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Il dialogo interno come strumento per mantenere la capacità di pensare e agire nelle situazioni difficili

Il dialogo interno promuove il funzionamento ottimale sotto stress nella forma di affermazioni su di sé e può essere utilizzato in diversi momenti

Di Giammaria Trimarco

Pubblicato il 27 Set. 2021

Aggiornato il 01 Ott. 2021 13:57

Il dialogo interno può essere un potente strumento di autoregolazione del comportamento, del pensiero e delle emozioni.

 

A volte capitano situazioni in cui ci sentiamo completamente in balia degli eventi, e questi sembrano avere un impatto talmente potente su di noi che ci sembra di perdere completamente la facoltà di ‘stare lì, nel momento’. Quando ciò accade, sembra che la nostra capacità di riflettere, valutare e prendere decisioni subisca un tracollo e, successivamente, ci troviamo a pensare alla situazione vissuta con confusione, a volte con sgomento.

Alcuni dei principali autori di orientamento cognitivo-comportamentale, Ellis (1977), Beck (Beck, Rush, Shaw & Emery, 1979) e Meichenbaum (1977), con il loro lavoro ci informano che anche nelle situazioni più stressanti e caotiche è sempre presente una componente di pensiero discorsivo, esplicito o meno, che tende a guidare le nostre reazioni in termini di pensieri, emozioni e comportamenti che agiamo. Questo pensiero discorsivo deriverebbe da schemi disadattivi che distorcono l’elaborazione delle informazioni prese dall’ambiente in modi disfunzionali in relazione agli obiettivi dell’individuo (Beck et al., 1979).

Questo dialogo interno può presentarsi in diverse forme, fino a raggiungere quella di un vero e proprio dibattito con se stessi, più o meno articolato: “Starò facendo la cosa giusta?”; “Non fare così, fa’ così piuttosto”; “Stai attento che questa situazione ti è già capitata e sai come andrà a finire”… l’elenco delle cose che diciamo silenziosamente a noi stessi nelle più svariate circostanze è potenzialmente infinito, e si applica sia alle situazioni piacevoli che a quelle spiacevoli, che siano vissute intensamente oppure no.

Quando questo dialogo con noi stessi si presenta in modi che mettono in discussione la nostra autostima, la nostra capacità di fare e le aspettative positive rispetto a quanto stiamo vivendo, la nostra capacità di agire nella specifica situazione può venire pregiudicata in maniera più o meno ampia, possiamo sperimentare emozioni spiacevoli anche molto intense e, infine, subire una limitazione della nostra possibilità di agire, con il risultato di non essere in grado di esprimere pienamente noi stessi e di perseguire i nostri obiettivi in modo ottimale. Il disagio psicologico che ne deriva può essere più o meno intenso, fino anche alla possibilità a lungo termine di sviluppare un disturbo psichiatrico vero e proprio (Wann, Brennen & Holte, 2006).

D’altra parte, però, il dialogo interno può essere un potente strumento di autoregolazione del comportamento, del pensiero e delle emozioni, funzionale a mantenersi focalizzati sul compito da eseguire e sugli obiettivi da raggiungere, oltre che a permetterci di mantenere la calma (o motivarci) in situazioni competitive o stressanti (ad esempio, Malouff & Murphy, 2006). Non a caso l’addestramento all’uso del dialogo interno è una strategia utilizzata ampiamente nell’ambito della terapia cognitivo-comportamentale per il trattamento di depressione e ansia (Dush, Hirt & Schroeder, 1983), per il miglioramento della prestazione mentale (Schleser, Meyers & Cohen, 1981), per il trattamento dell’impulsività (Nelson & Birkimer, 1978) e dei disturbi del comportamento nell’infanzia (Dush, Hirt & Schroeder, 1989).

Un regime di trattamento che fa ampio uso del dialogo interno al fine di fornire uno strumento per fronteggiare le situazioni stressanti è lo Stress Inoculation Training (Meichenbaum, 1985). Sviluppato come paradigma di addestramento semistrutturato e clinicamente sensibile, è applicabile a un’ampia varietà di situazioni problematiche e stressanti (ad esempio nella gestione della rabbia e dell’ansia sociale) fino a situazioni estreme nelle quali la stabilità psicologica individuale è messa a dura prova e vi è il rischio di sviluppare sintomatologia post-traumatica (problemi gravi di salute, stupro, attacchi terroristici), tra le quali rientrano a pieno titolo l’ambito militare e, in generale, le professioni che richiedono all’individuo di sviluppare la capacità di funzionare bene in situazioni estreme.

Il training è composto da tre fasi: una fase di concettualizzazione della domanda di trattamento, una fase di acquisizione delle abilità funzionali alla risoluzione del problema e ripetizione a scopo di apprendimento, e infine una fase di applicazione delle abilità e completamento del trattamento (follow-through).

