Poiché anche l’adozione internazionale, pur senza il periodo di ricovero in istituto, può essere considerata un evento traumatico, dividere i bambini adottati e quelli adottati post-istituzionalizzati permette di verificare con maggiore chiarezza gli effetti delle cure istitutive precoci indipendentemente dall’adozione.
Il presente contributo è il secondo di una serie di tre articoli sull’argomento. Nel primo articolo è stata effettuata una disamina generale della situazione attuale relativa agli orfanotrofi e agli istituti per minori. Presenteremo oggi le principali ricerche sull’argomento, i cui risultati verranno poi illustrati nel terzo e ultimo articolo.
I principali studi su questo tema fanno riferimento all’adozione internazionale, cioe l’adozione di un minore il cui stato di abbandono e di adottabilità sia stato dichiarato dalle autorità competenti di un Paese estero. I bambini sono stati valutati sotto diversi aspetti. Nel caso della valutazione dei comportamenti problematici (disturbi esternalizzanti ed internalizzanti), i questionari utilizzati più frequentemente sono quelli della Child Behavior Checklist. Queste schede valutative fanno parte del Sistema di valutazione su base empirica di T. Achenbach e possono essere considerate ottimi strumenti per una prima valutazione globale del comportamento.
Uno degli importanti lavori di ricerca che hanno utilizzato la Child Behavior Checklist è quello di Merz e McCall (2010). Questi ricercatori hanno osservato i problemi comportamentali di 342 bambini e ragazzi dai 6 ai 18 anni, adottati da istituti russi di San Pietroburgo. Tali istituti fornivano adeguate risorse fisiche, ma scarse cure ed attenzioni da parte dei caregivers. I bambini in queste istituzioni potevano, infatti, fruire di sostegno medico, nutrimento, sicurezza, igiene, giocattoli e attrezzature, ma sono stati esposti ad un alto turnover di caregivers, scarse interazioni e bassi livelli di stimolazione psicosociale (Kossover, 2004). L’obiettivo dello studio di Merz e McCall era quello di dimostrare che, anche in assenza di grave deprivazione materiale, l’istituzionalizzazione precoce fosse associata ad un maggiore rischio di problemi comportamentali, in particolare in caso di esposizione prolungata alle cure istitutive (superiore ai 18 mesi a partire dalla nascita). I bambini del gruppo PSD (psycho-socially deprived), adottati in età compresa dai 5 ai 60 mesi, avevano dai 6 ai 18 anni al momento della valutazione. I loro risultati sono poi stati confrontati con quelli di bambini non adottati, nati nel paese adottivo (Stati Uniti) e cresciuti con la famiglia biologica.
Sono diverse le ricerche che hanno utilizzato lo stesso questionario: è possibile confrontare gli stessi parametri in studi simili a quello di Merz e McCall (Audet et al. 2006; Hoksbergen et al. 2004), condotti in istituzioni rumene. Anche in queste ricerche, l’obiettivo principale era quello di verificare gli effetti della deprivazione istituzionale; per questa ragione il gruppo di confronto non deprivato (ND) era composto da gruppi rappresentativi di bambini nati nei paesi adottivi (Paesi Bassi e Canada). La principale variabile associata agli scarsi risultati nella compilazione del questionario è risultata essere l’età al momento dell’adozione, un dato generalmente correlato con la durata dell’istituzionalizzazione. Poiché molti genitori non ottengono informazioni precise riguardo al tempo speso in istituto dal proprio figlio, l’età al momento dell’adozione è un dato che puo essere riportato in maniera più accurata (Hawk età al. 2010).
