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Freud: una serie TV che lascia traccia

La serie Netflix "Freud" ha il merito di riuscire a rappresentare in modo vivido e realistico le ambiguità e i conflitti del maestro.

Di Paolo Azzone

Pubblicato il 16 Apr. 2020

Nonostante Freud sia un prodotto esplicitamente commerciale, alcuni tratti della personalità del protagonista sono rappresentati con una vivacità innegabile: l’irresistibile ansia di conoscenza, la smodata ambizione, l’atteggiamento antiautoritario, che sconfina spesso in arroganza e sfrontatezza, e la dipendenza da cocaina.

 

Confesso che da qualche tempo ho crescenti difficoltà ad avvicinare le produzioni cinematografiche o televisive. L’esibizione costante di violenza truce e sanguinaria e la rappresentazione di una sessualità perversa e animalesca mi hanno quasi del tutto estraniato dal piccolo e grande schermo.

Ho fatto un’eccezione per la serie Tv Freud recentemente apparsa su Netflix. Come altri analisti mi sottraggo con fatica ad un interesse un po’ coatto per il padre fondatore della psicoanalisi. Imitazione, antagonismo, voyeurismo contribuiscono senza dubbio a questo fenomeno, del resto ben noto nell’ambiente analitico.

Freud è un prodotto esplicitamente commerciale. Non mira a ricostruire la biografia o la personalità di Freud in modo realistico. Freud è senza dubbio un prodotto di genere, un film in costume che fonde il poliziesco d’intelletto alla Sherlock Holmes con il fantasy dell’occulto. Chi ha passato la mezza età ha senza dubbio pensato alla nota serie Belfagor, ovvero Il fantasma del Louvre degli anni ‘60.

L’Europa fin de siècle dimostrò un interesse inteso per l’occultismo. Grandi artisti, intellettuali, politici, aristocratici, persino monarchi non resistevano all’appeal di medium e sedute spiritiche. In questa atmosfera il regista Marvin Kren cala Freud e i personaggi del suo ambiente. Alcuni hanno tratti più o meno storicamente realistici (ad esempio Breuer, così saggio e paterno, alcuni membri della famiglia di Freud, l’angelica e salvifica Martha). Altri conservano solo il nome di contemporanei, colleghi ed amici di Feud. Occorre qui ricordare che Freud era notoriamente piuttosto scettico verso la cultura dell’irrazionale (cfr. la XXX lezione di Introduzione alla psicoanalisi) e sembra che questo sia stato uno dei punti di disaccordo con il Carl Gustav Jung, il suo più noto allievo.

La struttura del racconto è quella tipica di un prodotto hollywoodiano. Come Frodo Baggings nel Signore degli Anelli, Freud raccoglie intorno a sé un gruppo di personaggi positivi, decisi a sfidare le forze del male morale e politico e dell’oscurantismo scientifico. Analogamente ai supereroi dei fumetti, questi difensori dell’umanità mostrano varie specializzazioni: Freud conosce e tratta l’inconscio, Kiss è dotato di forza sovrumana, Beurer dispensa consigli degni del grillo parlante, la medium Fleur Salomè scatena le forze dell’occulto.

Molti colleghi non hanno potuto completare la visione del filmato. Hanno segnalato la scarsa qualità artistica, o hanno manifestato disagio ed indignazione per l’abuso del nome di Freud per un personaggio così semplificato.

Io invece non ho perso una puntata. Vorrei cercare ora di spiegarvi cosa mi ha avvinto fino alla fine.

Del primo Freud il regista ha colto soprattutto l’interesse per gli stati di coscienza: la trance ipnotica, il sogno. E ha adottato un modulo narrativo assolutamente coerente.

