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Il valore delle origini

Una riflessione sui valori familiari trasmessi ai figli, partendo dai romanzi del 1800 incentrati su vicende di abbandono e ricerca delle origini

Di Mariano Indelicato

Pubblicato il 26 Feb. 2020

Sembrerebbe che le caratteristiche di personalità del figlio e la sua intera vita siano segnate dai passaggi generazionali e che egli non possa sfuggire al suo destino, ma in realtà il figlio ha la possibilità di ribellarsi e trasgredire le regole che contraddistinguono i passaggi generazionali.

 

In molti romanzi dell’800 viene trattato il tema dell’abbandono e della riscoperta delle origini. Gli umili, i diseredati sono tali perché sono stati abbandonati in quanto figli di gente poverissima, che è costretta a lasciarli perché non se ne possono prendere cura, di persone malfamate, frutto di adulterio, figli di prostitute o bambini rapiti in tenera età.

Remì, il personaggio principale del romanzo Senza Famiglia di H. Malot da cui è stato tratto anche un fortunatissimo cartone animato, viene rapito in tenera età per ordine dello zio preoccupato dall’eredità della famiglia. Prima di ritrovare la madre passa attraverso varie vicende contraddistinte da sfortuna e non serenità: adottato, dopo essere stato abbandonato dai rapitori, dalla famiglia Barberin che cade in disgrazia ed è costretta a mandarlo via; affidato a Vitali, un ex celebre tenore che adesso è costretto a girare la Francia con uno spettacolo di strada, resta da solo per la morte per freddo dello stesso Vitali; rapito insieme all’amico Mattia dalla famiglia Driscoll quando si reca in Inghilterra alla ricerca della madre, avendo saputo che quest’ultima lo stava cercando. Solo con il ritrovamento della madre a Ginevra ritroverà la serenità e potrà diventare avvocato sposandosi con Elisa, conosciuta durante un suo breve affidamento alla famiglia Acquin dopo la morte di Vitali.

Il legame materno è fonte di sicurezza e serenità e, quindi, di un debito positivo che comporta altrettanta fiducia e serenità in Remì.

La bella Esmeralda, in Notre Dame de Paris di V. Hugo, in prigione ritrova la madre che è un’ex prostituta a cui gli zingari avevano sottratto la figlia. Il valore del legame materno viene messo in risalto dal tentativo della mamma di salvare la figlia destinata all’impiccagione e di morire per questo suo gesto.

Tutte le teorie, dalla psicanalisi alle teorie sull’attaccamento, sono concordi nel ritenere che il modo in cui la mamma instaura sin dai primi giorni la relazione con il suo bambino, determinerà il modo in cui quest’ultimo, negli anni a venire, si relazionerà con i coetanei e con la società tutta.

Kohut sostiene che:

nel momento in cui la madre vede il bambino per la prima volta ed entra in contatto con lui, ha inizio la potenzialità di un processo attraverso il quale si stabilisce il Sé di una persona (H. Kohut, 1978).

Winnicott afferma che, all’inizio della vita, ognuno esiste solo in quanto parte di una relazione e, le sue possibilità di vivere e svilupparsi, dipendono totalmente dal soddisfacimento del bisogno primario di attaccamento e appartenenza ad un Altro (madre/caregiver) che si prenda cura di lui e gli dia qual senso di sicurezza e intimità che sono basilari per la crescita (D. Winnicott, 1974). Sarà proprio in rapporto alla qualità affettiva di tale relazione primaria, da quanto la figura di attaccamento sarà disponibile, protettiva, affidabile, costante e capace di un contatto caldo e rassicurante, che dipenderà lo sviluppo sano del suo vero Sé. Da questo presupposto nasce la good enough mother, quella madre che sa regredire, diventare piccola come il suo bambino, per sintonizzarsi meglio su di lui, sul suo mondo interno e sui suoi bisogni.

Bowlby, al fine dello sviluppo del sé, individua tre stili di attaccamento: sicuro, evitante e ansioso. Egli sostiene che un attaccamento adeguato possa ridurre il verificarsi di situazioni patologiche future come la depressione e gli stati d’ansia. Le persone che sviluppano tali patologie hanno vissuto esperienze di disperazione, di angoscia e di distacco durante l’infanzia. Bowlby, inoltre, introduce il concetto di cicli di privazione e di resilienza per descrivere le persone che hanno vissuto esperienze angosciose e di privazione durante l’infanzia. In base alle sue ricerche notò che i soggetti che durante l’infanzia avevano vissuto esperienze di deprivazione e di abbandono tendevano, una volta adulti, a ripetere gli stessi tipi di comportamento, anche se il vissuto poteva essere attutito dalla presenza di un fratello e/o di un ambiente particolarmente favorevole che riuscivano a rispondere alle esigenze del bambino non soddisfatte dal caregiver.

