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“Peggio di niente” dei Ministri: l’esasperazione da lockdown

La musica veicola un messaggio nel quale ci identifichiamo, ci sentirci capiti e sostenuti. Quale miglior alleato per affrontare lo stress da pandemia?

Di Giulia Goldin

Pubblicato il 06 Mag. 2021

Peggio di niente, il nuovo singolo dei Ministri, band milanese, uscito in streaming il 16 aprile è un vero e proprio urlo esasperato che descrive alla perfezione il disagio portato dall’attuale pandemia.

 

Le molteplici influenze della musica sulla nostra vita quotidiana sono ormai assodate. Secondo la letteratura, infatti, essa ha una funzione autoregolatoria, facilita il processo comunicativo, viene intenzionalmente utilizzata come strategia di coping, favorisce l’introspezione e ha un effetto empatico e rassicurante (Miranda & Claes, 2009; Van den Tol & Edwards, 2015; Balestrieri, 2021). Come sottolineato da Balestrieri, la musica veicola un messaggio nel quale ci identifichiamo, permettendo così di sentirci capiti e sostenuti. E allora quale miglior alleato per affrontare lo stress da pandemia?

Arriva in soccorso Peggio di niente, il nuovo singolo dei Ministri, band milanese composta da Federico Dragogna, Michele Esposito e Davide Autelitano, uscito in streaming il 16 aprile: un vero e proprio urlo esasperato che descrive alla perfezione il disagio portato dall’attuale pandemia.

La band spiega così il significato della canzone:

bambini soli davanti a uno schermo, famiglie che non si possono abbracciare, code infinite per un pasto caldo, persone che non possono più lavorare: il nulla in cui questa pandemia ci ha precipitato è senza confini. E pensavamo non potesse esserci di peggio, finché non abbiamo visto qualcuno mettere gli uni contro gli altri – in un crescendo di diffidenza, sospetto e accuse. Quello sì, è stato peggio di niente. 

Proviamo allora ad analizzare alcune delle tematiche che emergono dal brano, alla luce della ormai vasta letteratura sul Covid-19 e sui fenomeni sociali ad esso associati.

La percezione del tempo durante la pandemia

E poi improvvisamente
Ho visto il tempo volare, ho visto il tempo cadere
Ho visto buio per sempre

Kurt Lewin in Prospettiva temporale e stato d’animo (1942) considerava il tempo come una finestra attraverso la quale vediamo le nostre vite dispiegarsi, costruire le nostre identità, identificare le nostre ambizioni.

Il senso del tempo è essenziale per il benessere, specialmente per sopperire alle avversità, mentre una sua distorsione è spesso legata a diverse patologie come depressione e disturbo da stress post-traumatico (Gil & Droit-Volet, 2012; Oyanadel & Buela-Casal, 2014).

La pandemia da Covid-19, minaccia invisibile e vero e proprio trauma collettivo, ha cambiato drasticamente il nostro modo di vivere, sostituendo un illusorio futuro controllabile e certo (Taylor e Armor, 1996) con uno del tutto insicuro, incerto, ansiogeno. Siamo dunque improvvisamente passati da una vita frenetica, scandita da impegni e sicura ad una vita simile ad una istantanea, dove tutto si ferma e viene stravolto. In realtà, se per alcuni il tempo sembra essersi fermato per altri invece ha premuto l’acceleratore. Uno studio inglese ha cercato di individuare i fattori che influiscono sulla percezione del tempo e ha dimostrato che oltre l’80% dei partecipanti ha sperimentato una distorsione del tempo durante il lockdown (Ogden, 2020). I fattori legati alla percezione temporale sembrano essere l’età, lo stress, il carico di lavoro e la soddisfazione per i livelli di interazione sociale mantenuti. La sensazione di rallentamento è risultata essere associata all’aumentare di età e stress e alla riduzione del carico di lavoro e della qualità delle interazioni. Dunque, gli individui più giovani e più socialmente soddisfatti hanno maggiori probabilità di sperimentare una accelerazione del tempo durante la quarantena.

L’isolamento sociale nei più piccoli

E poi improvvisamente
Ho visto Nina volare, ho visto Nina cadere
Non ho visto più niente

I Ministri nel ritornello citano Ho visto Nina volare di De André, immaginando la bambina del celebre brano cadere dall’altalena, ponendo fine alla naturale spensieratezza tipica del gioco a cui ciascun bambino dovrebbe abbandonarsi.

La band, dunque, fa emergere le disastrose conseguenze della pandemia sui più piccoli. La scuola, intesa come spazio sociale, come luogo centrale per il processo di socializzazione secondaria, viene chiusa e sostituita con una modalità di apprendimento a distanza.

Le restrizioni legate al Covid-19 hanno indubbiamente effetti negativi sullo sviluppo psicosociale dei ragazzi poiché viene a mancare il contatto col gruppo dei pari, elemento cruciale (Erikson, 1968).

I giovani mostrano una riduzione della qualità della vita e del benessere psicologico e un aumento del rischio di sviluppare sintomi depressivi, ansia, disturbi del sonno, disturbi dell’alimentazione e difficoltà a gestire lo stress (Ravens-Sieberer et al., 2020). A ciò si aggiungono le preoccupazioni dei genitori, divisi tra lo smart working e l’istruzione dei figli, e un notevole aumento di casi di violenza domestica (Fegert et al., 2020).

Non “andrà tutto bene”

E poi improvvisamente
Ho visto gente normale calpestare altra gente
Ed era peggio di niente
E poi improvvisamente
Ho visto gente speciale calpestare altra gente
Ed era peggio di niente
E poi improvvisamente
Ho visto gente bestiale calpestare altra gente
Ed era peggio di niente

Infine, viene presa in considerazione l’influenza della tensione generata dall’emergenza sanitaria nei comportamenti individuali e di gruppo, escludendo totalmente la possibilità di un liete fine.

Nella confusione generalizzata, in cui le regole cambiano di giorno in giorno, la paura prende il sopravvento, cresce l’ostilità tra gli individui e diffidenza e sospetto sono sempre più dietro l’angolo. Le misure di contenimento hanno sicuramente determinato una profonda trasformazione culturale e una rarefazione delle relazioni umane. La “bestialità” diviene la norma e ogni occasione è buona per prevaricare sull’altro.

Uno scenario, questo, che ricorda molto la folla di Le Bon (1970). Secondo l’autore è proprio nei periodi di disintegrazione e declino sociale che la folla domina,

i lettori dei giornali, gli ascoltatori dei programmi radiofonici, i membri di un partito, anche se non fisicamente riuniti in un gruppo, tendono a divenire, dal punto di vista psicologico, una folla, a cadere in uno stato di eccitazione in cui ogni tentativo di ragionamento logico ha il solo effetto di stimolare impulsi bestiali.

L’individuo, dunque,

nella folla è barbaro. Possiede la spontaneità, la violenza, la ferocia e anche l’entusiasmo e l’eroismo degli esseri primitivi. (Le Bon, 1970)

Inoltre, la psicologia sociale ha spiegato molto bene come, all’interno del gruppo, possano manifestarsi fenomeni di disimpegno morale, un processo cognitivo che permette di disattivare i controlli morali interni permettendo all’individuo di compiere azioni immorali eludendo sentimenti di autocondanna (Bandura et al., 1996).

 

Peggio di niente – Ascolta il brano:

 

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