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Mascherine e un metro di distanza: che ricadute interpersonali?

Non sapremo come le nostre strutture interpersonali resteranno condizionate dalla pandemia fin quando questo futuro prossimo non sarà diventato presente

Di Virginia Valentino

Pubblicato il 28 Mag. 2020

Quali conseguenze avranno le misure di prevenzione adottate per contenere il Covid-19 sul modo in cui riconsidereremo la distanza peripersonale, i confini di sicurezza e l’intimità? Ci sarà una ricaduta sulla sintonizzazione emotiva? Si capirà che sotto la mascherina c’è un sorriso?

 

In piena emergenza covid-19, soffriamo in modo assolutamente personale e soggettivo, per vari aspetti. Chi lamenta la costrizione, chi l’isolamento, chi la perdita di controllo, e così via. Anche le ricadute emotive sono diverse. Chi percepisce maggiormente l’ansia, chi la paura, chi la tristezza, ecc.. Una sera, durante una telefonata di conforto reciproco, un mio amico neurologo mi racconta del suo tallone d’Achille: “Se qualcuno voleva punirci, ha trovato il modo migliore costringendoci ad evitare il contatto fisico”. Soffriva all’idea di non poter abbracciare, baciare, accarezzare una persona cara nel momento in cui l’avrebbe rivista, magari dopo mesi.

Come non averci pensato? È così lampante.

Proprio quella mattina, infatti, osservavo con curiosità i comportamenti delle persone in fila al supermercato. Erano tutti distanti e in un silenzio quasi funereo. Alcune persone, pur riconoscendosi grazie alle piccole parti di volto scoperte, si erano salutate con un gesto timido, da lontano, senza scambiarsi alcuna parola. Mi son detta che va bene la prudenza e la distanza di un metro, ma qualcosina ce la possiamo ugualmente dire, no? Ho subito pensato alle conseguenze di tutto questo in futuro, al modo in cui riconsidereremo la distanza peripersonale, i confini di sicurezza e, non in ultimo, l’intimità. Non dovremo abbracciarci per mantenere la famosa distanza di un metro. Potremo toccarci, ma avremo i guanti e questo impedirà di sentire per davvero la pelle dell’altro. Ci sorrideremo con la bocca coperta dalla mascherina. Si capirà che c’è un sorriso? Gli occhi saranno sufficienti per essere riconosciuti?

Per gli esseri umani, determinate azioni implicite della comunicazione non verbale attraversano un sistema di riconoscimento automatico e velocissimo che permette di comprendere lo stato interno dell’altro, le emozioni e le intenzioni. Questo sistema comprende i “neuroni mirror” (Rizzolatti et al., 1996) collocati nelle aree premotorie della corteccia cerebrale (ma sono presenti anche in altre zone, come nella corteccia parietale inferiore) che si attivano quando compiamo un’azione e quando vediamo la stessa azione svolta da altri. Questo processo di simulazione è velocissimo, pre-verbale, immediato ed è alla base di alcuni processi legati all’empatia, alla comprensione, al rispecchiamento nell’altro (perfino all’apprendimento), tutti elementi alla base dell’intersoggettività. È possibile riconoscere l’emozione altrui nell’ordine di pochi momenti perché, come ben spiegato da Paul Ekman, le espressioni facciali delle emozioni sono universali e disegnano, ogni volta, una specifica e armonica configurazione a cui partecipano occhi, bocca e muscoli del volto. Proprio Ekman, infatti, ha sviluppato un sistema di codifica (Facial Action Coding System o FACS) (Ekman, 1997) che fornisce informazioni sulle emozioni e sullo stato interno della persona, fatto di pensieri e motivazioni alla base delle azioni, con cui ci costruiamo una vera e propria teoria della mente altrui. Tutto ciò è realizzabile, perché l’informazione passa dal sistema visivo alle aree corticali e sottocorticali specificatamente deputate alla comprensione emotiva. Gli studi mostrano che, quando questo meccanismo è deficitario, come ad esempio nei pazienti schizofrenici, psicotici, con gravi malattie mentali o con sindromi dello spettro autistico, è più difficile leggere le emozioni altrui con conseguenze significative a livello interpersonale. Il sistema di decodifica delle emozioni può, quindi, essere un processo poco funzionale, a volte perfino strutturalmente danneggiato, come nei pazienti neurologici che falliscono al test di riconoscimento delle emozioni “Reading the mind in the eyes test” (Baron-Choen et al., 2001). Ma cosa succede quando è proprio il volto, o parti di esso, a mancare? Per esempio i pazienti parkinsoniani, a causa del deficit dopaminergico, sono ipomimici: i muscoli del volto sono rigidi ed è più difficile intuire gli stati interni emotivi.

