Esporsi a informazioni online riguardo alla propria salute, nel tentativo di rassicurarsi, è diventata una pericolosa abitudine in grado di alimentare le preoccupazioni già presenti e di farne nascere di nuove. Questo circolo vizioso di ricerche e ansie prende il nome di cybercondria.
Preoccuparsi per la propria salute è sano e adattivo, ma quando i pensieri diventano persistenti e l’ansia eccessiva si può avere un impatto negativo sulla propria vita, su quella dei propri cari e anche sugli operatori sanitari (Tyrer et al., 2016), oltre che sulla società in generale (Bobevski et al., 2016; Tyrer, 2018).
L’ipocondria o il disturbo da ansia di malattia, come viene definita dal DSM-5, è caratterizzata dall’errata interpretazione di segni e sintomi fisici, come se fossero segnali di una grave malattia, in assenza di una qualsiasi prova medica che possa giustificare tali timori.
Con l’avvento della digitalizzazione, la ricerca di informazioni circa la salute fisica e psichica si è rivelata la terza attività più frequente su internet (Fox, 2013). Questo comportamento può avere effetti sia positivi che negativi su chi lo mette in atto. I forum online, per esempio, possono essere un metodo efficace per incoraggiare a fare più attività fisica e a migliorare le proprie abitudini alimentari (Mcelroy e Shevlin, 2014). Nello stesso tempo, però, la ricerca sul web può causare allarmismo e aumentare incertezze e preoccupazioni (Starcevic e Aboujaoude, 2015).
Esporsi a informazioni online riguardo la salute, nel tentativo di dare un significato al proprio sentire e di rassicurarsi, è diventata una pericolosa abitudine in grado di alimentare le preoccupazioni già presenti e di farne nascere di nuove. Questo circolo vizioso di ricerche e ansie prende il nome di cybercondria (Starcevic e Berle, 2013).
Alcuni sostengono che la cybercondria sia semplicemente una forma moderna di ansia per la salute (Righini e Moretti, 2020). Tuttavia, gli studi degli ultimi anni, che hanno analizzato i due fenomeni, mostrano una correlazione tra i due (McMullan et al., 2019), ma anche una differenza significativa (Fergus e Russell, 2016), portando a ritenere la cybercondria un pattern di particolari comportamenti e ansie che devono essere considerate come un nuovo target specifico a livello terapeutico (Arosio, 2020). La cybercondria, infatti, non è solo la versione moderna dell’ipocondria, ma include un’aspetto legato al modo disfunzionale di utilizzare l’innovazione che accresce le preoccupazioni per la propria salute in seguito alla ricerca di informazioni sul web (Righini e Moretti, 2020).
La cybercondria
Il termine cybercondria è un neologismo ottenuto dalla fusione di due parole, cyber e ipocondria, e definisce la tendenza a ricercare online persistentemente informazioni mediche in associazione a un progressivo incremento dei livelli di ansia relativi alla propria salute (Starcevic, 2017). Questo comportamento viene messo in atto con lo scopo di rassicurarsi e ridurre la preoccupazione percepita, ma solo temporaneamente, infatti a lungo termine piò diventate una modalità di risposta abituale e disfunzionale (Taylor e Asmundson, 2004), in grado di aumentare i livelli di disagio.
Il web offre una vastità inesauribile di informazioni mediche, permettendo agli utenti di analizzare ogni minima sensazione disturbante percepita, ma fornendo spesso risposte non completamente affidabili e accurate. Le ricerche online di un sintomo pressoché innocuo, come un mal di testa, possono condurre velocemente a un’escalation di condizioni patologiche gravi e rare, come tumori cerebrali (White e Horvitz, 2009). Inoltre, le informazioni ottenute su internet spesso non concordano tra loro e le fonti non sono affidabili, né verificate o verificabili (Vismara et al. 2020; Starcevic, 2017), fattori che concorrono nell’aumentare ulteriormente i livelli di ansia. La cybercondria comporta quindi una serie di costi a lungo termine che spesso non vengono percepiti, come il tempo passato a ricercare online, le risorse cognitive impiegate e sottratte ad altro, l’incremento dei vissuti disturbanti e l’accesso alle figure sanitarie (Righini e Moretti, 2020).
Fattori di rischio e diagnosi
La cybercondria è una condizione patologica di recente scoperta ed è oggetto studi e di interesse in quanto potenziale nuova area nosografica. Tuttavia, sono ancora poche le ricerche che permettono di comprendere maggiormente questo fenomeno.
Sembra che alcuni tra i potenziali fattori di rischio implicati nello sviluppo della patologia siano una particolare sensibilità all’ansia e una spiccata intolleranza verso situazioni di incertezza (Norr et al., 2015).
McElroy e Shevlin (2014) hanno creato uno strumento ad hoc per valutare la cybercondria, la Cyberchondria Severity Scale (CSS). Il test si compone di 5 sottoscale e di 33 item. Le scale hanno lo scopo di indagare 5 caratteristiche del disturbo: ossessione, distress, eccesso nel cercare, ricerca di rassicurazione e sfiducia nel professionista medico. Gli autori, infatti, sostengono che la cybercondria sia un costrutto multidimensionale caratterizzato dalla natura indesiderata delle ricerche su internet (compulsione), da stati emotivi ansiosi associati a tali ricerche, da eccessiva sfiducia nei confronti del proprio medico curante, nonché da un eccessivo bisogno di rassicurazioni (Righini e Moretti, 2020). Lo strumento ha dimostrato buone proprietà psicometriche (Selvi et al., 2018).
