spazio) in funzione della cura del figlio e l’abbandono di molti aspetti individualistici, come l’aspetto fisico (Schirone, 2013). Tutto ciò creerebbe sentimenti di ambivalenza connessi strettamente alla percezione del proprio orologio biologico, in difesa della sopravvivenza della specie, contro quello psicologico, in difesa delle aspirazioni identitarie. Inoltre, la cultura occidentale ad oggi pone molta enfasi sulla giovinezza e sulla bellezza fisica associata al successo, negando l’invecchiamento biologico e favorendo la percezione che ci possa essere qualcosa di assoluto e irrecuperabile nell’abbracciare l’identità materna. Scegliere di fare un figlio più tardi può essere comprensibile alla luce della voglia di potersi esprimere al meglio quando si è più giovani e di fare esperienze che altrimenti la cura del bambino durante i suoi primi anni non permetterebbe (viaggi, opportunità di lavoro, trasferirsi in un’altra città) (Chodorow, 2003).

Motivazioni a sfavore della maternità tardiva

I rischi più noti di una gravidanza “tardiva” sono quelli di natura biologica e medica, ma molti studi hanno evidenziato come la maternità in età avanzata potrebbe avere effetti anche di tipo psicologico e sociale.

Complicanze mediche

Affrontare una gravidanza in età avanzata potrebbe comportare tre esiti negativi: l’aborto spontaneo, la gravidanza ectopica (cioè con l’impianto dell’embrione in sedi diverse dalla cavità uterina; ad esempio: la gravidanza intrauterina e la gravidanza extrauterina) o la morte fetale tra la ventesima e la ventottesima settimana di gravidanza. Le ipotesi riguardo alle morti antepartum si possono ricollegare ad anomalie cromosomiche dei feti, al diabete gestazionale della madre e alla preclampsia (EPH), una sindrome caratterizzata dalla presenza, singola o in associazione, di ipertesione, edema e proteinuria. Inoltre, altre complicanze dovute all’età della madre possono essere: le gravidanze gemellari (probabilmente dovute anche all’utilizzo della fecondazione in vitro nelle donne in età avanzata), che possono comportare maggiori difficoltà sia durante la gestazione che durante il parto; le malformazioni genetiche del bambino, tra le quali la Sindrome di Down sembra maggiormente collegarsi all’avanzata età della madre (Steine Susser, 2000).

Maggior rischio di disagio psicologico e sociale

Sempre più numerose in letteratura sono le ricerche che collegano la maternità tardiva al rischio di depressione dopo il parto (Carlson,2011;Aasheim et al.,2012;Muraca e Joseph, 2014). L’aumento di questo rischio può essere dovuto al fatto che le mamme più anziane hanno affrontato più difficoltà, sia durante la loro vita, sia, nello specifico, durante la gravidanza (per i motivi discussi nel paragrafo precedente); inoltre, a causa della concezione di maternità che è cambiata, e sta cambiando, col tempo potrebbero soffrire la mancanza di sostegno sociale e soprattutto del gruppo dei pari (Muraca e Joseph, 2014).

Altri studi, hanno invece collegato la maternità in età avanzata ad un aumento dell’ansia, riconducibile alla paura di perdere il proprio bambino, ma anche alla preoccupazione riguardo alla loro futura adeguatezza sociale e alla loro identità come madre. Quest’ultimo punto, si può collegare al fatto che, spesso, queste madri sono vittime di pregiudizi da parte sia della comunità (alimentati dalla propaganda mediatica) sia dai propri amici e parenti. Le ansie più specifiche che vengono riportate da queste madri sono: la preoccupazionedi essere considerata egoista da parte degli altri per il voler avere comunque un figlio nonostante l’età, la diminuzione dei livelli di energia fisica e mentale e il timore di non essere capace di affrontare e risolvere le situazioni. Infine, un’ulteriore preoccupazione che influisce sulla sintomatologia ansiosa è quella di poter morire presto e non riuscire a veder crescere i propri figli (Shaw e Giles, 2009).

Conclusioni

Dato il cambiamento culturale e il maggior desiderio di autosufficienza, frutto dell’emancipazione moderna, avere figli dopo i 35-40 anni è quindi una decisione che deve essere presa liberamente dalla donna, in seguito ad un’accurata riflessione su se stessa e sulle sue possibilità di offrire un futuro adeguato al proprio bambino, senza basarsi su pregiudizi o pressioni sociali. Anche decidere di non averne, quindi, non deve essere considerato un impedimento alla realizzazione personale né tanto meno frutto di sensi di colpa legati alla mancata generatività.

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Aasheim V., Waldenström U., Hjelmstedt A., Rasmussen S., Pettersson H., Schytt E. (2012). Associationsbetweenadvancedmaternalage and psychological distress in primiparous women, from earlypregnancy to 18 monthspostpartum. BJOG.;119(9):1108-1116.
  • Carlson DL. (2011). Explaining the curvilinearrelationshipbetweenageat first birth and depressionamong women. Social Science & Medicine, 72(4):494-503.
  • Chodorow, N.J. (2003). “Too late”: ambivalence about motherhood, choice and time. Journal of the American Psychoanalytical Association, 51(4): 1181‐1198.
  • Christoffersen, M. N. eLausten, M. (2009). Early and late motherhood: Economic, family background and social conditions. Finnish Yearbook of PopulationResearch, 79-96.
  • Fergusson, D.M. e Woodward, L.J. (1999). Maternal age and educational and psychosocial outcomes in early adulthood. Journal of Child Psychology and Psychiatry, 40(3), 479–489.
  • Hook, J.L. (2010). Gender inequality and the welfare state: sex segregation in housework, 1965–2003. American Journal of Sociology, 115(5), 1480–1523.
  • Miller, A.R. (2010). The effect of motherhood timing on career path. Journal of PopulationEconomics, 24(3), 1071–1100.
  • Mills, M., Rindfuss, R. R., McDonald, P., Te Velde, E. (2011). Why do people postpone parenthood? Reasons and social policy incentives. Human reproduction update, 17(6), 848-860.
  • Muraca, G. M. e Joseph, K. S. (2014). The association between maternal age and depression. Journal of Obstetrics and Gynaecology Canada, 36(9), 803-810.
  • Shaw, R.L. e Giles, D.C. (2009). Motherhood on ice? A media framing analysisof older mothers in the UK news. Psychology&Health, 24(2), 221-236.
  • Schirone, T. (2013). Identità e trasformazione di identità: la maternità. Studi Urbinati, B-Scienze umane e sociali, 80, 189-195.
  • Stein, Z. eSusser, M. (2000) The risks of having children in later life. The Western Journal of Medicine, Nov;173(5):295-296.
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