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Cybercondria: Internet, abbiamo un problema…sulla salute…e non è la pandemia!

Cybercondria, una eccessiva e ripetuta ricerca online di informazioni mediche, determina un incremento dei vissuti ansiosi relativi alla propria salute

Di Stefania Righini, Elisa Moretti

Pubblicato il 01 Giu. 2020

Aggiornato il 15 Set. 2020 15:32

In questo momento di allarme generalizzato rispetto alla salute, siamo quotidianamente bombardati da notizie poco rassicuranti riguardo alla stessa e contemporaneamente invitati, o costretti, a rimanere nelle nostre case. Alcuni aspetti del nostro funzionamento piscologico ci espongono ad un maggior rischio di cybercondria, psicopatologia comunque epidemiologicamente in aumento, già prima della pandemia.

 

Luca da qualche giorno avverte un costante mal di testa.

E’ diverso dal mio solito mal di testa, un dolore lieve, ma possibile che non passi neanche con gli antidolorifici? Strano, non mi era mai successo prima d’ora. Potrei chiamare il dottore…inutile, mi risponderà come sempre che non è niente e che è solo stress. Devo fare qualcosa, devo capirne di più, non è normale che un mal di testa duri così a lungo. Adesso controllo su Google cercando mal di testa lieve, ma costante. Scorro rapidamente i primi risultati: emicrania, cefalea tensiva … sì ok ma qui invece che dicono? Tumore al cervello? E questo articolo invece che dice? Mal di testa: il sintomo sottovalutato che ti può uccidere. Oddio, devo cercare in Internet altre informazioni … avevo promesso a mio figlio che avremmo visto un film insieme, lo guarderemo un’altra volta, adesso ho cose più urgenti di cui occuparmi….

Anna trascorre abitualmente molto tempo al computer e, soprattutto, sul telefonino, in particolare sui social, fino a tarda notte.

In questo periodo non si parla d’altro, il COVID-19. Amici e colleghi inviano post su come comportarci e cosa sapere per proteggerci … speriamo bene, siamo tutti preoccupati vedo. Aspetta, qui si dice che può partire da un semplice mal di gola … non lo avevo capito, pensavo si riconoscesse dalla difficoltà a respirare … fame d’aria la chiamano. Effettivamente, deglutendo, la gola mi fa un po’ male e mi pizzica il palato, mi misuro subito la febbre. Trentasei e otto. Non è febbre. Sì ma su questo sito dicono che la febbre può salire dopo e su quest’altra pagina Web che il virus vola nell’aria fino a 5 metri e che bere tanta acqua lava il virus dalle vie aeree. Io bevo pochissimo, lo so, dovrei bere di più. Quella signora, in fila al supermercato dietro di me, la settimana scorsa, ha starnutito (…). Provo a deglutire di nuovo, ho come un nodo in gola, faccio fatica, sento un po’ di oppressione al petto, all’altezza dei polmoni, oddio effettivamente mi manca l’aria, lo sapevo ….

In questo momento di allarme generalizzato rispetto alla salute, in cui siamo quotidianamente bombardati da notizie poco rassicuranti riguardo alla stessa e contemporaneamente invitati, o costretti, a rimanere nelle nostre case piuttosto che a rivolgerci agli ambulatori medici e specialistici, alcuni aspetti del nostro funzionamento piscologico ci espongono ad un maggior rischio di cybercondria, psicopatologia comunque epidemiologicamente in aumento, già prima della pandemia.

La tendenza a interrogare il “Dr. Google” piuttosto che il proprio medico curante per problematiche relative alla salute è estremamente diffusa. La letteratura riporta come, già nel 2010, l’88% degli utilizzatori di internet negli USA ricercava informazioni mediche online ed il 62% di loro lo aveva fatto nell’ultimo mese e come, dal 2007 al 2016, tali ricerche siano aumentate del 62% negli adulti del Regno Unito che utilizzano Internet quotidianamente (Vismara et al., 2020). Il rassicurante Dr. Google, potenziale specialista di ogni malattia, può diventare ben presto fonte di preoccupazioni e angoscia, soprattutto per chi soffre di ansia per la salute o, comunque, ha una vulnerabilità rispetto alla dimensione ansiosa. Tali comportamenti possono infatti autoalimentarsi fino alla Cybercondria, un eccessivo e ripetuto comportamento di ricerca online di informazioni mediche associato ad un progressivo incremento dei livelli di ansia relativi alla propria salute (Starcevic, 2017; Vismara et al., 2020).

