expand_lessAPRI WIDGET

La “buona madre” e il mal-essere materno. Una riflessione sugli aspetti negativi della maternità

Capita spesso con l'avvento della maternità si assista anche all'esordio di una patologia clinicamente rilevante per la neo mamma.

Di Maria Tinto

Pubblicato il 25 Feb. 2020

Il pensiero della Buona Madre ci riporta alla mente, inevitabilmente, quello della Cattiva Madre. Ovvero, l’aspetto ombra di un negativo presente in ognuno di noi, che nella madre assume connotati malefici, proprio in virtù del potere generativo di colei che in quanto dona la vita, non può sopprimerla, tantomeno attraverso l’eliminazione dei suoi stessi figli. Purtroppo, però, la mano della madre è quella che può accogliere, ma è anche quella che può sopprimere.

 

Un figlio si può uccidere in tanti modi, non solo cancellandone la vita, ma anche annientandone la capacità di crescere e di diventare un individuo autonomo e libero di fare le sue scelte. Ci sono madri infatti che soffocano ogni tipo di iniziativa dei figli e li inducono, attraverso i cosiddetti “sensi di colpa” a sentirsi perennemente in debito verso se stesse.

I classici dell’antica Grecia ci offrono l’opportunità di riflettere sull’aspetto malefico materno. La tragedia di Euripide, Medea, la madre che sopprime i propri figli per punire Giasone, il suo sposo, reo di essersi innamorato di un’altra donna. Euripide con la sua maestria nel tratteggiare le emozioni umane, evidenzia solo una delle tante motivazioni alla base del figlicidio. Ci propone la figura di una donna che antepone la gelosia per l’amato e il sentimento di rivalsa verso la rivale all’amore per i suoi figli. Medea, pur tra atroci sofferenze, in modo lucido e premeditato, si arma di lama e sgozza i figli durante il sonno. E’ una donna ferita e accecata dalla gelosia. Vuole condannare l’uomo che ha tradito il suo amore, con la più orrenda delle condanne: non poter più riabbracciare i suoi figli. Avrebbe potuto ucciderlo per vendicarsi, ma lei decide per una punizione perenne, vuole infliggergli una ferita che rimarrà sanguinante per il resto dei suoi giorni, a ricordargli l’onta e la colpa di cui si è macchiato.

La tragedia Euripidea ci mostra la lucida follia di un’ossessione squilibrata, una delle tante modalità malate di agire l’amore e di usarlo per sedare inquietudini e malesseri personali, che nulla hanno a che vedere con questo nobile sentimento. Un gesto che, seppure estremo e dal quale vorremmo prendere le distanze, appartiene a tante coppie che non riescono a gestire in maniera equilibrata i cambiamenti e le difficoltà della vita, ma continuano ad avvelenarsi, imbrigliandosi nelle maglie di rapporti connotati da ostinazioni ossessive e fatali.

In ogni madre c’è una donna, ma non sempre da ogni donna si disvela una madre, questo perché una donna non nasce madre, ma può decidere di fare la madre, senza che questa scelta possa nuocere alla propria femminilità ed al proprio modo di costruire la sua immagine di donna nel mondo.

La madre perfetta non esiste, perché i bisogni e le aspettative variano da persona a persona, così come non esiste il figlio perfetto. Questa considerazione è fondamentale per favorire la realizzazione della figura materna e quella di figlio o di figlia.

La “Buona” madre è colei che si prende cura del suo bambino con dedizione, facendolo sentire amato e importante. E’ la madre che attraverso il dono dell’abbraccio, insegna al figlio l’affettività e la costruzione dei sentimenti. Insegnare i sentimenti è il primo compito di una madre adeguata, poiché i sentimenti non sono un’acquisizione naturale. L’amore si insegna e una madre può farlo manifestando il proprio attaccamento al suo bambino. Educare all’affettività vuol dire costruire una modalità di comunicazione, che passa attraverso le sensazioni corporee, per produrre ed attivare la relazione emotiva.