Nel caso di Esmeralda, la comunità zingara è riuscita a sostituire la figura materna, tant’è che è perfettamente integrata e adotta comportamenti tipici della stessa comunità.

Stern mette in risalto che la relazione madre-bambino non è direzionale ma bidirezionale e il bambino nell’ambito di questo rapporto assume una parte attiva portando all’interno della stessa relazione elementi legati all’ambiente di vita: il sé e l’altro.

Bion, parlando della madre sufficientemente buona di Winnicott, sostiene che essa permette al bambino di esprimere le sue angosce, le tollera e le contiene senza angosciarsi a sua volta: in questo modo ella restituisce al figlio le emozioni di lui, filtrate dal contenimento e bonificate.

In sostanza la good enough mother riesce a trasmettere al figlio la fiducia e la speranza insita nella capacità di donare sapendo di poter essere ricambiati. Molte volte i genitori chiedono quali sono i comportamenti da adottare per essere buoni padri o madri, potremmo semplicemente rispondere di dare fiducia e speranza ai propri figli nei legami. L’importante non è non commettere errori, ma riuscire, come sostenuto da Bettelheim, a imparare dai propri sbagli, riflettere e riparare ben sapendo che il lavoro genitoriale è soggetto a molteplici frustrazioni. Per Winnicott l’errore è un elemento importante della genitorialità poiché è proprio dall’errore che bisogna ripartire quando si incontrano ostacoli e, per questo, diviene risorsa e forma di apprendimento che serve per ri-programmare altre scelte.

A volte però l’errore non viene riconosciuto tant’è che è stato introdotto il concetto di madre castrante, divorante, simbiotica, per dimostrare che i maschi adulti che hanno avuto cattivi rapporti con la propria madre tendono ad avere un rapporto non soddisfacente con le donne. Le madri castranti sono iperprotettive, inibenti, ansiogene, preoccupate, simbiotiche. Esse vedono il figlio come un eterno bambino anche se è già adulto, spesso si riferiscono a lui con vezzeggiativi tipici di una relazione infantile. Sono in genere madri che hanno bisogno che il figlio segua la loro visione del mondo e delle cose: hanno già in mente tutto il loro futuro dispiegato in un attimo, sono costantemente in ansia anche se il figlio sta semplicemente facendo il suo mestiere di figlio, ovvero esprimere la sua turbolenza infantile, fare dispetti, disubbidire. Le sfumature possono andare dalla freddezza della madre-soldato, alla fusionalità della madre simbiotica, ma in ogni caso abbiamo a che fare con relazioni malate e castranti. La madre simbiotica, in particolare, ha bisogno del contatto fisico con il figlio, le piace stropicciarlo, baciarlo, averlo per sé: ma un contatto così esasperato non è mai un reale istinto di donazione, è un modo per fagocitare, prendere, succhiare l’anima del figlio per farla tutta sua.

L’incapacità a donare porta i figli ad instaurare relazioni non incentrate sull’amore ma solo sul soddisfacimento delle proprie esigenze narcisistiche. G. Cortesi sostiene che:

se alle spalle – magari non ricordato, magari rimosso o negato, magari coperto dal mito di una madre idealizzata – c’è un accudimento materno o troppo divorante o troppo rifiutante e castrante (la carenza materna è sempre comunque espressione di una coppia genitoriale carente), quel maschio non riuscirà da adulto ad affidarsi al femminile, non saprà e – soprattutto – non potrà vivere la dolcissima avventura di tuffarsi nel magico e trasformante potere della femmina, affidandosi al suo abbraccio e penetrandone il mistero.

Le esigenze narcisistiche tendono al possesso dell’altro in contrapposizione al mancato possesso dell’amore materno e in quanto tali ad una relazione di coppia patologica.