La direzione della causalità di tale relazione può variare da un individuo all’altro per cui, in alcuni casi, un’intensa ansia per la salute può essere primaria e le ricerche online rappresentano il tentativo di alleviarla, mentre in altri le ripetute ricerche online potrebbero secondariamente slatentizzare tale sintomatologia. Le prime definizioni di Cybercondria si sono focalizzate principalmente sulle manifestazioni ansiose conseguenti all’uso di Internet finalizzato alla ricerca di informazioni circa la salute (Beling, 2006; Harding, Skritskaya, Doherty & Fallon, 2008;  Ryan & Wilson, 2008; Recupero, 2010), nonché sulla tendenza autoperpetuante di tale comportamento che, nel breve termine, produce una temporanea riduzione della preoccupazione percepita, divenendo, nel lungo termine, un pattern di risposta abituale (Taylor & Asmundson, 2004).

Il funzionamento psicopatologico riguarda nel complesso un’infondata escalation di preoccupazioni circa segni e sintomi del corpo derivante dalla ricerca di risultati scientifici, o ritenuti tali, sul Web. White & Horvitz (2009) sottolineano inoltre come la ricerca online del significato clinico di sintomi completamente innocui e comuni possa determinare un “upgrade” nella ricerca di sintomi più severi e di condizioni cliniche più rare, collegate al sintomo iniziale.

Le motivazioni sottostanti alle ricerche possono essere diverse, dalla semplice curiosità all’approfondimento del significato di una manifestazione corporea o sintomatologica di qualsiasi natura. Il Web costituisce una fonte inesauribile di informazioni mediche e consente di effettuare ricerche su qualsiasi sintomo percepito. In alcuni casi, però, i risultati di queste ricerche non sono affidabili come possono sembrare. Le caratteristiche degli algoritmi dei motori di ricerca, infatti, influenzano la qualità delle informazioni a cui si viene esposti, in quanto la gerarchia dei risultati dipende anche dalla frequenza con cui una certa ricerca viene effettuata o da campagne di marketing. Uno studio della Microsoft Research, che ha preso in considerazione più di 40 milioni di pagine web relative a questioni mediche e messo in relazione i dati con i risultati di una survey su 515 individui, ha dimostrato l’esistenza  di un collegamento tra patologie relativamente rare, come i tumori cerebrali, e sintomi molto comuni, come il mal di testa (White & Horwitz, 2009). Fra l’altro, come riportato da alcuni autori (Vismara et al. 2020; Starcevic, 2017), tali fonti di informazione risultano spesso discrepanti, implementate da volontari, dei quali spesso non ne sono verificate o non risultano verificabili le competenze.

Non sorprende quindi come, in presenza di Cybercondria, la tendenza ad effettuare continue ricerche online determini un progressivo incremento dei vissuti ansiosi relativi alla propria salute.

Tali vissuti, sia nel breve che nel lungo periodo, comportano una serie di costi fra cui il lungo tempo speso, l’impiego di risorse cognitive, anche in termini di distrazione rispetto alle attività di vita quotidiana, la ricerca e l’accesso a figure professionali sanitarie. Sotto questo profilo, la Cybercondria è stata concettualizzata da Starcevic e Berle (2013, 2015) come un’eccessiva e ripetitiva ricerca su Internet di informazioni riguardanti la salute, guidata da distress o ansia circa la salute la quale amplifica, a sua volta, il distress o l’ansia stessi (Starcevic, 2013; 2015). Gli autori inoltre sottolineano la caratteristica ossessivocompulsiva del comportamento derivante dalla preoccupazione somatica che riguarda la ricerca compulsiva, ricorrente e compromissoria in termini di dispendio di tempo. Integrando questi due aspetti, McElroy & Shevlin (2014) descrivono la Cybercondria come un costrutto multidimensionale, caratterizzato dalla natura indesiderata delle ricerche su internet (compulsione), da stati emotivi ansiosi associati a tali ricerche, da eccessiva sfiducia nei confronti del proprio medico curante nonché da un eccessivo bisogno di rassicurazioni.

Tale pattern comportamentale, come detto, può arrivare a livelli altamente compromettenti il funzionamento personale, con un’interruzione delle attività di vita quotidiana. Inoltre, la percezione di perdita di controllo, sottende ulteriori conseguenze negative in termini di elevati livelli di ansia, distress, e assunzione di comportamenti finalizzati al controllo (Vismara et al., 2020).

