expand_lessAPRI WIDGET

Covid-19 e demenza: l’emergenza sanitaria dentro un’emergenza quotidiana e futura

La recente emergenza sanitaria legata al Covid-19 ha avuto un particolare impatto sugli anziani con demenza ma anche nelle loro famiglie..

Di Roberta Sciore

Pubblicato il 01 Lug. 2020

La recente pandemia legata al Covid-19 ha avuto un particolare impatto sugli anziani con demenza e nelle loro famiglie. Infatti queste persone, da un giorno all’altro, si sono ritrovate totalmente isolate dalla propria rete di supporto sanitario, sociale e psicologico.

 

Nel mondo, si stima siano più di 50 milioni le persone malate di demenza con diversa caratterizzazione diagnostica e che ogni 3 secondi ne venga accertato un nuovo caso (World Alzheimer’s report 2019). Questa patologia, per peculiarità sindromiche e per pervasività dei diversi domini organici e psichici coinvolti, richiede un complesso ed articolato processo di cura, finalizzato ad accogliere e supportare bisogni medici, psicologici e sociali. Avere una patologia neurodegenerativa significa, per chi ne è affetto, per lo più anziani con più di 65 anni, avere una supplementare vulnerabilità alle patologie virali e sistemiche che rende queste persone particolarmente fragili.

Complessivamente, la recente epidemia di COVID-19 ha causato gravi minacce alla salute fisica e alla vita delle persone, ma è stata altresì fortemente impattante anche nella vita degli anziani con demenza e nelle loro famiglie. Da un giorno all’altro, queste persone si sono ritrovate totalmente isolate da tutta quella rete di supporto sanitario, sociale e psicologico che solitamente ricevevano. I caregivers di questi malati si sono trovati a gestire i loro cari malati per tutto il giorno dentro le mura domestiche, quando precedentemente avevano dei momenti di respiro garantiti dall’assistenza domiciliare o dalla frequentazione di centri diurni specialistici. Allo stesso modo, i familiari di anziani con demenza che risiedevano in strutture sanitarie dedicate non hanno più visto di persona i propri parenti per mesi, se non in rapide videochiamate o in scambi d’informazioni veicolati dal personale sanitario. Nell’insieme, questi elementi hanno reso gli anziani affetti da demenza soggetti fortemente vulnerabili alla pandemia Covid-19, sia per gli svantaggi sociali ed assistenziali dovuti alle misure di isolamento e di distanziamento sociale che per l’elevata pericolosità di possibili esiti iatrogeni in caso di contagio virale.

In un recentissimo studio italiano, Bianchetti et al. 2020 hanno analizzato il possibile ruolo della demenza come fattore di rischio di mortalità per gli anziani colpiti dal virus. Gli autori, adottando una metodologia di studio retrospettiva, hanno utilizzato le informazioni cliniche dei registri dei reparti COVID degli Ospedali della provincia di Brescia di 627 anziani ricoverati con polmonite da SARS-CoV-2. Tra i pazienti coinvolti nello studio, 82 avevano una diagnosi di demenza (13.1%).Gli autori hanno utilizzato la Clinical Dementia Rating Scale (CDR) per distinguere i pazienti in relazione alla pervasività del deterioramento cognitivo, individuando: 36 pazienti allo stadio I (43,4%), 15 pazienti allo stadio II (18,3%) e 31 pazienti allo stadio III (37,8%). I risultati di questo studio hanno documentato un tasso di mortalità del 62,2% tra i pazienti con patologia neurodegenerativa rispetto al 26,2% in anziani con funzionamento cognitivo integro. Da un punto di vista psicologico e clinico, è interessante notare come per gli anziani affetti da Covid-19 era presente un pattern sintomatologico caratterizzato da delirio (67%) soprattutto in forma ipoattiva (50%) e da un generale peggioramento dello stato funzionale e delle autonomie di base.  È inoltre significativo riportare come per questo particolare campione di popolazione vi fosse una minor presenza dei sintomi medici solitamente associati al coronavirus. Infatti, solo il 47% dei pazienti aveva febbre, il 44% la dispnea ed il 14% la tosse. Le riflessioni conclusive di questo pioneristico studio, nell’ambito della clinica medica e neuropsicologica per i pazienti con demenza, hanno portato ad argomentare come la diagnosi di demenza, soprattutto nelle fasi più avanzate, rappresenti un importante fattore di rischio per la mortalità e di ulteriore riduzione del funzionamento nei pazienti COVID-19. Inoltre, la configurazione dei sintomi per i pazienti con demenza affetti da coronavirus è risultata essere atipica, riducendo quindi ulteriormente la possibilità di riconoscere precocemente i sintomi in questa complessa popolazione caratterizzata già da importanti difficoltà comportamentali e di comunicazione che ne ritardano già solitamente il ricorso a possibili cure sanitarie.

Oltre a tali aspetti di rischio correnti, quali potrebbero essere le conseguenze future della pandemia per le persone affette da deterioramento cognitivo e per i caregivers?

