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Cyberchondria: googla un sintomo e ti dirò cos’hai

Fergus e Spada hanno proposto una concettualizzazione metacognitiva della cyberchondria, ossia la ricerca eccessiva di sintomi online..

Di Claudia Marino

Pubblicato il 05 Giu. 2020

In questo momento storico in cui sembra che “dott. Google” sappia tutto, è sempre più frequente pensare o sentire da parenti e amici “sai quel mal di testa che ho?! Ho googolato e potrebbe essere un tumore al cervello, che ansia!”.

Marino Claudia – OPEN SCHOOL Psicoterapia Cognitiva e Ricerca, Mestre

 

La ricerca di informazioni online rispetto alla propria salute è un fenomeno in crescita in tutto il mondo. Le statistiche nazionali indicano che circa il 35% degli italiani che usano Internet cerca online informazioni relative alla salute (Eurostat, 2018). Da un lato le ricerche online sulla salute comportano una serie di vantaggi come l’anonimato nel cercare le informazioni imbarazzanti, la gratuità delle informazioni ricevute e, perché no, la sensazione di “saperne di più” sui propri sintomi (Starcevic & Berle, 2013). D’altra parte, però, le pericolose auto-diagnosi e la conseguente sfiducia nel nostro medico di base o nello specialista di turno risultanti dalla ricerca di sintomi su siti internet di varia natura sembra peggiorare i livelli di ansia per la salute (White & Horvitz, 2009). A questo riguardo, in una recente meta-analisi, McMullan e colleghi (2019) hanno trovato un’associazione “media” tra ansia per la salute e la frequenza nella ricerca di sintomi. In altre parole, sembra che cercare sintomi online abbia a che fare con la preoccupazione per il proprio stato di salute (Taylor & Asmundson, 2004), ma, allo stesso tempo, sembra che il comportamento di ricerca di informazioni online possa avere anche delle caratteristiche specifiche. Anche se attualmente non c’è consenso internazionale sul ritenere la ricerca online la causa o la conseguenza dell’ansia per la salute, i ricercatori sembrano essere concordi sul fatto che cercare i propri sintomi online possa contribuire in modo significativo al peggioramento di un’ansia per la salute che probabilmente è pre-esistente (Starcevic & Berle, 2015) o ad innescare l’ansia per la salute in persone che prima di cercare non avevano livelli problematici di distress.

Cos’è la Cyberchondria: definizione e correlati psicologici

Al di là della ricerca online di sintomi di per sé, il termine “cyberchondria” indica una ricerca eccessiva e il perseverare in tale attività compulsivamente nonostante l’aumento dell’ansia per la salute esperito e la compromissione del funzionamento della vita quotidiana (Starcevic & Berle, 2013). Quindi, i molteplici e diversi risultati delle ricerche online di un sintomo, spesso, rendono il quadro diagnostico molto confuso e le persone tendono a cercare rassicurazioni dai medici prenotando molte visite per avere più pareri, facendo quindi accesso con più frequenza ai servizi del sistema sanitario nazionale. In questo senso, oltre ad aumentare i costi della sanità pubblica, i pazienti sperimentano un distress tale da provare sfiducia nei medici a causa della probabile incongruenza delle diagnosi ricevute dai medici in persona e online.

La natura multidimensionale della cyberchondria è stata catturata in uno strumento proposto da McElroy e Shevlin (2014): la Cyberchondria Severity Scale (CSS). Questa scala è stata tradotta in diverse lingue ed esiste anche una versione italiana che sarà pubblicata nei prossimi mesi.

