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Buone ragioni per stare male. La nuova frontiera della psichiatria evoluzionistica (2020) di Randolph M. Nesse – Recensione

Buone ragioni per stare male illustra in prospettiva evoluzionistica le ragioni per cui le emozioni spiacevoli continuano a tramandarsi per via filogenetica

Di Laura Baldrati

Pubblicato il 14 Mag. 2021

Se le emozioni di base ci avvisano e proteggono da eventi pericolosi, tuttavia non ci forniscono indicazioni su cosa fare nello specifico o su come comportarci. Questo uno dei temi affrontati nel testo Buone ragioni per stare male.

 

Emozioni caotiche e poco funzionali sembrano impedirci di vivere una vita piena e gratificante, tuttavia esistono buoni motivi per cui ancora oggi sopravvivono in noi queste risposte emotive spiacevoli e dolorose. Se da una parte ci sono tratti della nostra psiche, come lo stress e l’ansia, che vorremmo eliminare, dall’altra grazie a questi tratti manteniamo costante l’allerta nei confronti dei pericoli preservando così la nostra incolumità.

Questo il tema affrontato dal testo Buone ragioni per stare male dove gli autori illustrano, secondo una prospettiva evoluzionistica, le ragioni per cui le emozioni spiacevoli continuano a tramandarsi per via filogenetica.

Esse sarebbero il risultato di un lungo processo evolutivo che ha reso in passato le emozioni negative necessarie alla nostra sopravvivenza.

Tuttavia il nostro sistema interno di regolazione delle emozioni è rimasto invariato nel corso dell’evoluzione della specie e ad oggi non si è evoluto a sufficienza per riuscire a sincronizzarsi con le complessità a cui la vita contemporanea richiede di adeguarsi.

Le emozioni ci aiutano a sopravvivere pertanto si trasmettono per via genetica.

Le sensazioni di dolore fisico e le emozioni negative hanno un preciso ruolo nel nostro sistema di sopravvivenza. Alcune emozioni negative ci aiutano a evitare potenziali pericoli.

L’ansia ad esempio è un segnale di allarme che si lega alla percezione di un pericolo per il nostro benessere, allo stesso modo la tristezza ci dice che dovremmo evitare una perdita o una separazione. Allo stesso modo sentimenti positivi come l’entusiasmo ci aiutano a riconoscere una situazione nuova che, anche se inizialmente sconosciuta, può diventare nel futuro un’opportunità.

Se le emozioni di base ci avvisano e proteggono da eventi pericolosi, tuttavia non ci forniscono indicazioni su cosa fare nello specifico o su come comportarci. La complessità della vita moderna richiederebbe indicazioni più sofisticate rispetto a quelle fornite dalle emozioni di base. Per questo motivo l’evoluzione del nostro sistema di regolazione delle emozioni sarebbe asincrona rispetto al contesto moderno.

Comprendere le ragioni dell’ansia e degli attacchi di panico può essere di aiuto nel loro trattamento.

I nostri timori e ansie sono sopravvissuti lungo le generazioni nel corso della selezione naturale perché ci aiutano a riconoscere e reagire in modo automatico alle situazioni di potenziale pericolo. L’ansia ci aiuterebbe a sopravvivere, per questo motivo sarebbe un tratto che resiste e persiste nel tempo.

Ciò che appare meno ovvio è il motivo per cui, così spesso, ci sentiamo ansiosi senza un apparente motivo. Di base l’ansia agisce come un allarme antincendio: ci avvisa quando inizia a diffondersi il fumo. Sta a noi quindi decidere se provare a spegnere le fiamme o se invece fuggire per sottrarci al pericolo.

Proprio come un allarme a volte anche l’ansia si attiva anche in assenza di un reale pericolo. Gli eventuali falsi allarmi e la preoccupazione che ne consegue sono, secondo gli autori, il prezzo da pagare per un sistema che, in passato come oggi, ci potrebbe salvare la vita.

Sapere da dove ha origine la nostra ansia non solo favorisce una maggiore comprensione del processo in atto, ma apre anche una nuova prospettiva dal punto di vista del trattamento, nello specifico quello farmacologico.

I farmaci secondo gli autori silenziando il sintomo possono aiutare, per un certo periodo, a vivere liberi da attacchi di panico.

In questo frangente la mente può abituarsi a vivere in un ambiente che non è percepito sempre come pericoloso, ma prevalentemente come sicuro. Il mindset si accomoderà su questa percezione e anche quando sarà sospesa l’assunzione del farmaco l’ambiente che ci circonda continuerà ad essere percepito perlopiù come sicuro.

La depressione può derivare da una disfunzione nel sistema di regolazione dell’umore.

Secondo uno studio pubblicato su The Lancet nel 2013 la depressione è la causa del maggior numero di anni vissuti con una disabilità rispetto a qualsiasi altra malattia.

Nonostante la sua frequenza, la depressione è ancora difficile da diagnosticare. Quando un umore basso diventa una vera e propria depressione? Quanto lungo può considerarsi un periodo di lutto successivo a una perdita prima che lo si possa definire come depressione?

Gli autori partono dall’osservazione che l’uomo può vivere stati d’animo molto diversi fra loro: possiamo sentirci demoralizzati, ottimisti o entusiasti a seconda delle circostanze. Perché la nostra mente reagisce con emozioni diverse a seconda degli eventi?

Uno dei principali motivi per cui disponiamo di un repertorio di risposte emotive tanto ampio sarebbe quello di darci un vantaggio nell’immaginare quanto sforzo dovremmo fare quando ci troviamo in una situazione positiva o negativa.