Anche le esperienze di abbandono infantile comportano lo sviluppo di esigenze narcisistiche che comportano a loro volta relazioni tese al non riconoscimento delle esigenze dell’altro. Il bambino piccolo piange e si dispera non appena la madre si allontana sperimentando l’angoscia da separazione. La perdita della persona che ci accudisce rappresenta un lutto e viene vissuta come una grave minaccia alla propria esistenza, un’amputazione di una parte di sé. Spesso si accompagna alla percezione di non poter sopravvivere senza l’altro, e ad una visione catastrofica della vita e del mondo. Le esperienze di perdita e di abbandono nell’adulto possono rievocare antiche ferite, facendo riaffiorare costellazioni di angosce primitive, mai metabolizzate, confermando le aspettative di tradimento, inaffidabilità da parte dell’altro e un’immagine di sé come vulnerabile, destinato ad essere ferito, rifiutato nei rapporti. La separazione diventa non solo perdita dell’altro ma anche perdita di sé, come persona degna di amore. Il mondo diventa improvvisamente un deserto privo di senso, dove niente è stabile e ogni rapporto intimo porta con sé il fantasma dell’abbandono e del dolore insostenibile che comporta.

Frollo, l’arcidiacono della cattedrale in Notre Dame de Paris, viene destinato dalla sua famiglia di origine alla vita ecclesiastica e rinchiuso fin da piccolo nel collegio de Torchi nell’Université dove si mostra appassionato allo studio. Nella sua vita si occupa, con scarsi risultati, in maniera intensa e affettivamente significativa di tre persone: suo fratello Jean, dopo la morte per pestilenza dei genitori, il trovatello e storpio Quasimodo, la zingara Esmeralda. In tutti e tre i casi non riesce a stabilire rapporti affettivamente significativi poiché in apparenza viene tradito. Suo fratello Jean, a cui si era intensamente dedicato, scappa con gli odiati zingari. Quasimodo, che lui aveva accolto quando era stato abbandonato da tutti gli altri, non lo aiuta a conquistare l’amore di Esmeralda e lo uccide dopo la morte di quest’ultima buttandolo giù da una delle torri della cattedrale. Esmeralda lo rifiuta più volte preferendogli il capitano Phoebus, che lui pugnala alle spalle. Gli apparenti tradimenti sono la conseguenza del mancato riconoscimento dell’altro come persona in grado di esprimere le sue emozioni e sentimenti. In effetti l’arcidiacono li tratta come oggetti dei propri desideri così come lui stesso era stato oggetto dei desideri dei genitori. Non stabilisce con loro rapporti basati sull’amore ma, semplicemente, sull’obbedienza e la fedeltà assoluta. Nel momento in cui essi seguono la loro strada diventano oggetti d’odio: Jean si unisce agli zingari, Quasimodo si innamora di Esmeralda, Esmeralda si innamora di Phoenus. Emblematico è il piacere che Frollo prova nell’assistere all’esecuzione di Esmeralda di cui doveva essere innamorato.

Una trasmissione generazionale castrante, così come la madre castrante, ovvero il tentativo dei genitori di pianificare il futuro del figlio senza tenere conto delle sue esigenze, comportano una ferita narcisistica per cui il legame con l’altro diventa possesso per paura di essere abbandonati.

Frollo presenta tutte le caratteristiche presenti nel disturbo narcisistico di personalità. Le persone affette da tale disturbo tendono alla superiorità, necessitano di ammirazione, mancano di sensibilità verso gli altri e hanno un’alta considerazione di sé; abitualmente esagerano le proprie capacità, apparendo spesso presuntuosi. Credono di essere speciali, superiori, di dover essere soddisfatti in ogni loro richiesta e di avere diritto ad un trattamento speciale. Si aspettano che anche gli altri riconoscano il loro status di persone speciali e, nel caso in cui questo accada, li idealizzano. Viceversa se gli altri mettono in discussione le loro qualità reagiscono con rabbia, risultando incapaci di mettersi in discussione ed accettare le critiche. Spesso si accompagnano con persone che possono facilmente sottomettere e che li possono ammirare. Quando sono loro ad attaccarsi agli altri, ad innamorarsi degli altri, soffrono di ansia da abbandono e nel caso di un rifiuto reagiscono con rabbia, rancore e atteggiamenti depressivi. Essendo molto attenti al controllo, i legami di coppia sono spesso caratterizzati da gelosia di tipo ossessivo.