La buona madre è colei che non solo insegna ad amare, ma che pone se stessa come strumento attraverso il quale il bambino costruisce i sistemi con cui sviluppa l’amore verso sé e verso gli altri. La cura e l’interesse che il bambino riceve dalla madre o da chi se ne prende cura, gli forniscono quei fondamenti sui quali affermare il suo valore, l’impronta che gli consentirà di sviluppare la sua personalità.

Una buona madre è colei che ha la capacità di far sentire il proprio figlio unico al mondo, di trasmettergli l’eccezionalità della sua presenza, la sua insostituibilità. Messaggi del tipo: “Tu per me sei indispensabile”, “Tu per me sei unico”, sono quelli che il bambino riesce a comprendere attraverso il linguaggio del corpo materno. Un bambino che è stato desiderato, è un bambino accettato e amato. Una madre accogliente fa sentire il suo amore al bambino in modo naturale, coccolandolo in maniera da fargli provare sicurezza.

Al contrario, non è accogliente la madre che esibisce il proprio figlio come un trofeo, che lo abbellisce e lo mostra al pubblico, aspettando di ricevere conferma della propria bravura. Un figlio va amato e curato nel silenzio e nella discrezione del rapporto di fiducia che una buona madre deve saper creare col figlio.

L’unicità di sapersi l’uno per l’altro, per ascoltarsi attraverso i suoni che promanano dai corpi, è un’esperienza unica per la madre e per il figlio. Con una carezza è possibile per una madre rinsaldare l’attaccamento al suo bambino, un semplice e naturale gesto d’amore.

Si può essere una buona madre, anche se non si è avuta una madre buona.

Ma è bene ricordare che la gravidanza, anche quando è desiderata e inseguita con frenesia, può riservare delle spiacevoli conseguenze, sia per la madre che per il bambino, essendo la possibile fonte di numerosi disturbi, proprio per gli aspetti gravosi che la connotano, sia dal punto di vista fisico che emotivo. Molto spesso lo stato di fragilità emotiva, vissuto dalla donna in questo momento della vita, non le viene riconosciuto dai familiari, per i quali l’attesa di un figlio assume esclusivamente caratteri di positività.

Il rischio di questa mancanza di considerazione del malessere sofferto, è quello di generare sensi di colpa che arrestano la naturale e progressiva acquisizione di competenze materne. Purtroppo, accade sempre più spesso che, all’interno delle famiglie, si riscontra un totale disconoscimento della fragilità psicologica connessa allo stato gravidico, con una conseguente negazione dell’angoscia anche da parte della donna, che arriva a non riconoscere più a se stessa la sofferenza provata. La mancata ammissione dei sintomi per imbarazzo o per vergogna, nonostante questi siano evidenti e invalidanti, comporta uno stress ulteriore, che si ripercuote sul suo equilibrio psichico già tanto provato.

In questo modo, paradossalmente, più non si accettano i disturbi e maggiormente questi si faranno sentire, aumentando anche la portata clinica dei sintomi. Infatti, il malessere se non curato, può comportare disturbi maggiori ed anche molto gravi, non solo durante la gravidanza, ma anche dopo la nascita del bambino.

In molti casi, il sentimento di depressione è quello a cui si assiste più frequentemente. Una gravidanza vissuta in modo fortemente stressante, non sempre dona alla madre quella felicità totalizzante che l’immaginario comune assegna alla donna, che può invece sentirsi triste, rabbiosa, pentita o inadatta al ruolo di madre.

Può infatti accadere che la donna, a seguito della gravidanza e in conseguenza del trauma da parto, sviluppi un forte disagio emotivo, connotato da stati di profonda tristezza e di mancanza di interesse per tutto ciò che la circonda, ma anche per tutto ciò che riguarda il bambino.