La versione originale della scala contiene 33 item divisi in 5 sottoscale:

  • Compulsion: indica come il comportamento di continuare a cercare sintomi online comprometta il normale funzionamento quotidiano (esempio di item: “Cercare online i sintomi o le condizioni mediche percepite interrompe le mie attività sociali offline (riduce il tempo che passo con amici e familiari)”).
  • Distress: indica l’ansia per la salute legata alle ricerche online (esempio di item: “Incomincio a farmi prendere dal panico quando leggo online che un sintomo che ho è associato a una malattia rara/grave”).
  • Excessiveness: indica il ricorso ripetuto ed eccessivo all’uso di Internet per cercare i sintomi percepiti (esempio di item: “Leggo pagine web diverse riguardo la stessa presunta condizione medica”).
  • Reassurance: indica la ricerca di rassicurazioni dal medico per la grave preoccupazione scaturita dalla consultazione di siti web sulla salute (esempio di item: “Discuto delle mie scoperte mediche online con il mio medico di base/lo specialista”).
  • Mistrust of medical professional (reversed): indica la (s)fiducia nella diagnosi del medico rispetto ai risultati delle ricerche online (esempio di item: “Mi fido più della diagnosi del mio medico di base/specialista che della mia auto-diagnosi online”).

Al di là delle proprietà psicometriche della scala, questa misura evidenzia come la cyberchondria sia caratterizzata sia da aspetti comportamentali (per esempio, cercare eccessivamente informazioni online) che emotivi (cioè, la preoccupazione per la propria salute) che cognitivi e relazionali. In questo senso, fino ad ora è stata il fulcro del dibattito scientifico internazionale sulla definizione del fenomeno e dei suoi correlati.

Infatti, sembra che la cyberchondria abbia delle caratteristiche in comune sia con l’ansia per la salute “tradizionale” (essendone la “forma online”) sia con il disturbo ossessivo-compulsivo (per la natura compulsiva delle ricerche online; Fergus & Russell, 2016). Ciononostante, la caratteristica distintiva di questo fenomeno consiste nel fatto che non solo gli ipocondriaci cerchino online (e finiscano per stare peggio) ma anche chi non ha ansia per la salute in partenza può poi provarla come conseguenza delle ricerche online su un sintomo più o meno banale. Quindi, l’escalation di ansia e le ricerche online sfociano nell’aumento del tempo speso a cercare sintomi online e portano, quindi, a una compromissione della vita quotidiana (McElroy, Kearney, Touhey, Evans, Cooke, & Shevlin, 2019).

Fergus and Dolan (2014) hanno, inoltre, evidenziato delle aree di sovrapposizione tra la cyberchondria e l’uso problematico di Internet (PIU). Sembra, infatti, che oltre ad “avvenire” su Internet, la cyberchondria, come PIU, sia caratterizzata dalla difficoltà nel controllare l’uso di Internet che porta a conseguenze negative nella vita quotidiana lavorativa e relazionale. Nello specifico, sembra che i cyberchondriaci abbiano alti livelli di intolleranza all’incertezza e sensibilità all’ansia (e.g., Fergus, 2015; Norr, Albanese, Oglesby, Allan, & Schmidt, 2015) e, al contrario, bassi livelli di qualità della vita (Mathes, Norr, Allan, Albanese, & Schmidt, 2018). Questa riflessione pone delle questioni fondamentali sul modello teorico di riferimento (PIU vs. ansia per la salute) e, quindi, sul tipo di trattamento psicoterapeutico più adeguato da adottare per trattare questo fenomeno (Fergus & Spada, 2017).

Un modello metacognitivo per la cyberchondria

In riferimento all’inquadramento teorico della cyberchondria, un contributo interessante è quello di Fergus e Spada (2017, 2018) i quali hanno proposto una concettualizzazione metacognitiva del problema. Vista la sovrapposizione della cyberchondria con altri disturbi (ansia per la salute, PIU, DOC), gli autori hanno dimostrato che alcuni correlati di tali disturbi possono avere un ruolo nella spiegazione della cyberchondria. Nello specifico, Fergus e Spada (2017) hanno evidenziato che le credenze metacognitive, che sembrano essere coinvolte in PIU (Spada, Langston, Nikčević, & Moneta, 2008), possono essere rilevanti anche per la cyberchondria. La cyberchondria sembra, infatti, essere associata alle tre credenze metacognitive relative alla salute (Bailey & Wells, 2015): biased thinking beliefs (“Pensare al peggio a proposito dei sintomi mi terrà al sicuro”), thought illness fusion beliefs (“Preoccuparmi delle malattie rende probabile che accadano”) e credenze su uncontrollability of thoughts (“Rimuginare sulla malattia è incontrollabile”). Relativamente all’associazione con il DOC, gli autori hanno suggerito il link con due costrutti del modello metacognitivo del DOC (Wells, 2000): credenze sui rituali (“Devo cercare online informazioni sulla salute altrimenti non sarei in grado di rilassarmi”) e segnali di stop (“Posso smettere di cercare i sintomi online solo quando ho un forte senso di certezza”).