Sembrerebbe che le caratteristiche di personalità del figlio, così come la sua intera vita, siano segnate dai passaggi generazionali e che in qualche modo egli non possa sfuggire al suo destino. In realtà non è proprio così, avendo il figlio la possibilità di ribellarsi e trasgredire le regole che contraddistinguono i passaggi generazionali se questi non vanno nella direzione del raggiungimento dei propri obiettivi o del soddisfacimento delle proprie esigenze. Marius, nei Miserabili di V. Hugo, accetta di essere diseredato dal nonno materno per rivalutare il padre. Vissuto per 18 anni con il nonno materno nella convinzione che il padre lo avesse abbandonato, saputo che era gravemente malato lo va a trovare, trovandolo però già morto. Nella casa del padre trova il lascito testamentario nella raccomandazione di aiutare Thènardier, che gli aveva salvato la vita nella battaglia di Waterloo. Inoltre, dal guardiano della chiesa scopre che il padre andava a vederlo di nascosto ogni settimana in chiesa per non trasgredire il patto che aveva stipulato con il nonno. Il patto prevedeva che in cambio della rinuncia al figlio, tutto il lascito ereditario materno sarebbe andato a Marius. Tornato a casa, Marius rinuncia all’eredità del nonno litigando con lui e va via. Il nonno, nel tentativo di riconciliarsi con il nipote, tramite una zia gli manda dei soldi che puntualmente Marius rispedisce indietro.

L’accettazione e la non accettazione dell’eredità costituiscono l’asse su cui si gioca il conformarsi o trasgredire i percorsi delle famiglie di origine. Il cambiamento, l’evoluzione delle dinamiche generazionali passano attraverso il trasgredire.

Il termine trasgredire spesso ha avuto una valenza negativa in quanto nel suo significato originale vuol dire mettere in discussione le norme sociali e il non rispetto delle regole. Opposto al trasgredire è il conformarsi ovvero la totale accettazione delle norme e delle regole sociali. E’ chiaro che nel trasgredire vi è una forte spinta al cambiamento, al superamento dei limiti, a fare nuove esperienze uscendo da ciò che è considerato usuale e rassicurante. Se Prometeo non si fosse ribellato, non avesse trasgredito le regole di Zeus, gli uomini non avrebbero avuto in dono la memoria, l’intelligenza e, successivamente, il fuoco. La trasgressione, quindi, non solo ha una forte valenza positiva essendo volta al cambiamento, ma anche evolutiva.

Winnicott sostiene che i comportamenti trasgressivi sono la base per i processi di differenziazione del bambino dalla madre e per la costruzione del proprio sé. Molti studi e ricerche hanno messo in risalto i comportamenti trasgressivi durante l’adolescenza. La trasgressione consente all’adolescente di differenziarsi, di esprimere la propria unicità. Trasgredire significa non seguire le regole della massa; così facendo si distanzia e si rende autonomo. L’adolescente ha la necessità di provare a ‘sbattere le porte’ di quelle regole familiari che gli consentono di dare una misura ai suoi limiti e di poter valutare come e quando valicarli. Per far ciò ha bisogno d’interiorizzare le norme e le regole familiari. E’ proprio questo processo d’interiorizzazione che differenzia la trasgressione fisiologica da quella patologica. Se da un lato, infatti, vi è la trasgressione fisiologica che serve ad intraprendere il processo che porta all’acquisizione della propria identità e a mantenere l’ordine sociale, dall’altro, vi è la trasgressione patologica nella quale non sono avvenuti i processi di interiorizzazione dei modelli e delle norme. E’ dunque rimasta una struttura narcisistica e infantile di personalità.

Marius fa una scelta precisa tra due modelli, quello del padre, che ha sacrificato i suoi legami affettivi al fine di garantire l’eredità del nonno al figlio, e quello autoritario ed impositivo del nonno. Sceglie il modello paterno che è stato in grado di donare solo nella speranza e nella fiducia di poter essere ricambiato. Tale era la fiducia di poter essere ricambiato che gli lascia delle precise volontà testamentarie. Il nonno, al contrario, dona solo nella misura in cui l’altro accetta una totale obbedienza ai suoi dettami. In sostanza il nonno non nutre fiducia e speranza nel dono.

Il lascito del valore del dono contraddistingue le successive scelte di Marius. Riesce a farsi approvare il matrimonio con Cosette dal nonno dopo aver cercato di offrire la propria vita, andando a combattere sulle barricate, per il suo amore che vedeva vacillare; viene salvato dal padre adottivo di Cosette che era colui che si opponeva al matrimonio della figlia; riporta Cosette sul letto di morte del padre adottivo da cui l’aveva volontariamente allontanata.