La diagnosi di cybercondria non è ufficiale, ma si può parlare di questo disturbo quando la ricerca è:
- eccessiva: si cerca troppo a lungo o troppo spesso;
- difficile da controllare: difficoltà a interrompere o evitare la ricerca;
- angosciante: causa emozioni di ansia o paura;
- compromettente: ha un impatto sulla tua vita quotidiana (Newby e McElroy, 2020).
Il trattamento
Dalle ricerche effettuate non sono state ancora individuate le linee guida evidence-based per il trattamento della cybercondria. Diversi studi hanno proposto delle terapie a orientamento cognitivo-comportamentale, supportate da interventi di psicoeducazione per comprendere il funzionamento del disturbo (Righini e Moretti, 2020).
Newby e McElroy recentemente (2020) hanno testato l’efficacia della terapia cognitivo-comportamentale via internet (iCBT) nei casi di cybercondria. Gli autori hanno indagato se, applicando un trattamento pensato originariamente per i problemi di ansia da malattia, si potessero ottenere dei miglioramenti nei self-report sulla cybercondria e se questi ultimi fossero associati a miglioramenti sul versante dell’ansia da malattia (Arosio, 2020). I partecipanti allo studio soddisfavano tutti i criteri per la diagnosi di DSM-5 disturbo d’ansia da malattia (IAD) o disturbo da sintomi somatici (SSD) e sono stati assegnati in modo randomizzato al gruppo iCBT o a quello di controllo. Gli sono stati somministrati i questionari Short Health Anxiety Inventory (SHAI) (Salkovskis et al., 2002), per la valutazione dell’ansia da malattia, e Cyberchondria Severity Scale (McElroy e Shevlin, 2014), per la valutazione relativa alla cybercondria.
Il gruppo iCBT ha mostrato una riduzione significativamente maggiore della cybercondria rispetto al gruppo di controllo, con grandi differenze sia nella scala totale di gravità della cybercondria sia nelle sottoscale della CSS relative alle compulsioni, al distress e all’eccessività. Inoltre, è stato mostrato che i miglioramenti dei sintomi ansiosi rispetto alla salute nel gruppo iCBT erano mediati dai miglioramenti in tutte le sottoscale della CSS, ad eccezione della sottoscala che indaga la diffidenza nei confronti dei medici. Sembra quindi che la CBT via internet, creata per intervenire sull’ansia per la salute, porti dei miglioramenti significativi anche nei casi di cybercondria. I risultati di questo studio sembrano indicare che un trattamento specifico può migliorare i sintomi della cybercondria, ma saranno necessari ulteriori conferme ed approfondimenti.
Bibliografia:
- Bobevski, I., Clarke, D. M., & Meadows, G. (2016). Health anxiety and itsrelationship to disability and service use: Findings from a large epidemiological survey. Psychosomatic Medicine, 78(1), 13–25.
- Fergus, T. A., & Russell, L. H. (2016). Does cyberchondria overlap with health anxiety and obsessive–compulsive symptoms? An examination of latent structure and scale in- terrelations. Journal of Anxiety Disorders, 38, 88–94.
- Fox, S. (2013). Peer-to-peer health care is a slow idea that will change the world. Susannah Fox.
- McElroy, E., & Shevlin, M. (2014). The development and initial validation of the cyberchondria severity scale (CSS). Journal of anxiety disorders, 28(2), 259-265.
- McMullan, R. D., Berle, D., Arnaez, S., & Starcevic, V. (2019). The relationships between health anxiety, online health information seeking, and cyberchondria: Systematicreview and meta-analysis. Journal of Affective Disorders, 245, 270–278.
- Newby, J. M., & McElroy, E. (2020). The impact of internet-delivered cognitive behavioural therapy for health anxiety on cyberchondria. Journal of anxiety disorders, 69, 102150.
- Norr, A. M., Albanese, B. J., Oglesby, M. E., Allan, N. P., & Schmidt, N. B. (2015). Anxiety sensitivity and intolerance of uncertainty as potential risk factors for cyberchondria. Journal of Affective Disorders, 174, 64-69.
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- Starcevic, V. (2017) Cyberchondria: Challenges of Problematic Online Searches for Health-Related Information. Psychother Psychosom 2017;86:129-133.
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- Starcevic, V., & Berle, D. (2013). Cyberchrondria: towards a better understanding of excessive health-realted Internet use. Expert Review of Neurotherapeutics, 13(2), 205–213.
- Taylor S, Asmundson G. (2004). Treating health anxiety: A cognitive-behavioral approach. New York, NY, US: The Guilford Press
- Tyrer, P., Eilenberg, T., Fink, P., Hedman, E., & Tyrer, H. (2016). Health anxiety: the silent, disabling epidemic. BMJ, 353.
- Vismara M, Caricasole V, Starcevic V, Cinosi E, Dell’Osso B, et al. (2020). Is cyberchondria a new transdiagnostic digital compulsive syndrome ? A systematic review of the evidence. Comprensive psychiatry, 99,152-167.
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