Nelle nostre società, negli ultimi vent’anni, i sistemi sociali ed economici si sono mobilitati per architettare strutture e servizi che a diverso livello aiutano e supportano le persone con demenza ed i familiari che se ne prendono cura. La diffusione improvvisa e pervasiva della pandemia, dovuta al diffondersi del COVID-19, ha determinato una crisi improvvisa ed una profonda situazione emergenziale in tutto il settore sociale ed assistenziale che si occupa d’invecchiamento ed in particolare nei professionisti, nelle strutture e nei sanitari che si occupano di gestione di anziani con demenza.  Molte delle risorse presenti sul territorio sono state convertite per l’emergenza ed inoltre molte delle cure e delle assistenze domiciliari, di cui i malati di demenza beneficiavano, sono state sospese. Da un punto di vista d’interesse psicologico e di benessere, è importante considerare come le persone con demenza non hanno e non stanno beneficiando di tutti quei interventi non farmacologici che vengono promossi soprattutto per limitare la sintomatologia psichiatrica e comportamentale associata alla demenza (deliri, allucinazioni, depressione, apatia, agitazione, aggressività, vagabondaggio, affaccendamento, ecc), definita con l’acronimo BPSD (Behavioral and Psychological Symptoms of Dementia). Come sottolineato da Brown et al., 2020 in un recente lavoro, gli interventi proposti solitamente per gestire i BPSD coinvolgono i contatti fisici e sociali, impossibili da esercitare in questi tempi di distanziamento sociale. Gli autori riportano come dagli anziani con demenza, in conseguenza dell’interruzione della rete di stimolazione sociale, ci si dovrà aspettare a breve e a lungo termine un’amplificazione dei BPSD, in particolare dell’apatia e quindi un aumento delle difficoltà da fronteggiare da parte dei caregivers. Un ulteriore rischio secondo Brown et al., 2020 è dato dalla brusca ed improvvisa interruzione della routine quotidiana che questa vulnerabile popolazione ha subito, come tutti, a causa delle misure anti Covid. Gli autori evidenziano come, per i pazienti con demenza, questi rapidi cambiamenti possano portare a modificazioni nei delicati equilibri emotivi, in particolare per l’ansia e per la rabbia, e nei ritmi sonno-veglia. Come riportato da  Richards  et al., 2005 in questi pazienti, le difficoltà del sonno possono essere ulteriormente influenzate dall’ansia e delle limitazioni delle relazioni sociali. Alimentare tali circoli viziosi significa creare ai caregiver una grande difficoltà di gestione del familiare. In tali situazioni, può essere una scelta sbagliata inserire farmaci ipnoidi in quanto quest’ultimi, oltre a creare spesso problemi di metabolizzazione dovuti alla frequente polifarmacoterapia, indeboliscono il labile sistema motivazionale degli anziani con deterioramento cognitivo, ampliando gli stati di apatia e limitando ulteriormente la funzionalità cognitiva. Come riportato da Ford et al., 2016, la combinazione tra apatia e difficoltà nel sonno può portare a sviluppare deliri, contribuendo ulteriormente ad alzare l’indice di morbilità e mortalità degli anziani con demenza.

In conclusione, l’emergenza legata alla pandemia di Covid-19 è stata ed è tutt’ora un’importante sfida mondiale che riguarda ogni fascia di popolazione,a cui bisogna far fronte con le risorse economiche, sociali e sanitarie che ciascuna società possiede. Tuttavia, le ricerche correnti riportano come gli anziani con demenza rappresentino una categoria fortemente a rischio non solo per la vulnerabilità sindromica che li caratterizza e li espone fortemente agli esiti iatrogeni del virus, ma anche per le possibili conseguenze a breve e a lungo termine, legate alla sospensione delle misure di gestione e di supporto non farmacologico e di tipo psicosociale. È importante quindi strutturare una rete di protezione per questa fragile fetta di popolazione e riprendere quanto prima anche in modo alternativo i programmi di stimolazione cognitiva e sociale e di supporto alle famiglie degli anziani con demenza.

Si parla di:
Categorie
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
 
CONSIGLIATO DALLA REDAZIONE
Covid-19: assistenza ai pazienti con organizzazione psicotica di personalità
COVID-19: cosa può succedere ai pazienti con grave sintomatologia?

Come fornire assistenza ai pazienti con organizzazione psicotica di personalità in un contesto di sicurezza per il personale sanitario e i pazienti stessi?

ARTICOLI CORRELATI
La psicologia dell’invecchiamento

La psicologia dell’invecchiamento studia l’invecchiamento e le possibilità di trattamento e servizi clinici da offrire alle persone over 65

Nonni e persone anziane: tra celebrazione e discriminazione – Uno sguardo al fenomeno dell’ageismo

Il 1° Ottobre si celebra la giornata dedicata alle persone anziane e ai nonni. Eppure l'ageismo resta una delle forme di discriminazione più "normalizzate"

WordPress Ads
cancel