Il tema della trasgressione per potersi svincolare dalla famiglia di origine rientra anche nell’Eugenia Grandet di Honoré de Balzac. Eugenia trasgredisce i dettami del padre, un signore avaro il cui unico scopo della vita è accumulare nuova ricchezza, regalando il suo oro al cugino Charles di cui si era perdutamente invaghita e a cui aveva giurato amore eterno. Per questo suo gesto viene punita dal padre, ma ella non desiste dal continuare a donare pur mantenendo integro ed anzi aumentando il patrimonio paterno dopo la morte di quest’ultimo. Mantiene fiducia e speranza nel valore del dono, al contrario del padre che fa morire la moglie per dispiacere e perdona la figlia solo quando si rende conto che con la morte della madre erediterà metà del patrimonio. Balzac nella parte finale del romanzo di Eugenia scrive:

Oggi la mano di lei molce segrete afflizioni di ogni casa, ed ella s’avvia verso l’alto per una strada di benefici. La grandezza dell’anima copre i difetti dell’educazione e delle prime abitudini in questa donna che vive nel mondo e ad esso non appartiene, che era nata per divenire sposa e madre esemplare e non ha marito, né figlioli, né famiglia.

La mancata costruzione di una propria famiglia è il dono che deve concedere ad una vita di donazioni. Il trasgredire comporta qualche sacrificio, ma sicuramente cambia la storia generazionale delle famiglie.

Al contrario, sempre Balzac in Papà Goriot, denuncia gli effetti negativi della trasgressione in rapporto al contesto sociale. Le figlie di Goriot, Anastasie e Delphine, perfettamente inserite all’interno della emergente società borghese vanno a trovare il padre solo per chiedergli soldi in modo da soddisfare le loro esigenze. L’amore del padre per le figlie viene descritto in maniera patologica poiché egli non riesce a dire di no alle figlie ed anzi dilapida tutti i suoi risparmi, riducendosi a fare una vita di stenti, pur di soddisfarle. Il contesto è la matrice dei significati e, quindi, la trasgressione delle figlie di Goriot trova riscontro nei nuovi valori della società borghese in cui il possedere definisce l’essere. Gli affetti, in quanto valori dell’essere, sono meno importanti dei soldi come sinonimo di possesso. E. Fromm (1976) definisce questa tendenza come distonia dell’avere in cui il comportamento è orientato a raggiungere immediatamente gli obiettivi e coinvolgersi con persone che possono appagare velocemente i propri desideri. A tal proposito scrive:

Un Avere deve possedere un fiore, lo coglie, lo fa suo. Un Essere ne contempla la bellezza, godendo di questo, percependolo per immaginare altri orizzonti.

La società borghese essendo essenzialmente consumistica deve essere per forza di cose rivolta al possesso e, quindi, tende ad esaltare l’avere. Goriot, pur godendo della nostra solidarietà in particolare per la solitudine in cui viene lasciato al suo funerale al quale le figlie non partecipano, comunque, non è una vittima ma contribuisce con i suoi comportamenti ad approvare il comportamento delle figlie. Contribuisce in maniera determinante alla rottura che le figlie fanno con la loro storia generazionale.

La distonia dell’avere è emblematicamente descritta da Zola nel personaggio di Nanà. Figlia di due operai che erano riusciti ad aprire una lavanderia e condurre una vita da benestanti per poi cadere in rovina, diventa un’attrice di teatro di successo. Per il suo desiderio di avere e di possedere lascia la carriera di attrice per dedicarsi a dilapidare il patrimonio dei suoi amanti. Nanà continua l’opera dei genitori utilizzando chiaramente altri mezzi. Il possedere, l’avere, producono anche in Nanà, come nelle figlie di Goriot, un distacco profondo dai sentimenti, un’incapacità ad amare rivolta anche a suo figlio Luigino. L’ascesa sociale da una situazione di povertà è un tema tipico del romanzo ottocentesco. Sempre in Papà Goriot  è presente la figura di Eugene de Rastignac un giovane studente universitario che lascia gli studi per inserirsi all’interno della bella società parigina. Eugene resta accanto a Goriot fino al suo funerale ed alla fine, dal cimitero, guardando i quartieri bene di Parigi lancia la sua sfida con la frase ‘E ora a noi due’.

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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  • Bowlby, J., Attaccamento e perdita, 3: la perdita della madre,  Torino: Boringhieri, 1983
  • Cortesi, G., (2008), La tenerezza dell’Eros. Gesti d’accudimento e gesti d’amore, Ilmiolibro.it
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  • Winnicott D. W., La famiglia e lo sviluppo dell’individuo, Roma:  A. Armando,  1968
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