Il dialogo interno che promuove il funzionamento ottimale sotto stress, nella forma di affermazioni su di sé, è un’abilità oggetto di apprendimento nella seconda fase del trattamento e può essere utilizzato in diversi momenti relativi alla situazione stressante. Nello specifico, l’autore (Meichenbaum, 1985) distingue in relazione ad essa quattro momenti: quando ci stiamo preparando a fronteggiare una situazione stressante che prevediamo si presenterà, quando tentiamo di gestirla una volta presente, quando ci sentiamo travolti da essa e, infine, quando riflettiamo sugli sforzi che abbiamo profuso nel tentativo di fronteggiarla. In ognuno di essi abbiamo la possibilità di sfruttare il dialogo interno per prestare attenzione maggiore alle circostanze presenti e mantenere un atteggiamento proattivo e focalizzato sui nostri obiettivi.

Ecco alcuni esempi di affermazioni che possiamo utilizzare:

  • Quando ci stiamo preparando a fronteggiare la situazione stressante: “Cosa dovrò fare?”,”Posso farmi un piano per gestire la situazione”, “Smettila di preoccuparti. Preoccuparsi non serve a nulla”, “Mi sento un po’ teso, ma è una cosa naturale”;
  • Quando stiamo tentando di gestire la situazione stressante: “Un passo alla volta”, “Non pensare allo stress, pensa alle cose che devi fare”, “Guarda al positivo. Non saltare alle conclusioni”, “Questa tensione può essere un alleato, un segnale per trovare un modo di agire”;
  • Quando ci sentiamo travolti dalla situazione stressante: “Fermati un momento e rifletti su cosa sta accadendo”,”Non cercare di eliminare lo stress, gestiscilo solamente”, “Rilassati e rallenta”, “É il momento di risolvere il problema”;
  • Quando riflettiamo sugli sforzi di fronteggiamento e ci ricompensiamo (anche solo per avere tentato): “Non è andata male come pensavo”, “Non ha funzionato. Va bene lo stesso”; “Vediamo cosa posso imparare da questa storia”; “L’ho gestita abbastanza bene”.

Ma come utilizzare concretamente queste suggestioni? Innanzitutto dobbiamo trovare quali affermazioni ci sembrano più efficaci in relazione alla situazione stressante che ci accingiamo a incontrare, e di cui quelle indicate sono semplici piste per costruire le proprie. Una volta individuate le proprie possiamo, attraverso l’esercizio e la ripetizione (cognitive rehearsal), creare il nostro repertorio di affermazioni da dire a noi stessi quando ci troviamo in situazioni stressanti, che provvederemo a tenere presenti alla nostra mente, anche scrivendole da qualche parte, per portarle con noi. Il loro utilizzo in situazioni reali ci permetterà, poi, di acquisirle in pianta stabile nelle nostre abitudini di pensiero, in modo da garantirne l’uso anche in situazioni nuove, fornendoci così da noi stessi quella focalizzazione sul compito e quella percezione di controllo, che tanta parte hanno nell’adattamento e nella promozione del benessere per l’individuo lungo tutto l’arco della sua vita.

L’attenzione al dialogo interno sotto stress non solo potrebbe portarci a risultati insperati di fronte alle avversità, ma potrebbe anche fornirci una dose maggiore di fiducia nelle nostre capacità, assieme a un nuovo slancio per tentare imprese mai tentate e imboccare percorsi di vita desiderati ma che ci siamo sempre preclusi da noi stessi, attraverso le parole che ci diciamo.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Beck, A., Rush, A.J., Shaw, B., & Emery, G. (1979). Cognitive therapy of depression. New York: Guilford Press.
  • Dush, D. M., Hirt, M. L., & Schroeder, H. E. (1983). Self-statement modification with adults: A meta-analysis. Psychological Bulletin, 94(3), 408-422.
  • Dush, D. M., Hirt, M. L., & Schroeder, H. E. (1989). Self-statement modification in the treatment of child behavior disorders: A meta-analysis. Psychological Bulletin, 106(1), 97–106.
  • Ellis, A. (1977). Rational-emotive therapy: Research data that supports the clinical and personality hypotheses of RET and other modes of cognitive-behavior therapy . The Counseling Psychologist, 7(1), 2-42.
  • Malouff, J. M., & Murphy, C. (2006). Effects of self-instructions on sport performance. Journal of Sport Behavior, 29(2), 159.
  • Meichenbaum, D. (1977). Cognitive behaviour modification. Cognitive Behaviour Therapy, 6(4), 185-192.
  • Meichenbaum, D. (1985) Stress Inoculation Training. New York: Pergamon Press.
  • Nelson, W., & Birkimer, J. (1978). Role of self-instruction and self-reinforcement in the modification of impulsivity. Journal of Consulting and Clinical Psychology. 46, 183.
  • Schleser, R., Meyers, A. W., & Cohen, R. (1981). Generalization of self-instructions: Effects of general versus specific content, active rehearsal, and cognitive level. Child Development, 52(1), 335-340.
  • Wang, C. E., Brennen, T., & Holte, A. (2006). Automatic and effortful processing of self‐statements in depression. Cognitive behaviour therapy, 35(2), 117-124.
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