Gli studi già presentati di Merz e McCall (2010) e Hoksbergen (2004), insieme a quello condotto da Gunnar (2007), sono stati particolarmente attenti a questa variabile, ed hanno confrontato bambini adottati precocemente con bambini adottati più tardi. L’importanza di queste ricerche è data dall’esclusione della variabile adozione: l’attenzione viene posta esclusivamente sulla durata del ricovero in istituto. Mentre il confronto precedente prendeva in considerazione bambini adottati e coetanei non adottati, queste ricerche hanno posto l’attenzione soltanto su bambini adottivi, dividendo i campioni in “early adopted” e “late adopted” per verificare con piu chiarezza l’esistenza di una correlazione tra la durata e gli effetti dell’istituzionalizzazione. Il limite tra “early” e “late” varia a seconda dei diversi autori: Hoksbergen (2004) definisce “late adopted” i bambini adottati dopo i sei mesi, Merz e McCall (2010) hanno posto il limite a diciotto mesi, mentre Gunnar (2007) a ventiquattro mesi. I bambini cresciuti in contesti istituzionalizzati hanno, di norma, fatto esperienza di un elevato numero di caregivers diversi, le cui attenzioni sono state spesso scarse e mal dirette (Monti et al.2010). Una volta allontanati dagli istituti e affidati ad una famiglia, essi sono sovrarappresentati nei servizi di salute mentale e di educazione speciale del loro nuovo paese (Juffer & van Ijzendoor 2005; Miller et al. 2009). Diversi studi hanno dimostrato che le loro performances scolastiche rimangono inferiori rispetto a quelle dei compagni, con un rinvio ai sevizi di educazione speciale doppio rispetto ai pari non adottati (12,8% vs 5,5%) (van Ijzendoorn & Juffer 2006).
I mediatori psicologici che potrebbero ricollegare queste difficoltà accademiche alla deprivazione precoce sono rappresentati dai disturbi dell’attaccamento: RAD (Reactive Attachment Disorder) e DSED (Disinhibited Social Engagement Disorder), caratterizzati da modelli di comportamento presentati sia da bambini cresciuti in istituto che da bambini maltrattati. Il DSM IV (APA, 2000) presentava due sottotipi del disturbo RAD: quello inibito e quello disinibito, caratterizzati nel primo caso da mancanza di interazione sociale e assenza di rapporti di attaccamento, e nel secondo caso da rapporti di attaccamento superficiali e diretti non selettivamente anche ad estranei.
Una recente modifica apportata nel DSM 5 (APA, 2013) parla di RAD per definire il sottotipo inibito e di DSED (Disinhibited Social Engagement Disorder) per descrivere il sottotipo disinibito: in entrambi i casi si tratta di comportamenti sociali inappropriati. I soggetti con DSED, in particolare, presentano risposte comportamentali indifferenziate con i diversi adulti, si allontanano facilmente con sconosciuti e non si appoggiano ai genitori neanche nei momenti di difficoltà (Rutter et al. 2007). Uno studio condotto in Inghilterra su bambini adottati provenienti dalla Romania ha mostrato una netta correlazione tra questo sottotipo indiscriminato e l’utilizzo di servizi di educazione speciale o deficit cognitivi (ibidem).
Una ricerca di grande importanza, specialmente per l’ampiezza del campione di soggetti studiati (395 bambini adottivi), è stata svolta in Finlandia nel 2011 (Raaska et al. 2011). Questi ricercatori hanno voluto osservare se le difficoltà di apprendimento riscontrate nell’ampio campione di bambini adottati fossero associabili a sintomi di RAD o DSED. Essi hanno utilizzato un altro questionario per la valutazione delle difficoltà di apprendimento: il Five to Fifteen (FTF) (Kadesjo et al. 2004; Trillingsgaard et al. 2004), indirizzato in parte ai genitori e in parte ai bambini stessi. Tale scheda valutativa comprende 181 affermazioni connesse a problemi comportamentali e dello sviluppo, raggruppate in otto categorie: memoria, apprendimento, linguaggio, funzioni esecutive, abilità motorie, percezione, abilità sociali e problemi emozionali/del comportamento. In una validazione precedente, la categoria dell’apprendimento nel FTF era correlata con il quoziente intellettivo generale ottenuto con la scala WISC III (Wechsler Intelligent Scale For Children) (Kadesjo , Trillingsgaard et al. 2004). Per la valutazione della sfera affettiva, non essendo ancora disponibile un questionario validato, è stato chiesto ai genitori di rispondere ad affermazioni come “si allontana spesso con sconosciuti”, “si ritira dal contatto”, “e troppo attaccato ad uno dei genitori”, “non cerca conforto in situazioni stressanti”. I genitori adottivi, in Finlandia, ricevono moltissime informazioni ed un’ampia formazione prima di ottenere la possibilità di adottare e tendono a riportare accuratamente i comportamenti dei loro bambini adottivi: per questa ragione, i dati possono essere considerati affidabili (Raaska età al. 2011).
