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I bambini adottati dopo l’istituto: gli effetti della deprivazione precoce sul loro sviluppo – I risultati dei principali studi

Alcuni studi hanno osservato il comportamento e l'apprendimento dei bambini istituzionalizzati per riscontrare gli effetti di questo contesto sullo sviluppo

Di Clara Cavallini

Pubblicato il 23 Lug. 2020

Gli studi hanno mostrato come, anche in assenza di gravi forme di privazione materiale, le cure istituzionali precoci siano associate ad un più alto rischio di problemi esternalizzanti e dell’attenzione rispetto ai bambini non-istituzionalizzati cresciuti in famiglia.

Il presente contributo è l’ultimo di una serie di tre articoli sull’argomento. Nel primo articolo è stata effettuata una disamina generale della situazione attuale relativa agli orfanotrofi e agli istituti per minori. Nel secondo articolo sono state invece presentate le principali ricerche sull’argomento, i cui risultati verranno oggi illustrati nell’articolo che segue.

 

Gli studi che hanno utilizzato la scala di valutazione CBCL hanno riscontrato evidenze simili: i minori deistituzionalizzati hanno mostrato più alti livelli di problemi comportamentali, in particolare disturbi esternalizzanti (comportamento aggressivo e trasgressione di regole) e disturbi dell’ attenzione, rispetto ai minori non adottati.

Una forte correlazione positiva è stata riscontrata anche tra l’età al momento dell’adozione ed i problemi comportamentali, manifestati in particolare dal gruppo degli adolescenti (12-18 anni).

Gli studi hanno quindi mostrato come, anche in assenza di gravi forme di privazione materiale, le cure istituzionali precoci siano associate ad un più alto rischio di problemi esternalizzanti e dell’attenzione rispetto ai bambini non-istituzionalizzati cresciuti in famiglia e che il tasso di problemi comportamentali aumenta significativamente con l’età al momento dell’adozione, in particolare per i bambini esposti a deprivazione istituzionale per più di 18 mesi a partire dalla nascita.

I bambini “late adopted” tendono a mostrare più difficoltà internalizzanti/esternalizzanti, disturbi del pensiero, dell’attenzione e del comportamento sociale rispetto ai coetanei “early adopted”.

Raaska e colleghi, dopo aver dimostrato la più alta incidenza di difficoltà di apprendimento nei minori adottati (33, 2% rispetto al 10% della popolazione generale), hanno individuato le variabili che spesso risultano associate a tali deficit.

Oltre all’età al momento dell’adozione, il genere e il paese d’origine, essi hanno trovato un ultimo fattore compromissivo, rappresentato dal numero di istituti cambiati: sotto l’aspetto scolastico, infatti, i bambini che sono stati trasferiti da un istituto all’altro, risultano svantaggiati rispetto a chi era rimasto in un unica struttura per l’intera durata dell’istituzionalizzazione.

I piu compromessi nelle abilità scolastiche sono risultati i minori provenienti dagli istituti dell’Est Europa e dall’Africa e i soggetti di sesso maschile. Al contrario, le femmine e i minori provenienti da istituti asiatici hanno mostrato più alti livelli di adattamento e performances scolastiche significativamente superiori.

L’obiettivo ultimo dello studio era quello di valutare in quale misura le difficoltà scolastiche fossero ricollegabili a disturbi dell’attaccamento quali RAD (Reactive Attachment Disorder) e DSED (Disinhibited Social Engagement Disorder): l’associazione è risultata fortemente significativa. Considerando che i disturbi dell’attaccamento compaiono in età prescolare, lo studio permette di focalizzare l’attenzione sui bambini a rischio ancora prima dell’ingresso scolastico.

Anche lo studio di Wiik, coerentemente con la letteratura precedente (Beverly et al.2008, Gunnar et al. 2007, Kreppner et al 2001), ha mostrato che il 23% dei bambini post istituzionalizzati presenta sintomi di ADHD e che soprattutto i bambini con storie istituzionali prolungate, valutati dagli otto agli undici anni, sono a rischio di sviluppare il disturbo.

