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“Ecofenotipo” climatico: quanto è influenzata la nostra salute mentale dai cambiamenti climatici?

Riconoscere e curare gli effetti psicologici principali del cambiamento climatico, come l’eco-ansia, diventerà sempre più importante nei prossimi anni.

Di Matteo Innocenti, Gabriele Santarelli

Pubblicato il 17 Set. 2021

Si può ipotizzare che in futuro, con l’accentuarsi del cambiamento climatico, aumenteranno anche le persone che, a causa di disastri naturali, sperimenteranno conseguenze sulla salute mentale come l’eco-ansia.

 

Gli eventi causati dal cambiamento climatico si stanno verificando in tutto il pianeta, con gravi conseguenze dirette ed indirette su numerosi ambiti, compreso quello della salute mentale. Riconoscere e curare gli effetti psicologici principali del cambiamento climatico, come ad esempio l’eco-ansia, diventerà sempre più importante nei prossimi anni.

L’impatto psicologico del cambiamento climatico

L’idea che il clima abbia una influenza sul nostro modo di vivere e pensare risale all’antica Grecia; Ippocrate, Aristotele, Platone, Polibio avevano infatti elaborato teorie circa l’influenza dei fattori geoclimatici sulla psicologia umana (Issa, A. 1992). Montesquieu fu il primo a illustrare in modo sistematico, nel libro De l’esprit des lois (Mercier, R. 1953), la teoria di come il clima influenzi la società, considerandolo uno dei principali fattori capaci di influire sulla genesi dei determinanti sociali. Nel corso degli anni, di generazione in generazione, nazioni differenti hanno determinato la loro cultura e tradizione comportamentale e alimentare tramite un legame sinciziale con le condizioni geoclimatiche dell’area di pertinenza. L’identità soggettiva e collettiva di ogni area è pertanto indissolubilmente legata alle relative condizioni geoclimatiche che sono più o meno stabili da migliaia di anni. È lecito dunque chiedersi cosa potrebbe succedere se queste condizioni iniziassero repentinamente e irreversibilmente a cambiare in modo drastico, se regioni nordiche come il Canada o la Siberia sperimentassero temperature estive di 47 gradi, se popolazioni con una cultura basata sulla pesca si ritrovassero a perdere gradualmente i pesci del loro mare. Quale potrebbe essere l’entità del danno psicologico collettivo se ciò si verificasse? Che impatto un cambiamento di questo tipo potrebbe avere su scala mondiale? Un numero sempre maggiore di studiosi sta iniziando a porsi domande come queste, che tuttavia non sono purtroppo ancora entrate nella coscienza collettiva.

Sappiamo che l’impatto psicologico di qualsiasi forma di disastro supera di 40:1 i danni fisici e che dal 2000 la frequenza dei cambiamenti climatici, disastri meteorologici correlati è aumentata del 46% (Links, J. 2017). Catastrofi naturali improvvise che determinano morti umane e animali, perdita di risorse, interruzione del supporto sociale e delle reti sociali, migrazioni forzate, possono determinare la comparsa di alterazioni psicopatologiche di varia entità fino al disturbo da stress post-traumatico (PTSD), la depressione, l’ansia generalizzata, l’aumento del rischio suicidario e del consumo di sostanze (Washington: U.S Global Change Research Program, 2016). Si può dunque ipotizzare che in futuro, quando la frequenza di eventi climatici estremi aumenterà ulteriormente a causa del surriscaldamento globale, aumenteranno anche le persone che, a causa di disastri naturali, sperimenteranno conseguenze sulla salute mentale.

La nostra zona geografica sta iniziando solo recentemente ad entrare in contatto con gli effetti diretti del cambiamento climatico tramite incendi, ondate di calore o alluvioni, ma ancora è troppo presto per valutarne l’impatto psicologico diretto. Ciò che inizia ad essere oggettivabile è l’effetto psicosociale rappresentato dalla preoccupazione per ciò che sta accadendo ma soprattutto per ciò che avverrà. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) stima un aumento di 250.000 morti in eccesso all’anno tra il 2030 e il 2050 a causa dell’impatto del cambiamento climatico” (Watts, N., Adger, W. N., Agnolucci, et al. 2015). Già considerando questo, risulta evidente il senso di angoscia e di impotenza che questo argomento provoca.