Quindi, Fergus e Spada (2018) hanno disegnato un modello metacognitivo della cyberchondria sulla base del Self-Regulatory Executive Function (S-REF; Wells & Matthews, 1994; Figura 1).

Cyberchondria modello metacognitivo FIG1

Figura 1. Adattamento del modello teorico presentato in Fergus & Spada (2018).

Concretamente, un cyberchondriaco potrebbe avere un pensiero (o un’immagine, un ricordo, una sensazione) legato alla sua salute (trigger), per esempio “ho un forte mal di testa, sarà grave?!”. Questo trigger attiva le sue credenze metacognitive sulla salute e il cyberchondriaco potrebbe ritrovarsi a pensare qualcosa del tipo “pensare il peggio di questo mal di testa mi salverà” (biased thinking beliefs), oppure “non posso smettere di pensare al mio mal di testa, è più forte di me” (uncontrollability of thoughts), oppure, più raramente, “se non mi preoccupo del mal di testa finirà che è un tumore al cervello” (thought illness fusion beliefs). Queste credenze contribuiscono all’escalation di ansia per la salute in quanto, verosimilmente, indurranno il cyberchondriaco a rimuginare sulla condizione di salute percepita, come strategia solo apparentemente funzionale per affrontare l’evento attivante, cioè il mal di testa iniziale. Inoltre, le credenze metacognitive così attivate portano il cyberchondriaco a cercare online i sintomi del suo mal di testa spinto dall’ulteriore credenza che di aver bisogno di cercare online altrimenti “non avrei pace, non starei mai bene” (credenze sui rituali) e di dover continuare a cercare finché, per esempio, “ho una sensazione interiore che mi segnala che posso fermarmi” o finché si sente più calmo (segnali di stop). Le credenze metacognitive e le credenze sui rituali e i segnali di stop diventano quindi fattori di mantenimento per le ricerche eccessive e per l’aumento di ansia per il mal di testa. Infatti, i risultati delle ricerche online ripetute forniranno una lunga serie di possibili diagnosi di malattie più o meno gravi in cui il cyberchondriaco si riconoscerà, diventando, così, ancora più preoccupato di avere davvero un tumore al cervello. A questo punto, sarà ancora più convinto di non poter controllare i suoi pensieri catastrofici sul mal di testa (uncontrollability of thoughts) e di doversi preoccupare più che può per scongiurare il tumore (thought illness fusion beliefs), sperimentando sempre più ansia e continuando a guardare più siti web che può in cerca di rassicurazioni o possibili cure. Infine, verosimilmente, prenoterà una serie di esami e di visite, anche contro il parere del suo medico di base.

In conclusione, in questo modello, la presenza costante di una minaccia percepita in forma di probabile malattia con il distress provato di conseguenza amplifica la difficoltà nell’auto-regolazione proprio per la continua attivazione delle credenze metacognitive e su rituali e segnali di stop.

Dal punto di vista clinico, il modello metacognitivo della cyberchondria identifica alcuni degli aspetti preferenziali su cui lavorare con un cyberchondriaco: le credenze metacognitive sulla salute e le credenze sui segnali di stop e sui rituali. Infatti, la terapia metacognitiva, che sembra efficace per trattare il disturbo d’ansia per la salute (es., Bailey & Wells, 2014) e il DOC (Wells, 2000), potrebbe essere particolarmente appropriato in questo contesto.

Ritornando alle preoccupazioni di parenti e amici che si affidano al Dott. Google, una raccomandazione sensata potrebbe essere quella di confrontarsi con il proprio medico di base rispetto al dubbio di avere una malattia prima di ingaggiarsi in ricerche online compulsive e di fare lo sforzo, per quanto difficile, di riconoscere tempestivamente le nostre credenze metacognitive sulla salute evitando, così, di diventare dei cyberchondriaci a tutti gli effetti.

 

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