Negli anni, diversi altri studi sul tema dell’istituzionalizzazione hanno confermato tale relazione ed hanno riscontrato la presenza di un disturbo più specifico, identificabile come inattention/ overactivity (tradotto dagli autori con il termine inattenzione-iperattività I/O), che si genera proprio da questa precoce esperienza di vita (Goldfarb, 1945; Taylor, 1994; Ames, 1997; Fisher et al., 1997; Rutter e ERA Study Team, 1998, 2001; Kreppner, O’Connor e Rutter, 2001; Roy, Rutter e Pickles, 2000, 2004).

È stata anche posta l’attenzione sulla difficile reversibilità del disturbo in adolescenza, a fronte delle precoci alterazioni neurobiologiche evidenziate da tali soggetti (Stevens et al., 2007). Rutter e colleghi (1998) hanno sottolineato, però, che se l’adozione è stata precoce e la qualità delle cure offerte della famiglia adottiva è stata buona, è possibile diminuire l’entità del disturbo.

Lo studio di Wiik ha anche mostrato che il rischio di ADHD dipende più dalle esperienze precoci dei bambini che dal loro paese d’origine: la persistenza di problemi di attenzione anni dopo l’adozione fornisce supporto per l’ipotesi che disattenzione e impulsività possano essere parte della sindrome post-istituzionale (Kreppner et al., 2001).

Una delle scoperte piu importanti sul tema dell’istituzionalizzazione è probabilmente rappresentata dall’importanza rivestita dalle interazioni con i cargivers. Nel 2007, Smyke e colleghi hanno infatti messo in luce una forte correlazione tra la quantità e la qualità delle interazioni e lo sviluppo cognitivo e le competenze dei bambini. Tuttavia, per la natura dei dati, non e possibile determinare se i bambini più compromessi abbiano richiesto meno attenzioni o se le scarse cure abbiano portato a tali ritardi.

Entrambe le direzioni possono plausibilmente essersi verificate nel tempo: i bambini che ricevono una migliore qualità assistenziale possono utilizzare le loro interazioni con i caregivers per guadagnare una più complessa conoscenza dell’ambiente e del proprio ruolo al suo interno, raggiungendo maggiori competenze.

I risultati possono comunque essere ritenuti affidabili poiché sono stati esclusi dal campione sperimentale i soggetti con gravi handicap (sindrome alcolica fetale o grave paralisi cerebrale). L’osservazione delle videoregistrazioni ha mostrato che spesso i bambini in istituto non avevano a disposizione un caregiver che soddisfacesse i loro bisogni e che non erano coinvolti in interazioni, conversazioni con i pari o giochi creativi.

In questo studio la qualità dell’interazione e delle cure da parte del caregiver è risultata altamente correlata con tre delle sfere evolutive considerate: quoziente di sviluppo (developmental quotient, DQ), comportamenti adattivi e competenze, mentre la percentuale di tempo in istituto soltanto alla sfera dei comportamenti problema. Ciò dimostra che il semplice fatto del risiedere in un istituto è meno potente del micro-ambiente costituito da ogni bambino con il proprio caregiver di riferimento.

Non sorprende che i bambini più grandi, in questo studio come nei precedenti, abbiano mostrato un più alto livello di deterioramento cognitivo rispetto ai più piccoli: questo è compatibile con l’idea, ampiamente provata, che la capacità cognitiva si deteriori con il progredire dell’assistenza istituzionale.

E’ importante sottolineare che questi risultati confermano quanto e già stato riscontrato nei precedenti 50 anni in vari studi riguardanti le caratteristiche dello sviluppo di minori cresciuti in istituto.

Considerazioni conclusive

Il radicale cambiamento di ambiente che avviene quando la profonda deprivazione istituzionale precede l’adozione crea un “esperimento naturale” che puo essere utilizzato per testare le ipotesi sugli effetti della deprivazione precoce.

Questo articolo ha posto l’attenzione su alcuni studi che hanno osservato comportamento e apprendimento dei bambini adottivi, mettendo in luce come alcuni fattori possano influenzarne lo sviluppo cognitivo e comportamentale.