Per comprendere meglio questo passaggio torniamo ai tempi in cui l’uomo per procacciarsi il cibo doveva o cacciarlo o raccoglierlo.

Proviamo a immaginare di vivere una situazione comune per un uomo dell’antichità.

Stai iniziando a raccogliere delle bacche. Mentre svolgi questo compito devi porti tre domande:

  • Quanta fatica dovrò fare per raccogliere le bacche?
  • Quando sarà il momento di lasciare quest’area e spostarmi in quella adiacente?
  • Quando sarà il momento giusto per smettere di raccogliere bacche e dedicarmi a un’altra attività?

La risposta a queste tre domande la ottengo prestando attenzione al mio stato d’animo. I cambiamenti del mio umore mi indicheranno quante bacche dovrò raccogliere per soddisfare il mio bisogno di cibo, e mi diranno quando fermarmi, prima che il carico delle bacche raccolte diventi troppo pesante da trasportare. Allo stesso modo un umore basso mi segnalerà che sto compiendo una fatica vana, e che è bene mi dedichi ad altro senza continuare a sprecare le mie energie.

La vita moderna ci confronta con complessità ben maggiori della raccolta del cibo dal punto di vista sociale. Possiamo sentirci confusi quando il nostro umore è condizionato dal nostro lavoro o dalle nostre relazioni interpersonali. Dovremmo lasciare il lavoro quando non ci soddisfa? Dovremmo rincorre un sogno anche quando consapevoli che difficilmente si realizzerà? Dovremmo rimanere sposati anche quando viviamo una relazione infelice?

Le emozioni ci danno un’indicazione sulla natura della situazione che stiamo vivendo, ma ben poche su cosa effettivamente fare.

L’ansia sociale sarebbe l’esito dell’importanza di amare e prendersi cura degli altri trasmessa filogeneticamente.

La nostra capacità di prenderci cura degli altri si crea in funzione delle connessioni emotive che stabiliamo con persone per noi significative ed è condizionata anche dall’opinione che gli altri hanno di noi. La nostra autostima si basa infatti anche sulla capacità di renderci amabili per altre persone.

Tuttavia oggi compiacere le persone è certamente più complesso che in passato: è possibile che una scelta appaghi una persona, ma ne faccia scontenta un’altra. La difficoltà nell’effettuare scelte che incontrino l’approvazione di molti potrebbe in parte spiegare alcune forme di ansia sociale contemporanea.

Il dolore del lutto ci impedisce le scelte che comportano perdite.

Il dolore legato al lutto avrebbe un significato evoluzionistico: di fronte a un potenziale pericolo come il rischio della perdita di un caro, l’infinito dolore che ne potrebbe derivare aiuta a dispiegare le energie necessarie per far fronte all’emergenza.

Allo stesso modo il dolore che segue a una perdita, fatto di continue rievocazioni dell’accaduto, avrebbe la funzione di indurre una riflessione maggiore sulle azioni sbagliate che hanno condotto a quella perdita L’obbiettivo definito filogeneticamente sarebbe quindi di essere equipaggiati nel caso si verifichi una situazione analoga nel futuro.

Il meccanismo che regola l’assunzione di cibo e droghe non è calibrato sulla facilità odierna di accesso al consumo.

Il mondo contemporaneo costantemente ci espone a nuovi pericoli: i cibi pieni di zucchero, sale e grassi saturi. In antichità questi elementi erano scarsi e pertanto il corpo li bramava in modo sano.

Non c’era la possibilità di assumerli frequentemente e pertanto il desiderio di essi era elevato. Oggi al contrario questi cibi sono presenti in abbondanza, tanto da causare alti livelli di obesità e malattie cardiache, oltre che disordini alimentari come bulimia e binge eating.

La ragione per cui oggi abbiamo problemi nel mantenere un peso adeguato sarebbe legata al fatto che il meccanismo di autoregolazione del peso corporeo è stato modificato dal mondo moderno.

Esso risale all’antichità, quando l’esigenza di sopravvivere doveva prescindere dalla quantità di cibo che era possibile cacciare o raccogliere.

Oggigiorno l’enorme disponibilità di cibo e la seduttività con cui viene proposto ci inducono ad assumerne in quantità di gran lunga superiori rispetto alle nostre reali esigenze. Sia la qualità del cibo che il tempo dedicato alla nutrizione sono aumentati nel corso dei secoli, ma il sistema di regolazione del peso corporeo è rimasto invariato dall’antichità, quando il cibo era scarso e l’esigenza di apporto calorico minima.

Una situazione analoga si verifica nella regolazione nell’assunzione di ciò che è fonte di piacere: le droghe.

Il piacere e la gratificazione di per sé non sono problematici: ci indicano le situazioni per noi gratificanti. Nella maggior parte dei casi l’esperienza piacevole inizia con un incremento di dopamina che rappresenta un incentivo a ripetere e trarre piacere dalla situazione che ci gratifica.

Questo tipo di esperienze tuttavia sono accompagnate da sensazioni, trasmesse filogeneticamente, che ci indicano quando fermarci: la nausea quando si è mangiato troppo è un segnale di questo tipo.

Per le droghe in uso oggi non esiste un analogo sistema di autoregolazione: la spinta della ricerca del piacere crea un desiderio infinito e una compulsione nell’assunzione che, quando non essendo sufficientemente inibiti, spingono fino all’autodistruzione.

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Nesse R. M. (trad. Griseri E.) (2020). Buone ragioni per stare male. La nuova frontiera della psichiatria evoluzionistica. Bollati Boringhieri.
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