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La maggioranza silenziosa: la popolazione anziana in Italia e in Europa ai tempi del Covid-19

La famiglia italiana contemporanea ha ereditato la cultura della cura a domicilio dei propri anziani: dagli anni ’80 è diminuita l’istituzionalizzazione

Di Iva Ursini

Pubblicato il 30 Lug. 2020

Il numero di anziani in Europa è in crescita progressiva. La transizione alla vita anziana è anzitutto una transizione familiare; indipendentemente dalla coabitazione, tutti i membri che sono in relazione con l’anziano si trovano a ricoprire nuovi ruoli ed assumere nuove responsabilità.

Premessa

Ho scelto questo titolo La maggioranza silenziosa ricordando il titolo di un testo La maggioranza deviante di Franco Basaglia e Franca Ongaro Basaglia, pubblicato per la prima volta nel 1971. Gli autori analizzano la tipologia della devianza e il suo inserimento all’interno del contesto sociale ed economico del periodo, quando in Italia la cultura psichiatrica era chiusa in una “ideologia della diversità” che sanciva l’inferiorità dell’altro. Il grosso problema che Basaglia mette in luce è costituito dall’organizzazione sociale custodialistica e punitiva.

Qualcuno potrebbe chiedersi cosa c’entri questo riferimento con la popolazione anziana oggi in Italia ed in Europa. Come cittadina e professionista psicologa ho dovuto rilevare che il mondo occidentale si è accorto della numerosità degli anziani solo in occasione della numerosità dei decessi che il virus ha determinato prevalentemente in pazienti di fasce d’età compresa tra i 70 anni ed oltre.

E in quali contesti si è diffuso il contagio del virus? In RSA (Residenze Sanitarie Assistenziali) strutture con un’utenza esclusivamente anziana, la cui organizzazione non ha nulla da invidiare alle Istituzioni Totali spersonalizzanti e custodialistiche degli anni ’70. Tutti avremo osservato come le informazioni che i media fornivano quotidianamente, come “bollettini di guerra” sui morti, risultavano svalorizzanti e superficiali quando si soffermavano sulle percentuali che riguardavano gli anziani. Come ha detto recentemente il prof. Alessandro Vespignani da Boston, intervistato da Lucia Annunziata, “…in fondo, come se rappresentassero un peso”. Questa tragica esperienza servirà a ripensare e riprogettare l’organizzazione sociale e socio sanitaria destinata a questa numerosità imponente di cittadini e alle loro famiglie?

Qualche dato in Italia

Da oggi la popolazione italiana può considerarsi più giovane: si è ufficialmente “anziani” dai 75 anni in su. La svolta è arrivata dal Congresso nazionale della Società italiana di gerontologia e geriatria (SIGG) che si è tenuto a Roma nel novembre 2019:

Un 65enne di oggi ha la forma fisica e cognitiva di un 40-45enne di 30 anni fa. E un 75enne quella di un individuo che aveva 55 anni nel 1980. (prof. Niccolò Marchionni)

I geriatri lanciano l’adozione di una definizione dinamica del concetto di “anzianità” che si adatti

alle mutate condizioni demografiche ed epidemiologiche. Bisogna tener conto che scientificamente si è anziani quando si ha un’aspettativa media di vita di dieci anni.

Immagine 1 – Dati Istat sulla popolazione anziana

Immagine 2 – Dati Istat sulla popolazione anziana

Qualche dato in Europa

Il numero di anziani in Europa è in crescita progressiva, secondo i dati Eurostat. Il rapporto Ageing Europe 2019 restituisce un quadro già noto, da alcuni anni, in merito ad età, condizioni di salute e di vita degli over 65.

È l’intera popolazione europea a mostrare una curva anagrafica verso l’alto: gli anziani sono più numerosi, la loro aspettativa di vita è più lunga e al tempo stesso nascono meno bambini. Eurostat scrive che l’età media della popolazione, nei 28 paesi UE, al 1° gennaio 2018 è di 43,1 anni. Tradotto: metà dei cittadini europei hanno superato i 43 anni. In Italia, questo rapporto è di poco più alto, cioè metà della popolazione ha già compiuto 46,3 anni.

Inoltre, si stima che in Europa la popolazione degli anziani di età pari o superiore a 65 anni salirà dai 101 milioni all’inizio del 2018 a 149 milioni entro il 2050.

La famiglia e gli anziani

Nonostante gli studi della sociologia relazionale evidenzino l’indebolimento e la crisi della famiglia, è opportuno occuparsi del fenomeno dell’invecchiamento in relazione a questa cellula della società insostituibile, espressione di un bisogno naturale di incontro e scambio tra generazioni.

Se ci riferiamo al ciclo vitale della famiglia, l’entrata nella fase anziana rappresenta oggi una nuova sfida della vita, ammesso di riuscire a vivere la transizione in maniera positiva. Infatti, la transizione alla vita anziana è anzitutto una transizione familiare, indipendentemente dalla coabitazione, che non riguarda solo il soggetto anziano, bensì tutti i membri che sono in relazione a lui e che si trovano in quel momento a ricoprire nuovi ruoli ed assumere nuove responsabilità.

In questo senso, è di fondamentale importanza per il benessere dell’anziano la concordanza tra vari fattori:

  • l’atteggiamento che la società nel suo complesso ha nei confronti dell’invecchiamento;
  • le condizioni psicofisiche dell’anziano;
  • le aspettative dell’anziano;
  • le aspettative delle persone per lui significative che fanno parte della rete familiare ed amicale.

L’età cronologica non è più l’elemento primario dell’esperienza personale dell’invecchiamento; esiste uno iato tra la società delle immagini che si concentra sull’età cronologica e sulle modificazioni corporee, e la percezione personale di ciascuno.