Proprio questo insieme di evidenze mi fa riflettere e chiedere cosa accadrà quando usciremo solo e soltanto con mascherine per coprire il volto. Ci vorrà davvero più tempo per decodificare l’espressività dell’altro? Ci sarà una ricaduta sulla sintonizzazione emotiva? Metà del volto coperto, ostacolerà la percezione immediata degli elementi complessivi: sarà proprio impossibile o solo più difficile, vago? Per riconoscere la gioia, abbiamo bisogno di cogliere l’espressione coerente, in cui gli occhi si stringono e lo zigomatico maggiore spinge gli angoli della bocca all’insù. Pensiamo alla paura, alla sua forte valenza evolutiva. Potremo vedere le sopracciglia sollevate, gli occhi sgranati, ma non la bocca socchiusa né le labbra tese. E il disgusto, caratterizzato dal naso arricciato, dal labbro superiore sollevato e quello inferiore abbassato, come faremo a rintracciarlo? Una espressione di dolore, attiva in chi guarda, nell’ordine di una manciata di attimi, una serie di risposte, ad esempio di accudimento, ma solo perché bocca, occhi e tutti i muscoli facciali avranno disegnato armonicamente l’espressione del dolore.

Come mai tutto questo è importante? Perché il riconoscimento delle emozioni ha delle funzioni, connesse alla loro intrinseca valenza evolutiva, alla base dei rapporti umani, dell’attaccamento e della condivisione, del rispecchiamento, ma anche della protezione, della cura e perfino della regolazione emotiva. Pensiamo infatti alla vicinanza fisica tra chi è triste e chi vuole consolare con una carezza, all’abbraccio tra chi è felice e vuol condividere, alla spinta tra due litiganti e a tutti quei gesti che svolgono una funzione calmante o attivante, ricca di significati interpersonali. La distanza peripersonale, che aumenta o diminuisce fornendoci un parametro interno della intimità, che trasformazione subirà? Questa distanza, supportata da una comprensibile paura di contagio personale e degli altri, ci sta abituando a conversare di meno, a intrattenerci il minimo indispensabile con gli altri, a chiedere il permesso o a scusarci se per sbaglio ci accostiamo troppo. Si perché, quando ho rivisto un’amica dopo quasi due mesi, d’istinto stavo per abbracciarla eppure mi sono bloccata chiedendomi se fosse il caso, se lei volesse. Le ho dovuto chiedere il permesso per sentirmi autorizzata ad andarle incontro e queste operazioni interne hanno affievolito quel moto di gioia iniziale, snaturandolo quasi.

In conclusione, cosa accadrà quando potremo di nuovo viaggiare in mezzi di trasporto affollati, sederci vicino ad uno sconosciuto in villa? Allenarci in palestra o andare a cinema? Ballare o flirtare con qualcuno?

Tutte queste domande che ci ruotano nella mente, non hanno una risposta! Non sapremo in che modo le nostre strutture interpersonali resteranno condizionate da tutto questo fin quando questo futuro prossimo non sarà diventato presente. Mi auguro solo che quando rivedrò le persone che amo le vorrò abbracciare forte, prima ancora di sentire di poterlo fare. Mi auguro che, se quel mio amico neurologo sarà ancora triste, o spaventato, o arrabbiato o, perché no, felice, potrò leggerglielo in volto e potrò sintonizzarmi emotivamente con lui. E forse sì, sarà importante poterlo abbracciare!

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Baron-Cohen, S., Wheelwright, S., Hill, J., Raste, Y., & Plumb, I. (2001). The “Reading the Mind in the Eyes” Test revised version: a study with normal adults, and adults with Asperger syndrome or high-functioning autism. The Journal of Child Psychology and Psychiatry and Allied Disciplines, 42(2), 241-251.
  • Ekman, P. (1997). Universal facial expressions of emotion.in California Metal Health. Vol. 8, autumn, number 4.
  • Giacomo Rizzolatti et al. (1996). Premotor cortex and the recognition of motor actions, Cognitive Brain Research, Vol.3 n.2, pag.131-141
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