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La comunicazione al tempo del Covid-19: fin dove arriva la tecnologia?

Come cambia la comunicazione se, in tempi di emergenza sanitaria, non c’è modo di incontrare l’altro se non tramite la videochiamata?

Di Chiara Del Giudice

Pubblicato il 26 Mag. 2020

La comunicazione non verbale, dal tono di voce alle pause di silenzio, dal contatto visivo alla mimica facciale, dalla postura ai gesti, è un elemento fondamentale attraverso cui riusciamo a completare ciò che l’altro vuole comunicarci. Quali sono le conseguenze delle interazioni mediate dalla tecnologia?

 

La comunicazione verbale e non verbale è alla base di qualsiasi scambio e relazione interpersonale. A questo proposito, Albert Mehrabian, nel 1971, studiò i processi comunicativi formulando il modello del “55, 38, 7”. Secondo lo psicologo, infatti, solo il 7% della comunicazione dipende realmente dal contenuto verbale del messaggio. Una percentuale minima, se considerata a confronto con quella relativa al linguaggio non verbale (55%) e  agli elementi paraverbali come ritmo e tono della voce (38%).

Ma come cambia la comunicazione se, in tempi di emergenza sanitaria, non c’è modo di incontrare l’altro se non tramite la videochiamata?

In effetti, sebbene la rete ci dia la possibilità di evitare il senso di solitudine e di isolamento sociale, non è ancora in grado di sostituire adeguatamente l’incontro vis à vis. Perché? Non solo perché il wifi non sempre funziona o la connessione è scarsa, ma anche perché potrebbe perderne di qualità lo scambio comunicativo. A pagarne le conseguenze, infatti, è  soprattutto la comunicazione non verbale, data dalla prossemica, dal tono di voce, dalle pause di silenzio, dal contatto visivo e dalla mimica facciale, dalla postura e dai gesti. In tempi più sereni, attraverso questi elementi riusciamo a completare il messaggio che esprimiamo a parole, aggiungendo a questo valore ed intensità.

Purtroppo, però, durante una videochiamata non viene facilmente colto il tono di voce, il significato di uno sguardo o di un’espressione facciale. Spesso la postura e i gesti non sono neanche visibili. Inoltre, è difficile cogliere il significato di una pausa silenziosa in un discorso se non si capisce se questa è dovuta a un ritardo nella linea o ad un fattore emotivo. Diventa persino complicato rispettare i turni della conversazione, evitare le interruzioni nel discorso dell’altro, mentre diventa ancora più facile cadere nei messaggi unidirezionali, nelle distorsioni semantiche e nelle anticipazioni. Ciò non è molto diverso da quello che frequentemente avviene nei messaggi che ci scambiamo quotidianamente. La mancanza di intonazione e l’assenza del contesto a cui attribuire una frase è causa di grandi fraintendimenti e litigi. In questi casi, quel che succede è la compromissione della  corretta interpretazione dei significati. E, non immaginiamoci che ciò accada solo nel sentire amici e parenti, avviene anche in tutte le reti sociali costruite per portare avanti i lavori ed i progetti che altrimenti sarebbero stati interrotti. Uno psicoterapeuta riesce a seguire adeguatamente il suo paziente senza poter interpretare il linguaggio del corpo? Un  professore riesce a trasmettere la stessa motivazione ai propri studenti senza che essi possano vedere l’entusiasmo nel suo sguardo? In una seduta di laurea online, un presidente di commissione mantiene lo stesso tono di voce autorevole nel dichiarare dottori i propri laureandi? I medici, che controllano a distanza i propri pazienti, riusciranno a comunicare fiducia senza poter usare un gesto rassicurativo?

Quali sono le conseguenze? Sul momento, un’inadeguata interpretazione del messaggio provoca un’inadeguata risposta. In altre parole, se non si riesce a comprendere il segnale non verbale dell’altro, si potrebbe mostrare una scarsa empatia, disinteresse, minimizzazioni del messaggio. Apparentemente, si ha la sensazione di una comunicazione molto forzata e poco naturale, lo dimostrano: la tendenza spropositata ad alzare la voce (del resto cosa si fa per comunicare con una persona distante?), ad avvicinarsi con il volto o con le orecchie allo schermo (nella speranza di vedere o sentire meglio l’altro) e ad utilizzare gesti poco naturali ma più esemplificativi.

D’altro canto, a lungo termine, in un mondo sempre più virtuale, l’utilizzo di questi strumenti potrebbe comportare la messa in atto di conversazioni distratte, più superficiali, meno importanti e più ridondanti. A ciò si aggiunge, una possibile riduzione del tempo di incontro con l’altro, che, sebbene possa essere raggiunto in qualsiasi momento, non restituisce quell’ascolto empatico atteso nell’interazione la quale, invece, finisce per costare uno sforzo comunicativo maggiore.

La videochiamata, in ogni caso, appare il mezzo più all’avanguardia che il nostro tempo ci offre. Attraverso di questa, infatti, riusciamo a mantenere vivi i rapporti significativi e a portare avanti i nostri progetti. Nonostante questo, non riesce ancora a sostituire l’incontro reale con l’altro, lo dimostra il fatto che ancora sentiamo il bisogno di guardare qualcuno negli occhi e la nostalgia di potersi capire senza dover impiegare tante parole.

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Mehrabian, A. (1971). Nonverbal communication. In Nebraska symposium on motivation. University of Nebraska Press.
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