L’approccio sistemico, purtroppo, non si è occupato di questa fase del ciclo di vita familiare, nonostante la particolare lente con la quale guarda alle dinamiche relazionali potrebbe offrire un grande contributo nel trattare la complessità e l’eterogeneità delle famiglie con generazioni anziane. La transizione all’età anziana va analizzata in una prospettiva relazionale, individuando rischi e risorse proprio nel contesto familiare considerato quale luogo di incontro e scambio tra le generazioni.

Cosa significa essere nonni oggi?

Attias-Donfut, in qualità di pioniera e studiosa di questa tematica, afferma che i nonni hanno un ruolo fondamentale nella vita dei propri nipoti, poiché contribuiscono alla costruzione della loro identità personale, costituendo per loro quella che viene chiamata pillar identity, cioè la colonna portante della loro identità. E’ cruciale per un bambino o un giovane, vivere il rapporto con i nonni, con i quali si instaura un rapporto altro, rispetto a quello impostato con e dai genitori, un legame dove è possibile sperimentare nuove e altre parti di sé, dove le regole possono cambiare e la fantasia può prendere varie forme. (Bramante, 2020)

Il fenomeno dei nonni come risorsa nella scena familiare è presente in tutti i paesi europei, in particolare delle nonne, come figura di supporto nella cura dei figli e sostengo ai genitori impegnati nel difficile compito di conciliazione tra famiglia e lavoro; ruolo che diviene particolarmente cruciale per tutti i genitori single o separati.

La cura dei nipoti gioca anche un ruolo nel bilancio tra dare e ricevere tra le generazioni e introduce una maggior probabilità che, da adulti, i nipoti siano poi disponibili a ricambiare, offrendo assistenza ai loro nonni.

La famiglia italiana contemporanea ha ereditato dalle generazioni precedenti la cura a domicilio dei propri anziani: dagli anni ’80 in poi è diminuito in modo significativo il ricorso all’istituzionalizzazione dell’anziano autosufficiente, ed anche parzialmente autosufficiente. Questo è avvenuto grazie al fatto che le famiglie si sono organizzate autonomamente nella cura a domicilio, pur tra mille difficoltà, attraverso un ruolo di care giving svolto in genere dalle donne con l’aiuto di badanti.

Il primo rapporto sull’innovazione e il cambiamento nel settore della (LCT) Long Term Care (a cura di CERGAS SDA BOCCONI, 2018), ha fotografato l’esistenza di un esercito silenzioso di 8 milioni di caregiver familiari che si auto-organizzano per far fronte ai bisogni di assistenza dei propri cari, anche non più autonomi, a cui si affiancano quasi un milione di badanti tra regolari e non regolari.

Oggi è la generazione di mezzo, generazione sandwich, che ha subito un progressivo invecchiamento, portando ad assistere al fenomeno per cui “giovani anziani” si trovano a prestare sostegno ed aiuto ai “grandi anziani”. Proseguendo in questa direzione c’è il forte rischio che il carico eccessivo di cura a domicilio possa portare al burn out del caregiver familiare con conseguente urgente ricorso al ricovero in strutture RSA, vissuto come sconfitta e con sensi di colpa che complessificano il delicato passaggio dal domicilio all’Istituzione.

Va inoltre considerato che l’inserimento in RSA – Istituzione Totale – da un lato priva della sua specifica singolarità il nuovo ospite e dall’altro tende rapidamente a far sentire il sistema familiare “esautorato” dal prendersi cura del proprio congiunto. Questa esperienza viene descritta dai familiari come estremamente dolorosa e accompagnata da una sensazione di spaesamento.

Ho avuto l’opportunità di occuparmi, come formatrice di operatori di differenti professionalità, delle metodologie di accoglimento del nuovo ospite e della sua famiglia in numerose RSA. Da tutti gli operatori sono state descritte maggiori criticità quando il ricorso alla struttura residenziale è assimilato con l’arrivo ad un Pronto soccorso piuttosto che ad una preparazione e cura dell’accoglimento. In ogni caso, è stata sempre rilevata l’assenza, o la scarsa percentuale di presenza sul territorio, di servizi di Cura e di Assistenza intermedi, che possano quindi ritardare, ove effettivamente necessario in caso di pluripatologie e di complessificazione delle cure, il passaggio dal domicilio alla struttura residenziale.

Nel secondo rapporto sul futuro del settore LCT e delle prospettive dei servizi (a cura di CERGAS SDA BOCCONI, 2019), i gestori pubblici, privati e dalle policy regionali, hanno sottolineato il ruolo fondamentale del counseling destinato alle famiglie, necessario per orientarle su nuovi servizi, quali:

  • nuove soluzioni a domicilio;
  • nuove soluzioni per l’abitare e l’housing sociale;
  • nuove forme di residenzialità assistenziale;
  • nuove forme di Centri Diurni;
  • nuove modalità di presa in carico personalizzata dell’anziano.

Il rapporto si conclude con delle domande aperte sulle direzioni che prenderà l’innovazione:

[…] rimane da dirimere se il regolatore pubblico vorrà essere regista delle trasformazioni necessarie, indicando una strada realistica e percorribile o se per l’ennesima volta vorrà nascondersi dietro la facciata di un universalismo formale, lasciando che solo le determinanti epidemiologiche, sociali, e di mercato costruiscano il settore così come è già accaduto negli ultimi 20 anni con il fenomeno delle badanti.

Così termina il rapporto pubblicato nel settembre 2019; ora, a maggio 2020, potremmo aggiungere: “come la diffusione del Covid-19 nelle RSA per anziani ha rivelato”.

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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