L’eco-ansia

Nonostante la letteratura scientifica sia ancora poco attenta alla correlazione tra cambiamento climatico e salute mentale, sono stati coniati alcuni termini per definire le reazioni psicologiche al Climate Change, il più diffuso ed utilizzato dei quali è eco-ansia, definita dall’American Psychological Association (APA) una “paura cronica della rovina ambientale” (Schreiber,  M. Marzo 2021). Quando parliamo di ansia ci riferiamo ad un sentimento proiettato verso un futuro idealizzato in modo irrealisticamente ed eccessivamente catastrofico. Il cambiamento climatico invece è una minaccia reale che non è solo futura ma anche passata e presente. È un nemico strisciante che accompagna le nostre vite mettendoci in una condizione di costante allerta. Difficile è anche la gestione: non è possibile distrarsi poiché il problema è reale, persistente ed ubiquitario. Molti rispondono cambiando il loro stile di vita partendo dalla assunzione di comportamenti pro-ambientali, che richiedono sforzi importanti e non danno effetti tangibili, fino ad arrivare a vari gradi di attivismo, che genera spesso isolamento, discriminazione, incomprensione, senso di solitudine e rabbia. I soggetti maggiormente esposti sono i giovani poiché sono i più informati e coloro che hanno più futuro da vivere di tutti. Negli adolescenti, confrontarsi con l’idea di un futuro instabile e imprevedibile, perché stravolto dai devastanti effetti del cambiamento climatico, può rendere più complesso il processo di costruzione di una propria identità, dato che tale identità non è più coerente alla propria origine e tradizione geoclimatica, ma contraddistinta da un senso di incertezza e paura del destino proprio, dei propri cari e delle sorti del mondo intero.

Affrontare l’eco-ansia: tra adattività del sintomo e terapia

Come si cura l’eco-ansia? Il tema è oggetto di dibattito. Se partiamo dal presupposto che questo tipo di ansia è innescata da una minaccia reale, essa può essere intesa come un fenomeno fisiologico che ha pertanto una valenza evoluzionistica e protettiva che non deve essere curata bensì favorita. Dall’altra parte dobbiamo anche contare che uno stato di attivazione continuo accompagnato da un senso di impotenza e catastrofismo possano ripercuotersi sulla salute mentale a lungo termine. L’approccio psicologico all’eco-ansia deve considerare due aspetti distinti. Da una parte deve occuparsi di validare ed accogliere le preoccupazioni, utilizzandole dall’altra per spingere l’assistito ad attuare comportamenti proattivi che possano implementare il senso di efficacia e di utilità alla causa. Gli aspetti da favorire sono le condotte pro-ambientali, la partecipazione in attività ecologiche autonome o promosse da associazioni, l’impegno nella divulgazione di informazioni atta ad aumentare la consapevolezza collettiva ed infine la partecipazione a gruppi, che può aiutare a trovare persone con cui condividere le preoccupazioni climatiche. Dall’altra parte gli operatori dovranno gestire le preoccupazioni quando esse diventano eccessivamente invalidanti, incoraggiando la distrazione su altri argomenti, rassicurando, cercando di distogliere il pensiero della persona dalle immagini catastrofiche, facendola concentrare su ciò che di bello la natura ancora riesce ad offrire e stimolando il contatto con essa. Invitare gli assistiti a coltivare ed implementare il rapporto con la natura, proponendo attività sportive in essa, aumentando il contatto con gli animali, o praticando giardinaggio. Tutti questi sono esempi di attività che possono favorire il benessere del soggetto affetto da eco-ansia. Il cambiamento climatico sta gradualmente diventando un fattore centrale in tutti i settori della società moderna e presto diverrà permeante gli aspetti della salute, compresa quella mentale. L’eco-ansia non è stata ancora inserita nel DSM né riconosciuta come patologia psichiatrica ed attualmente è esclusivamente ritenuta un’aggravante in grado di peggiorare disturbi già esistenti (ad esempio ansia e depressione). Riteniamo però che nei prossimi anni, con l’aumentare in frequenza ed intensità degli eventi climatici avversi e delle loro gravi conseguenze, potrà assumere una rilevanza psicologica sociale anche maggiore. Pertanto, conoscere le cause, i meccanismi e le eventuali cure diventerà centrale nella nostra professione.

 

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