Il ciclo di lezioni proposto da Studi Cognitivi, per approfondire gli aspetti della sofferenza psicologica emersi in seguito all’emergenza Covid-19, continua con il webinar del 12 maggio, condotto dalla Dr.ssa Oppo.
The risck of love is loss and the price of loss is grief. (Hilary Stanton Zunin)
L’argomento trattato è particolarmente delicato: il lutto e il dolore che ne consegue.
Per quanto la morte sia un aspetto universale della vita degli esseri umani, spiega la docente, questa porta con sé sempre aspetti e sfumature profondamente personali e unici. Il lutto si manifesta come la risposta ad un evento stimolo, una perdita, e comporta reazioni emotive (come tristezza, angoscia), fisiche (per esempio una stretta al petto) e comportamentali in termini di pensieri (comportamenti interni) ed azioni.
Cosa trasforma il lutto in un lutto complicato? Cosa ci aiuta a distinguere una risposta fisiologica da una risposta che necessita un’attenzione dal punto di vista terapeutico?
Una variabile cruciale è il tempo. La Dr.ssa Oppo spiega come il lutto “non passi mai”: continuiamo a sentire il dolore con la stessa intensità, quello che con il tempo cambia è la frequenza e la durata con cui ci troviamo a viverlo. Appena dopo una perdita il dolore è sordo, arriva e permane. Se questo vissuto non si modifica nel tempo per frequenza e durata deve scattare un campanello d’allarme.
In tutte le culture del mondo si nota una ritualità nell’accompagnare il defunto e i suoi cari: esistono diverse manifestazioni con la stessa funzione lenitiva. Ma cosa succede se il processo naturale del lutto s’inceppa?
L’ACT distingue due tipi di dolore:
- il dolore pulito: parte ineliminabile dell’esperienza dell’essere umano;
- il dolore sporco: quello che provoca sofferenza.
Alcuni aspetti molto comuni che ci fanno scivolare verso il dolore sporco e che rischiano di inceppare un meccanismo naturale sono i messaggi malevoli che invalidano il nostro vissuto emotivo. Frasi come “pensa positivo”, “prendi uno Xanax”, “concentrati su qualcos’altro” lasciano intendere che ciò che si sta provando non va bene, che non se ne può parlare, e così il dolore diventa un tabù.
L’Acceptance and Commitment Therapy (ACT) è un approccio terapeutico che usa processi di accettazione e mindfulness e processi di impegno e cambiamento comportamentale per produrre maggiore flessibilità psicologica (Hayes). La flessibilità psicologica è un’abilità per affrontare le sfide che la vita ci porta, un repertorio di comportamenti, simile al coping. Può essere appresa e insegnata. È la capacità di essere aperti, presenti alle proprie esperienze interne e sensibili al contesto, mentre ci si impegna a fare cose che per noi hanno importanza ed azioni concrete verso i valori personali.
All’interno del modello della flessibilità psicologica il contesto costituisce un elemento centrale. La docente spiega, infatti, che per capire cosa mi sta accadendo devo dargli un nome, dignità, devo dargli dei confini, deve essere riconoscibile; non per costringerlo all’interno di un’etichetta, ma per conoscerlo.
Figura 1 – Il modello della flessibilità psicologica.
La Dr.ssa Oppo ha mostrato alcuni processi della flessibilità psicologica che possono essere implicati nel lutto complicato:
- Disengaged: allontanarsi da cosa ha senso per noi, la sensazione che nulla abbia più significato, la mancanza di azioni impegnate, azioni con un profondo valore personale (come andare a trovare una persona a noi cara anche se si è molto stanchi). È come se l’individuo perdesse la vitalità, come se non riuscisse a vedere altro che la sua sofferenza: non si sente ingaggiato, non è propositivo, non ha uno scopo.
- Combattere con le proprie esperienze interne: sentirsi intrappolati nei propri pensieri (fusione), faticare a credere che la persona cara non ci sia più (negazione), attuare un evitamento esperienziale (con strategie covert e overt) per non sentire le proprie esperienze interne.
- Mancanza di presenza: la mente è intrappolata nel passato o nel futuro, per cui non si riesce a vivere nel momento presente. In terapia bisogna partire da questo aspetto, perché se il paziente non è nel presente non si accorgerà di quello che gli succede intorno, l’intervento del terapeuta non avrà senso, non verrà colto. Come notare la mancanza di presenza? Per esempio quando il paziente è perso nello story telling (“da quando mio marito è morto, è morta una parte di me”, “non sono più quello di prima”). È una situazione simile ai sintomi dissociativi.
Il modello Hexaflex (modello della flessibilità psicologica o modello ad esagono) mostra i processi da promuovere.
Figura 2 – I processi da promuovere nel modello Hexaflex
La parte centrale, in grigio, comprende i due processi di AWARE (presenza):
- Contatto con il momento presente: può essere raggiunto con l’uso di strategie che si servono dei 5 sensi (per esempio la respirazione, la propriocezione).
- Sé come contesto: spesso di fronte a una perdita si tende a dare delle definizioni assolute di sé, come “prima ero così …”, “sono finito”, “sono vedovo”, “sono orfano”, che non lasciano spazio ad altro ed implicano una funzione evocativa di profonda sofferenza. È importante riportare il paziente a una dimensione in cui esista più di un punto di vista, in cui esistano tante parti di sé con una voce propria. Bisogna attuare un allargamento di prospettiva, riscoprire un sé indipendente da valutazioni, che si osserva nel qui ed ora.
La parte a sinistra, in rosso, mostra i due processi di OPEN (apertura):
- Accettazione: capita che le persone di fronte a un lutto minimizzino, dicendo frasi del tipo “non è successo niente”, “non sono l’unico che ha perso una persona cara”, mettendo in atto un evitamento esperienziale.
- Defusione cognitiva: descrive la situazione in cui la persona crede letteralmente ai propri pensieri, “non riesco a credere che non lo vedrò più”, si chiude e si irrigidisce.
La parte a destra, in verde, mostra i due processi di ENGAGE (impegno):
- Valori.
- Impegno nell’azione.
Questi ultimi due processi presuppongono la riscoperta della propria vitalità e il coinvolgimento del paziente in attività che abbiano per lui un significato, che rispecchino un valore personale.
La docente spiega come nei colloqui che si effettuano durante le prime fasi del lutto l’unica cosa che si può fare è “stare con quello che c’è”. Tutto è ammesso, tutto vale. Si validano le emozioni, si dà spazio e dignità a quel dolore, che magari non trova spazio altrove. Si iniziano ad applicare tecniche per stimolare specifici processi solamente in un secondo momento, partendo sempre dal lavoro sul contatto con il momento presente.