La realtà filmica oscilla ripetutamente, e senza evidente soluzione, di continuo tra esperienza diurna e sogno. Possiamo vedere il padre della psicoanalisi suicidarsi o unirsi incestuosmente alla madre, il feroce Kiss uccidere il proprio doppio, la medium Fleur rivivere ciclicamente gli atroci traumi dell’infanzia. Sullo spettatore si riversa in abbondanza materiale preedipico, carico di sangue, violenza e perversione, solo a volte sapientemente agganciato a spunti psicologici, politici o di storia della cultura (sotto questo profilo una vera chicca è senza dubbio l’uso molto creativo e artisticamente efficace della mitologia ungherese precristiana).

Spesso, però, i sentimenti di orrore, lutto, eccitazione si sciolgono con un sereno risveglio di uno dei protagonisti. Kren ci consente di immergerci reversibilmente in una atmosfera francamente schizoparanoide, che presto intuiamo sarà destinata a stemperarsi in un lieto fine.

La serie Freud quindi avvince il pubblico con un racconto che spesso risulta avvincente e catartico. Per chi ha scelto la via della psicoanalisi, però, il filmato ha in serbo qualche sorpresa più ghiotta e pone questioni più delicate.

La straordinaria somiglianza fisica e fisiognomica del protagonista Robert Finster con il giovane Freud è senza dubbio una sfida. Su una trama evidentemente fittizia e fantastica spiccano abbondanti e precisi riferimenti alla vita privata e familiare di Freud: il conflitto con il padre, la faida con il cognato, il matrimonio lungamente rinviato, perfino la mitica mano appoggiata sulla gamba di Martha sotto il tavolo.

Alcuni tratti della personalità di Freud sono rappresentati con una vivacità innegabile: l’irresistibile ansia di conoscenza, la smodata ambizione, l’atteggiamento antiautoritario, che sconfina spesso nella arroganza e nella sfrontatezza. E soprattutto la tossicodipendenza da cocaina.

I grandi geni dell’umanità sono oggetto di inevitabili meccanismi di idealizzazione. È chiaro che una rappresentazione così cruda, ma non totalmente irrealistica, del padre fondatore della psicoanalisi possa creare un significativo disagio in chi come me ha costruito la propria vita professionale ricalcando per quanto possibile le orme del medico viennese. Freud stesso, però, ci ha insegnato che l’obiettivo specifico dell’impresa psicoanalitica è la ricerca della verità. E a questo mandato non possiamo certo rinunciare.

Penso che il merito principale della serie sia proprio quello di rappresentare in modo vivo e realistico le ambiguità e i conflitti del maestro: eroe pronto a sfidare l’establishment medico-scientifico nell’interesse dei pazienti a lui affidati e dell’umanità in generale e nel contempo scienziato ambizioso e fortemente competitivo; medico votato anima e corpo all’etica professionale, ma anche consumatore abituale di stupefacenti.

La rappresentazione del padre è sottoposta ad inevitabili meccanismi di scissione. Gli psicoanalisti riconducono la loro etica professionale alla scelta ascetica del padre fondatore, ma nei corridoi amano attribuirgli vari successi extraconiugali e torbide storie di incesto. Responsabilità della cura e sentimenti di onnipotenza narcisistica, funzione genitoriale e seduzioni di un godimento immaginario sono componenti quotidiane del transfert professionale nonché del lavoro sul controtransfert per ciascuno di noi. Insomma, pur con tutti i suoi limiti, la serie di Marvin Kren mi ha detto qualcosa della mia vita intellettuale e professionale, e di ciò le sono grato.

 

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Paolo Azzone
Paolo Azzone

Psichiatra, Psicoterapeuta, Psicoanalista

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
Letture consigliate
  • Gay P. (1988) Freud a Life for our Time. Norton, New York. Tr. it. (1989) Freud: Una vita per i nostri tempi. Bompiani, Milano.
  • Freud S. (1915-17) Introduzione alla psicoanalisi. Lezione XXX. In (1978) Opere di Sigmund Freud, Vol.  8. Bollati Boringhieri editore, Torino.
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