L’emergenza covid-19 ha comportato una netta restrizione in termini di libertà e relazioni sociali, imponendo una quarantena sempre più restrittiva per limitare e fermare il contagio.
Pur essendo innegabile il costo emotivo e psicologico che una restrizione del genere comporta sul benessere psicofisico, emerge ora più che mai il valore positivo dello sviluppo tecnologico nell’attenuare gli effetti collaterali dell’isolamento.
Al di là del restare in contatto con i nostri cari, vicini e lontani, o continuare a lavorare da casa in smart working (ove possibile), innumerevoli sono le iniziative e gli enti che si sono prodigati per offrire, spesso gratuitamente, intrattenimento digitale, per ogni età e interesse. Dalle visite a musei internazionali, ad allenamenti sportivi, canali di streaming illimitati e attività per bambini, la rete offre a tutti la possibilità di mantenersi attivi e social, seppur virtualmente.
Tra questi c’è chi più di altri, e non solo in quarantena, trova rifugio e consolazione anche in un altro tipo di relazione virtuale, interagendo e coltivando un legame affettivo con persone sconosciute, con cui riesce a ricreare una sorta di intimità. Si tratta di ciò che gli psichiatri Donald Horton e Richard Wohl (1956) hanno definito interazione parasociale, ovvero quel tipo di relazione che si può creare tra persone che non sono mai entrate in contatto diretto tra loro, ma che cinema, televisione e ora anche Internet danno l’impressione di conoscere di persona. La relazione parasociale è un rapporto in cui la reciprocità non si basa sulla realtà, bensì è simulata, nella misura in cui lo spettatore vedendo l’altro (attore o personaggio famoso che sia) sente di essere in comunicazione diretta con lui/lei. È da questa impressione che nasce quella illusione di intimità che fa sì che noi percepiamo il nostro idolo come un nostro amico o conoscente. È opportuno precisare che quello delle relazioni parasociali non è legato ad una particolare personalità o disturbo. L’uomo è una macchina da socialità e come tale necessita di relazioni per soddisfare i propri bisogni psicologi; tali bisogni possono essere soddisfatti anche da quell’ideale di persona irraggiungibile di cui tutti siamo o siamo stati fan per un periodo nella vita. Pur trattandosi di un rapporto asimmetrico, la relazione parasociale non è scevra di forti emozioni e spinte identitarie che giocano un ruolo importante in gusti e scelte delle persone.
Quella ‘intimità̀ non reciproca a distanza’ che viene a crearsi non impedisce infatti che ‘amici’ mai incontrati fisicamente, siano presenti nella vita psichica delle persone tanto da poter comparire anche nei loro sogni (Thompson, 2000).
Lo psicologo americano George Stever ha elencato le diverse fonti di attrazione per comprendere quali sono i bisogni psicologi che la relazione parasociale soddisfa:
- Abilità e performance del vip, il quale può fungere da fonte di ispirazione e motivazione nel coltivare un talento o desiderio
- Attrazione romantica, che suscita e alimenta fantasie. Questo genere di attaccamento permette di provare e sperimentare emozioni in un contesto sicuro.
- Idealizzazione, che porta ad una sovrastima delle qualità del personaggio, con conseguente eliminazione dei difetti e giustificazione degli atti. Spesso si tratta di uno strascico dell’idealizzazione dei genitori tipica dell’infanzia.
- Identificazione, utilizzata per costruire una immagine di sé ricercando elementi comuni, veri o presunti.
- Attaccamento, nella misura in cui, sin da bambini, ricerchiamo dall’altro non solo sostentamento materiale ma soprattutto contatto e nutrimento emotivo. Diventa allora evidente come ci si possa sentire legati a personaggi che fanno provare emozioni, seppur non vi è reciprocità. Questo tipo di rapporto è tipicamente femminile e si caratterizza per il desiderio di proteggere ed accudire l’oggetto del proprio attaccamento.
Ma tornando alla situazione attuale e all’emergenza in corso degli ultimi mesi, se è vero che grazie ad internet il mondo si è arricchito di una realtà virtuale parallela che regala quella libertà illusoria ed effimera di essere chiunque e ovunque, si è sempre dietro uno schermo tra le proprie mura. Che si tratti di un rapporto reale o simulato come quello appena descritto, l’estensione del dialogo a distanza genera solitudine. I social network possono sicuramente sopperire laddove non possono i confini geografici nel restare in contatto con la propria rete o addirittura ampliarla, ma non sono in grado di offrire quegli elementi necessari della comunicazione umana che veicolano il vero calore umano (linguaggio verbale, non verbale e para-verbale). In rete si può provare solidarietà, grazie alla condivisione di un messaggio, uno stato emotivo o partecipando a una raccolta fondi per una buona causa (si pensi alle tante campagne di crowd-funding lanciate con successo dall’inizio dell’emergenza covid-19). Ma nell’impossibilità di esperire in toto la relazione nei suoi aspetti comunicativi, è più difficile provare empatia e attingere a quel calore umano. Ed è proprio per questo motivo che a un certo punto, l’Italia tutta, da Nord a Sud, ha sentito il bisogno di scendere di nuovo in piazza per sentirsi meno sola e darsi forza; non potendolo fare si è ritrovata sul balcone, a cantare contro la paura. Ognuno da casa propria ma insieme, alla stessa ora; guardandosi negli occhi, lontani ma vicini, e abbracciandosi virtualmente.
La musica e la vicinanza emotiva e fisica di dirimpettai e condomini più o meno sconosciuti, hanno unito e lenito più di ogni altro mezzo di telecomunicazione, conferendo in qualche modo il calore di un abbraccio e la forza per non arrendersi. Un orgoglio patriottico che non si provava dai mondiali del 2006 e un senso di comunità che ha valicato i confini nazionali, commuovendo e ispirando il resto del mondo (e da italiana all’estero posso confermare che quel pianto sommesso da un canto, misto a tanta speranza, sia arrivato diretto in tutta la sua forza e bellezza, trapassando lo schermo di un cellulare).
Due elementi indispensabili, nonché conclamati, hanno permesso che ciò avvenisse. La musica, denominatore comune di unione senza distinzione, cura per l’anima e antidoto capace di abbattere le barriere della paura, dell’odio e dell’indifferenza. E più di questo il contatto visivo che, al di là di ogni sviluppo tecnologico possibile, resta il mezzo di comunicazione più potente ed ineguagliabile.
E mi vengono in mente le parole di Brunori Sas in Canzone Contro la Paura:
Ma non ti sembra un miracolo
Che in mezzo a questo dolore
E in tutto questo rumore
A volte basta una canzone
Solo una stupida canzone
A ricordarti chi sei
Lontani ma vicini.