I fattori analizzati, correlati con diversi gradi di adattamento nel periodo successivo all’adozione, sono:

  • l’istituzionalizzazione (Hoksbergen et al. 2004; Smyke et al.2007; Merz e McCall, 2010; Raaska et al.2011; Wiik et al.2011);
  • l’età al momento dell’adozione (Hoksbergen et al. 2004; Smyke et al. 2007; Merz e McCall, 2010; Raaska et al.2011; Wiik et al. 2011);
  • il numero di istituti cambiati nel periodo precedente all’adozione (Raaska et al. 2011);
  • la quantità/qualità di interazioni con i caregivers (Smyke et al.2007);
  • il genere ed il paese d’origine (Raaska et al.2011);

I risultati delle ricerche analizzate forniscono un forte supporto all’idea che l’esposizione alle cure istitutive, specialmente se per un periodo di tempo superiore ai 18 mesi, sia profondamente incisiva sullo sviluppo dei bambini. Gli studi presi in considerazione hanno mostrato una più alta incidenza per i bambini post-istituzionalizzati di disturbi:

  • esternalizzanti (Audet et al. 2006, Hoksbergen et al. 2004; Merz e McCall, 2010);
  • dell’attenzione (Hoksbergen et al. 2004; Merz e McCall, 2010; Wiik et al. 2011);
  • dell’apprendimento (Silver, 1969; Raaska et al.2011);
  • dell’attaccamento (RAD e DSED) (Raaska et al.2011);
  • del comportamento sociale (Smyke et al.2007);

Queste alterazioni sembrano essere dovute all’inadeguata qualità delle cure, intesa come: disequilibrio nel rapporto numerico tra bambini ed educatori, eccessivo turnover del personale, scarse stimolazioni tattili, visive e uditive, rari e mal diretti momenti d’interazione sociale tra adulti e bambini, impossibilità di sperimentare momenti di calore, rare opportunità di gioco libero tra coetanei e di scoperta libera o guidata dell’ambiente.

Viene confermato quanto già sostenuto da una prospettiva interdisciplinare evolutiva: è all’interno di una relazione stabile, calorosa ed empatica che il bambino acquisisce le abilità indispensabili per un sano sviluppo psico-fisico (Monti et al.2010). A tale proposito, gli interventi improntati al miglioramento delle istituzioni dovrebbero costituire il fine ultimo delle ricerche, in quanto tali istituzioni non sembrano destinate a scomparire molto presto (Smyke et al. 2007).

Per migliorare la condizione di vita all’interno degli istituti, è possibile prendere in considerazione alcuni interventi. A livello del microsistema, ovvero delle relazioni a due (bambino-adulto), si potrebbe diminuire il rapporto numerico tra bambini ed operatori e disincentivare il turnover del personale, rendendo più facile l’instaurarsi di una relazione preferenziale. Sarebbe auspicabile, inoltre, formare gli operatori delle strutture sull’importante ruolo che essi stessi rivestono nella crescita dei bambini e su come svolgere le proprie mansioni mettendo al centro il minore. Infine, sarebbe opportuno permettere ai minori di prendere parte ad attività sportive o di altro genere, che possano aumentare il loro senso di autoefficacia, stimolando la socializzazione tra pari (Cyrulnik e Malaguti, 1999).

In ultimo, per implementare le risorse a livello del macro-sistema, sarebbe opportuno lavorare al fine di costruire una comunità resiliente grazie anche all’informazione e alla divulgazione degli effetti negativi sullo sviluppo infantile di tali contesti, per poter arrivare a delle vere e proprie modificazioni delle politiche sociali (Emiliani, 2004).

 

Leggi gli altri articoli sull’argomento:

1- I bambini adottati dopo l’istituto: gli effetti della deprivazione precoce sul loro sviluppo – Una panoramica sulla situazione attuale – Pubblicato su State of Mind il 21 Luglio 2020
2- I bambini adottati dopo l’istituto: gli effetti della deprivazione precoce sul loro sviluppo – I principali studi – Pubblicato su State of Mind il 22 Luglio 2020
3- I bambini adottati dopo l’istituto: gli effetti della deprivazione precoce sul loro sviluppo – I risultati dei principali studi – Pubblicato su State of Mind il 23 Luglio 2020

 

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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