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Terapia cognitiva basata sulla Mindfulness (MBCT) per veterani con disturbi psichiatrici

L'MBCT combina elimenti di Mindfulness e Terapia Cognitiva e potrebbe essere un utile intervento complementare per i veterani con disturbi psichiatrici

Di Virginia Armellini

Pubblicato il 05 Mar. 2020

Il protocollo Mindfulness Based Cognitive Therapy (MBCT) nasce con l’obiettivo di prevenire la ricaduta di recidive depressive, ma risulta efficace anche per i disturbi d’ansia (Kim et al., 2010), l’ideazione suicidaria (Barnhoferel al., 2015) e il disturbo da stress post-traumatico (PTSD; Jasbi et al.; 2018).

 

Questa tecnica combina il Metodo per la Riduzione dello Stress basato sulla Mindfulness (MBSR) con elementi della Terapia Cognitiva. L’MBCT tende ad occuparsi principalmente dei processi di pensiero (il modo di funzionare della mente), piuttosto che dei contenuti dei pensieri stessi, con l’obiettivo di riconoscerli per quello che sono – cioè solamente contenuti mentali senza concretezza – e di lasciarli andare.

Quasi tutti gli studi sulla MBCT sono stati condotti tra varie popolazioni, ma non su militari veterani; tuttavia, l’MBCT potrebbe essere un utile intervento complementare per i veterani con disturbi psichiatrici.

Il presente studio (Marchand et al., 2019) mira a compiere un primo passo verso la comprensione dell’MBCT come intervento per la popolazione di militari veterani. Nello specifico, gli obiettivi dello studio erano: (1) valutare l’impegno al trattamento MBCT considerando il numero di sessioni frequentate; (2) determinare se eventuali variabili del paziente predicono l’impegno al trattamento MBCT; (3) verificare i risultati, determinando se l’intervento MBCT sia associato a maggiori cambiamenti durante le visite nei reparti d’emergenza (ED) o durante i ricoveri psichiatrici; (4) indagare se questi risultati siano correlati al numero di sessioni frequentate; (5) aumentare le conoscenze relative alle psicoterapie basate sull’evidenza e all’utilizzo dell’assistenza sanitaria tra i militari veterani.

Il campione finale era costituito da 98 militari veterani americani prevalentemente di etnia caucasica (93%), di sesso maschile (79%) e con età superiore a 50 anni (72%). Inoltre, l’81% dei partecipanti aveva una o più disabilità legate al servizio militare. Tutti i soggetti presentavano almeno un disturbo psichiatrico, il più comune dei quali era un disturbo dell’umore, seguito dal disturbo da stress post-traumatico. In comorbilità spesso erano presenti: disturbo da uso di sostanze, disturbi sessuali, disturbi d’ansia e diagnosi mediche come dolore cronico, obesità e disturbi del sonno.

L’intervento consisteva in un programma di sedute MBCT di otto settimane.

In relazione agli obiettivi dello studio i risultati dimostrato che:

  • la percentuale maggiore di partecipazione alle sessioni corrispondeva alle prime quattro settimane, mentre diminuiva dalla quinta all’ottava settimana. Solo il 16% dei veterani ha partecipato a tutte le sessioni.
  • l’età, l’orientamento religioso, il genere e gli anni di servizio non costituivano un predittore significativo per il numero di sessioni frequentate.
  • sia il numero di visite nei reparti di emergenza pre-intervento sia i ricoveri psichiatrici erano significativamente associati al numero di sessioni frequentate. La percentuale di cambiamento del comportamento era maggiore per coloro che avevano subito almeno un ricovero psichiatrico e la frequenza alle sessioni di intervento diminuiva notevolmente dopo la quarta. Per coloro che avevano effettuato visite nel reparto d’emergenza, i cambiamenti associati al comportamento erano minori, e i tassi di abbandono delle sessioni erano leggermente inferiori.
  • non vi era alcuna associazione significativa tra il numero totale di sessioni seguite e gli esiti dell’intervento, né con lo stato di completamento della terapia rispetto a coloro che non l’avevano completata.

Altri studi in letteratura (es. Kearney et al., 2016) hanno riscontrato un tasso di completamento della terapia leggermente superiore rispetto a questo e ciò potrebbe essere spiegato dal fatto che il campione del presente studio era costituito da veterani di guerra con disturbi psichiatrici e condizioni mediche gravi e significative. Un suggerimento per aumentare l’efficacia della terapia potrebbe essere quello di diminuire le sessioni di intervento, prendere in considerazione gruppi di orientamento e di sostegno tra pari e sviluppare metodi di screening per identificare i veterani a rischio di gravi ricadute depressive con l’obiettivo di diminuire il rischio di abbandono della terapia.

Sulla base dei risultati ottenuti è possibile affermare che, se confermato da studi più rigorosi, l’MBCT può essere un intervento efficace per i veterani con malattie psichiatriche che hanno un alto rischio di ricovero, supportando lo sviluppo di MBCT di durata più breve per questa popolazione.

La ricerca presenta alcune limitazioni. In primo luogo, lo studio è retrospettivo piuttosto che randomizzato; inoltre, le diagnosi psichiatriche più comuni erano lo spettro depressivo, il PTSD e disturbi d’ansia e la popolazione era prevalentemente di sesso maschile, di etnia caucasica e di età avanzata. Pertanto, i risultati potrebbero non essere generalizzabili ad altre popolazioni di veterani o di comunità o individui con altri disturbi psichiatrici. Infine, è importante notare che questo studio non ha dimostrato una relazione causa ed effetto: potrebbero esserci altri fattori di mediazione nell’influenzare le variabili sia predittive che di esito e saranno necessari studi prospettici per confermare i risultati riportati in questo studio.

In conclusione, nonostante alcune limitazioni metodologiche, i risultati qui riportati forniscono le basi per studi futuri che saranno necessari per capire se e come utilizzare al meglio l’MBCT per la popolazione dei veterani.

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