Alcuni autori che hanno studiato la relazione tra Cybercondria e altri costrutti psicologici hanno evidenziato un’associazione diretta fra bassa autostima e severità del disturbo (Bajcar & Babiak, 2019) e come l’anxiety sensitivity costituisca un potenziale fattore di rischio per la slatentizzazione della Cybercondria. Per quanto riguarda, invece, l’intolleranza all’incertezza, sebbene alcuni studi evidenzino una relazione con la Cybercondria, non è ancora chiaro se vi sia una direzione causale oppure semplicemente correlazionale. Di particolare importanza nella concettualizzazione del disturbo, poiché verosimilmente sotteso al suo mantenimento, vi è l’aspetto metacognitivo, rispetto al quale si evidenziano correlazioni con la Cybercondria sia rispetto a metacredenze positive di utilità, che negative di pericolosità ed incontrollabilità (Fergus & Spada, 2017; Bailey & Wells, 2015). Gli stessi autori hanno altresì riscontrato una correlazione positiva fra Cybercondria e credenze che riguardano i rituali ed i segnali di stop, inclusi nel modello metacognitivo del Disturbo Ossessivo Compulsivo (DOC).

Sotto il profilo sociodemografico non si rilevano significative differenze di genere in termini di predittività del disturbo, anche se al riguardo la letteratura è ancora piuttosto contenuta e controversa. L’età, invece, sembra essere un moderatore significativo della relazione fra ansia sulla salute e Cybercondria per cui soggetti più giovani con preoccupazione sulla salute ritengono le ricerche online relativamente più rassicuranti o comunque queste sarebbero meno impattanti nello slatentizzare in loro la sintomatologia ansiosa (McMullan, Berle, Arnáez &  Starcevic, 2019).

Come parzialmente anticipato e facilmente intuibile, la Cybercondria  risulta in comorbidità con l’ansia sulla salute, il DOC e la dipendenza da uso di internet, in questo senso la ricerca indica una complessa relazione nosologica nella quale la Cybercondria può rappresentare una sindrome transdiagnostica che lega questi disturbi.

Non è stata ancora empiricamente riconosciuta una linea psicoterapeutica evidence-based per la Cybercondria tuttavia diverse ricerche propongono l’approccio CBT, eventualmente integrato dall’intervento psicoeducativo sul funzionamento del disturbo. Alcuni autori propongono come target del trattamento la sintomatologia sovrapponibile al DOC (in particolare i pensieri ossessivi sulla salute), le problematiche connesse all’utilizzo di Internet, l’intolleranza all’incertezza, le metacredenze cognitive, la ristrutturazione cognitiva delle errate o non realistiche interpretazioni di sintomi fisici o di sensazioni corporee, la tendenza al perfezionismo nonché  l’ambivalenza rispetto alla percezione di affidabilità di una determinata informazione (Fergus & Dolan, 2014; Fergus, 2015; Fergus & Russell, 2016; Fergus & Spada, 2018).

Inoltre l’approccio CBT offre interventi di tipo comportamentale di esposizione con prevenzione della risposta, particolarmente efficaci nel trattamento della sovrapponibilità sintomatologica con il DOC, i quali potrebbero rivelarsi utili per dilazionare i comportamenti di ricerca di rassicurazione in Internet nonché gestire l’urgenza percepita rispetto alla stessa. Per quanto riguarda, invece, la farmacoterapia, in assenza di una prima linea terapeutica di riferimento, le evidenze indicano la possibilità di una terapia con SSRI, soprattutto laddove si riscontrino comorbidità con ansia sulla salute primaria o DOC.

Considerato quanto sopra, sembra che stia emergendo una nuova area di attenzione nosografica e di ricerca riguardo i comportamenti ed i vissuti tipici della Cybercondria, quale psicopatologia emergente già negli ultimi anni. Sembra dunque evidente come noi clinici, anche in considerazione dei difficili mesi che stiamo vivendo, dovremmo considerare tali aspetti nel progettare e gerarchizzare i nostri interventi in psicoterapia … i quali, paradossalmente, si stanno sempre più svolgendo in rete. La Cybercondria non è dunque solo la versione moderna dell’Ipocondria o una strategia di gestione dell’ansia connessa alla pandemia, ma riguarda il modo di utilizzare l’innovazione favorita dal tempo che stiamo vivendo, argomento attualissimo di discussione e dibattito anche riguardo al modo di fare psicoterapia.

 

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