Persino il figlio può esserle indifferente, o, al contrario, rappresentare un soggetto su cui riversare estrema attenzione ed apprensione, con relativa pesantezza, sia emotiva che fisica. E’ frequente la condizione di sentirsi investita da uno stato di abulia profonda, in cui si alternano momenti di estremo nervosismo a momenti di ritrovato appagamento per la maternità sopraggiunta. La mamma viene ad essere così sopraffatta da una grande confusione, che manifesta manipolando i ruoli da svolgere, avvinta dal senso di incapacità.

In questo stato di cose tutto le appare difficile da poter sostenere, vive anche le cose più semplici come carichi insostenibili. La sensazione che nessuno possa capirla la annienta e le persone che le stanno intorno cominciano a diventarle insopportabili, con i loro consigli e il loro aiuto soffocante, ed anche verso il partner comincia a provare un senso di fastidio per il fatto di non sentirsi compresa. Il partner, il più delle volte, ha difficoltà a capire la complessità emotiva che sta vivendo la neo-mamma, molto spesso le problematicità della donna sono fraintese o considerate con molta superficialità e questo genera ancora più sofferenza, frustrazione e rabbia.

Il malessere può mostrarsi in vari modi, ma la modalità che più spaventa i congiunti sono gli attacchi d’ira istintivi e incontrollati, che si rivolgono verso il partner, i congiunti o verso il bambino stesso. Questo stato emotivo estremamente delicato che la donna vive come un profondo abbandono, se non viene seguito tempestivamente con un’adeguata presa in carico da parte di specialisti competenti, può comportare uno squilibrio psicofisico e nelle forme più gravi, a veri e propri stati psicotici deliranti, rivolti contro tutti indistintamente, che, col passare dei giorni, diventeranno sempre più pericolosi da gestire e più difficili da risolversi.

Proprio in virtù del disequilibrio che si viene a creare alla nascita di un figlio, spesso vi sono sconvolgimenti che agiscono anche a lungo termine, che minano la stabilità mentale di molte donne e di conseguenza la solidità della coppia, indebolendone la costituzione. Non sono rari i casi di coppie, che si separano poco dopo l’arrivo di un figlio.

L’intervento tempestivo di aiuto può scongiurare l’instaurarsi di un quadro clinico devastante, per questo motivo è importante non sottovalutare i primi segnali di insofferenza materna. La varietà dei sintomi depressivi, che emergono a seguito di una gravidanza, in psicologia vengono definiti disturbi dell’umore e vanno da un grado più lieve, a casi gravi di psicosi, che possono sfociare anche nell’omicidio. Il malessere può manifestarsi con un ampia gamma di disturbi, che vanno dalla patologia conclamata, in caso di depressione maggiore, alla schizofrenia, allo stato crepuscolare oniroide, alla psicosi post partum, al rifiuto o al maltrattamento del bambino, perché indesiderato o perché si è irritabile e sfinita. Nella peggiore evenienza, il disturbo può sfociare accidentalmente in omicidio o figlicidio. Il pretesto del terribile atto potrebbe essere attribuito al sentimento di vendetta verso il partner o determinato da un disturbo di personalità sottostante o anche dall’uso di alcol e droghe.

La percentuale di donne colpite da una lieve malinconia post partum, chiamata anche maternity blues, è abbastanza alta, ma questo lieve stato depressivo ha una decorrenza tollerabile, in quanto si risolve entro le prime settimane dalla nascita del bambino. La Depressione Post Parto è, invece, una patologia vera e propria, che se trascurata tende a divenire cronica ed invalidare la vita della neo mamma. Si esprime con una sintomatologia più intensa e disturbante e, poiché ha un decorso più lungo, si sviluppa con una successione di segnali che si amplificano col passare del tempo. Questo è uno dei motivi per cui viene spesso sottovalutata, poiché la donna cerca di farvi fronte come può, spesso nascondendo agli altri il proprio disagio, cercando di non mostrare la sua sofferenza, se non quando questa si manifesta con evidenti segnali di incontrollabile aggressività o di rifiuto sociale, fino ad arrivare al ritiro da ogni attività e relazione.