Lo studio è particolarmente significativo perché, oltre alla percentuale di tempo in istituto, considera altri fattori: il genere, il numero di istituti cambiati e il continente d’origine dei soggetti (Asia, Africa, Sud America ed Est Europa). Dallo studio emergono, quindi, le caratteristiche peculiari del bambino che può, con più probabilità, necessitare di servizi di educazione speciale: i risultati sono particolarmente utili se si pensa all’importanza degli interventi precoci in ambito educativo. Un ulteriore esito negativo, frequente nei bambini deistituzionalizzati ed associato a numerose altre problematiche, è il disturbo da deficit di attenzione e iperattività (ADHD).
Wiik e colleghi (2011) ne hanno studiato l’incidenza in un campione di bambini adottivi provenienti da diversi paesi del mondo (Russia, Ucraina, Slovacchia, Cina, India e Filippine) mettendo in luce la possibile associazione tra l’insorgenza di questo deficit e le precoci esperienze di caregivers multipli (Hodges e Tizard, 1989; Haddad e Garralda, 1992). Lo studio di Wiik è rilevante in particolare per la gestione del campione: in questo caso, per isolare le variabili e verificare il ruolo delle cure istitutive, i bambini sono stati divisi in tre gruppi: (1) non adottati, (2) adottati non istituzionalizzati (provenienti da situazioni di affido temporaneo) e (3) deistituzionalizzati.
Poiché anche l’adozione internazionale, pur senza il periodo di ricovero in istituto, può essere considerata un evento traumatico, dividere i bambini adottati e quelli adottati post- istituzionalizzati permette di verificare con maggiore chiarezza gli effetti delle cure istitutive precoci indipendentemente dall’adozione.
Lo studio di Smyke e colleghi (2007) aveva infine l’obiettivo di dimostrare l’importanza del ruolo dei caregivers durante il periodo di ricovero istitutivo. Essi rappresentano gli adulti di riferimento e si puo plausibilmente ritenere che, per la maggior parte dei bambini in istituto, rappresentino le persone più importanti, in particolare nel primo periodo di vita. Tuttavia, i turni di lavoro stressanti, l’elevato numero di orfani e l’alto tasso di turnover fanno in modo che non sempre riesca ad instaurarsi un rapporto affettivo tra adulto e bambino. Smyke ed il suo gruppo di collaboratori, osservando serie di videoregistrazioni dei caregivers sul posto di lavoro, hanno studiato la quantità e la qualità delle interazioni con i bambini a loro affidati, per verificare se coloro che ricevevano piu attenzioni ed erano coinvolti in più interazioni presentassero un migliore stato di sviluppo cognitivo (scala di valutazione Bayley, 1993) ed affettivo (Infant Toddler Social Emotional Assessment, Carter et al. 2003). In particolare, sono state prese in considerazione cinque aree di sviluppo: crescita fisica, sviluppo cognitivo, espressione emotiva, competenze e comportamenti. I soggetti esaminati, 208 neonati e bambini in età compresa tra 5 e 31 mesi al tempo della valutazione, provenivano da tutte le sei istituzioni di Bucarest: lo studio può quindi essere considerato rappresentativo dell’assistenza istituzionale in Romania.
Leggi gli altri articoli sull’argomento:
1- I bambini adottati dopo l’istituto: gli effetti della deprivazione precoce sul loro sviluppo – Una panoramica sulla situazione attuale – Pubblicato su State of Mind il 21 Luglio 2020
2- I bambini adottati dopo l’istituto: gli effetti della deprivazione precoce sul loro sviluppo – I principali studi – Pubblicato su State of Mind il 22 Luglio 2020
3- I bambini adottati dopo l’istituto: gli effetti della deprivazione precoce sul loro sviluppo – I risultati dei principali studi – Pubblicato su State of Mind il 23 Luglio 2020