Le persone con organizzazione psicotica della personalità hanno una modalità di pensare tendenzialmente sconnessa, irreale e distaccata e vivono in un mondo nel quale spesso cercano di ridurre al massimo i rapporti con l’altro. Quali effetti avrà avuto la condizione di isolamento per il Covid-19 su questi pazienti?
Nel presente articolo vi è l’intenzione di porre attenzione a una particolare fetta di pazienti che presentano uno specifico quadro psicopatologico: si fa riferimento alle persone con organizzazione psicotica della personalità e che, quindi, almeno una volta hanno presentato una profonda alterazione della personalità e un distacco della realtà. Il loro modo di pensare tende a essere sconnesso, irreale e distaccato: queste persone vivono in un mondo “proprio”, costruito su misura per se stessi, nel quale spesso cercano di ridurre al massimo i rapporti con l’Altro (PDM, 2006).
È possibile quindi, per alcuni, dedurre che una situazione come quella che l’esigenza sanitaria ci costringe a vivere, ossia di quasi totale isolamento, possa inficiare solo in parte queste persone; tuttavia, seppur la quarantena imposta dal Governo per limitare il contagio da COVID-19 riduca i rapporti sociali, la condizione attuale facilmente può sollecitare vissuti di onnipotenza o di persecuzione, basti pensare alle teorie complottiste ipotizzate da un notevole mole di persone, prive di alcuna diagnosi psichiatrica. In particolare, però, le persone con organizzazione psicotica di personalità hanno una maggiore probabilità di esperire tali vissuti, essendo spesso queste idee alla base della loro struttura di personalità.
Nozioni di base sull’organizzazione psicotica di personalità
Il quadro psicopatologico precedentemente descritto ha cause sia biologiche sia ambientali, ossia dipende da un disturbo del funzionamento cerebrale che rende più sensibili a situazioni di stress, che a loro volta influenzano lo stesso funzionamento, innescando così un ciclo vizioso.
Più precisamente, nel cervello vi sono delle particolari sostanze chimiche, chiamate neurotrasmettitori, che – in persone con organizzazione psicotica di personalità – sembrano funzionare in maniera alterata e determinare allucinazioni, deliri e disturbi del pensiero, i quali sembrano aggravarsi in condizione di stress (Habets P. et Al., 2012; Jones SR., Fernyhough C. 2007).
Inoltre, evidenze scientifiche dimostrano come la presenza di un quadro sintomatologico persistente nel tempo e ricadute peggiorino la prognosi della diagnosi e, a lungo termine, la qualità di vita del paziente (Huber, G., Gross, G., & Schuttler, R.,1975; Watt, D.C., Katz, K., Schepherd, M.,1983).
Ma cosa succede a questi pazienti con le restrizioni e le indicazioni del Governo?
Così come è noto, è stato chiesto di ridurre ai professionisti sanitari i contatti interpersonali e quindi, consigliato di ridurre, laddove fosse stato possibile, anche le visite psicologiche e psichiatriche. Ma come si valuta l’urgenza per tali pazienti? Qual è la condizione per cui questi pazienti possono non vedere i propri appuntamenti annullati o significativamente ridotti?
Il dolore intrapsichico di queste persone non è costante ma è soggetto a fluttuazione e tanto più questo diventa insopportabile tanto più si presenta un quadro sintomatologico (allucinazioni, deliri, e disturbi del pensiero): spesso la gravità, e conseguentemente l’urgenza, è valutata in base alla presenza o assenza di tali sintomi.
È certo che la presenza della sintomatologia precedentemente descritta richieda un immediato intervento, ma quanto – in questo specifico caso – intervenire sull’urgenza funge da misura di protezione per il contagio da COVID – 19 per gli operatori sanitari e per i pazienti stessi? Spesso, quando queste persone vivono un senso di angoscia e annichilimento tale da presentare un aggravamento dei sintomi, è impossibile rispettare il metro di distanza e il corretto uso degli DPI, Dispositivi di Protezione Individuali, proprio per la condizione estrema vissuta dai pazienti.
Inoltre, data la natura stessa di tale organizzazione di personalità, la quale è costituzionalmente più vulnerabile allo stress, è ipotizzabile che, in questo periodo di allarme, anziché ridurre le visite psicologiche e psichiatriche, queste vadano mantenute se non incrementate prima di un peggioramento, potendo – in situazioni meno compromesse – rispettare la distanza di sicurezza e le misure protettive.
In alcuni casi, è stato consigliato ai professionisti di cambiare il setting promuovendo colloqui psicologici e psichiatri telematici; tuttavia, è possibile che i Centri di Salute Mentale, presso i quali molti pazienti con organizzazione psicotica di personalità afferiscono, per motivi organizzativi, non riescono a fornire nell’immediato le suddette prestazioni sanitarie. Inoltre, questi pazienti non sono soliti possedere un elevato livello della consapevolezza del proprio disagio e, per tale ragione, tendono a essere poco complianti alle cure prestategli, e probabilmente – in alcuni casi – anche al cambiamento del setting terapeutico.
Infine, un ultimo aspetto che merita attenzione è la totale sospensione, promossa dalle Aziende Sanitarie, delle prestazioni effettuate da psicoterapeuti e psicologi, nelle vesti di volontari o tirocinanti, la quale ha determinato una brusca interruzione dei trattamenti in corso e, probabilmente, riattualizzato un trauma nei pazienti.