E’ fondamentale capire quando i sentimenti che la donna nutre per il figlio assumono un connotato negativo, quindi è necessario porre la massima attenzione a captare alcuni indicatori specifici che caratterizzano il comportamento materno, specialmente se questi indicatori si presentano associati tra loro.

La depressione post parto solitamente si manifesta durante la 3° o 4° settimana dopo il parto ed arriva ad evidenziarsi, come problema effettivo, dopo 3 o 6 mesi dalla sua comparsa, prolungandosi, a volte, per oltre un anno. In molti casi le donne maggiormente colpite da uno stato depressivo sono quelle con una personalità con bassa autostima o al contrario molto rigide e intransigenti, con tendenza al perfezionismo. Queste ultime spesso sviluppano una modalità reattiva di tipo violento.

Il desiderio di controllare e di avere sempre tutto sotto controllo, aggravato dai nuovi doveri da soddisfare, diventano trappole in cui si sentono incastrate, come la spirale di ossessività che le invade e da cui non riescono a liberarsi, se non con la perdita del controllo attraverso manifestazioni di ira incontrollata.

Lo sviluppo di fobie, legate alla propria incapacità di gestire la  nuova situazione familiare, è il disturbo che si evidenzia maggiormente, dando luogo ad una sintomatologia che si esprime attraverso attacchi di panico che limitano notevolmente la vita della donna. In questi casi si rende necessario un intervento terapeutico per ristabilire un sano equilibrio psicologico, che vada a mettere ordine in una mente confusa e aggrovigliata su se stessa.

Anche la giovane età della mamma può determinare uno stato di forte depressione, in quanto la mancanza di esperienza e il senso di inadeguatezza si aggiungono alla fragilità emotiva connessa all’età.

In tutti i casi esposti, il sostegno e l’aiuto della famiglia, ma soprattutto del compagno, sono fattori determinanti per scongiurare l’instaurarsi di una patologia clinica rilevante e per la risoluzione in tempi brevi del disagio emotivo di cui è vittima la neo mamma.

 

Si parla di:
Categorie
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Bowlby, J (1969) Attaccamento e perdita. Vol.1: L’attaccamento alla madre (trad.it.1972).Torino, Boringhieri.
  • Bowlby J., (1989) Una base sicura. Applicazioni cliniche alla teoria dell'attaccamento, Raffaello Cortina, Milano.
  • Fonagy, P. Target, M. (2001). Attaccamento e funzione riflessiva. Milano, Raffaello Cortina.
  • Klein,  M. (1952-1958) Il mondo interno del bambino. (trad.it. 2012) Torino, Biblioteca Bollati Boringhieri.
  • Nardone, G. Giannotti, E. Rocchi, R. (2010) Modelli di famiglia. Bergamo, TEA Libri.
  • Nardone, G. (2012). Aiutare i genitori ad aiutare i figli. Ponte alle Grazie.
CONSIGLIATO DALLA REDAZIONE
Depressione post partum: l'efficacia dell'intervento a domicilio
L’intervento a domicilio nella depressione post partum

E' stato dimostrato come l'intervento a domicilio per le donne con depressione post partum ha effetti positivi sia sulla madre che sul bambino.

ARTICOLI CORRELATI
Uso problematico dello smartphone in adolescenza: che ruolo possono avere i genitori nella gestione di questo fenomeno?

Cosa si intende con uso problematico dello smartphone negli adolescenti? Scopriamo come lo stile genitoriale può influenzarlo

Gli esiti psicosociali della genitorialità in età avanzata

Negli ultimi decenni si è assistito a una tendenza globale ad avere figli sempre più tardi. Quali sono le conseguenze psicosociali sulle famiglie?

cancel