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Disturbi dello spettro autistico: dopo la diagnosi? Prospettive d’intervento in un progetto di vita

La ricerca evidenzia l’efficacia di interventi CBT per l'Autismo precoci e l'importanza della famiglia e della scuola nel creare un progetto di vita.

Di Marika Ferri, Lucia Candria, Clarice Mezzaluna

Pubblicato il 24 Feb. 2020

Effettuare un trattamento precocemente può contribuire a sviluppare modalità comunicative funzionali e un discreto livello cognitivo che permetterà di far acquisire al bambino una buona autonomia personale e sociale nel suo percorso di vita.

 

 Il precedente articolo La Diagnosi precoce nei Disturbi dello Spettro Autistico ha preso in considerazione la rilevanza della fase diagnostica: formulare una diagnosi precoce infatti promuove risultati più positivi in età scolare e assicura una migliore qualità di vita grazie alla maggiore opportunità di intervento precoce. In questo contesto la riflessione verterà sulle tipologie di trattamento in questi disturbi. Effettuare un trattamento precocemente può contribuire a sviluppare modalità comunicative funzionali e un discreto livello cognitivo che permetterà di far acquisire al bambino una buona autonomia personale e sociale nel suo percorso di vita.

A seguito della diagnosi, l’equipe multidisciplinare che ha la presa in carico del caso deve fornire indicazioni sul panorama dei migliori interventi possibili nell’ambito dei Disturbi dello Spettro Autistico in riferimento alle Linee Guida sull’Autismo dell’ISS attualmente disponibili e si impegna a descrivere le modalità d’intervento attuabili. Un intervento risulta efficace se è capace di creare per ciascun individuo un “progetto di vita” e condizioni del vivere quotidiano che siano il più vicino possibile alle normali circostanze di vita reale nella comunità.

Dalla letteratura (Eldevik et al. 2009) e dalle Linee Guida, si individuano due tipi di modelli di intervento:

  • modelli di trattamento globali: set di interventi focalizzati organizzati intorno ad una struttura concettuale comune;
  • modelli di trattamento focalizzati: prevedono tecniche cognitivo-comportamentali specifiche per sintomi target.

Da un’attenta analisi delle linee guida stilate dall’American Psychiatric Association (APA) secondo l’Evidence Based Medicine, e dalle Linee Guida Autismo redatte dall’Istituto Superiore di Sanità (2011) emerge che la Terapia Cognitivo-Comportamentale rappresenta l’intervento di prima scelta per molti disturbi psichiatrici. Ad oggi gli interventi psicoeducativi per i disturbi dello spettro autistico, validati da evidenze empiriche e di letteratura, fanno riferimento a una cornice teorica di stampo cognitivo-comportamentale, finalizzati a modificare il comportamento generale per renderlo funzionale ai compiti della vita di ogni giorno (alimentazione, igiene personale, capacità di vestirsi) e tentano di ridurre i comportamenti disfunzionali. Nello specifico le Linee Guida Internazionali suggeriscono l’uso della terapia cognitivo-comportamentale per il trattamento dell’Autismo Lieve, per il trattamento della rabbia e la comorbidità con i disturbi d’ansia e dell’umore. La CBT, infatti può essere utile nel migliorare la gestione della rabbia e più in generale le capacità autoregolatorie e nel facilitare l’acquisizione di una maggiore flessibilità cognitiva e comportamentale.

Un programma di intervento di Terapia Cognitivo-Comportamentale è caratterizzato da: l’educazione emotiva, la ristrutturazione cognitiva, la gestione dello stress, l’automonitoraggio e la programmazione delle attività per esercitarsi e mettere in pratica le nuove strategie e abilità cognitive. Una parte centrale dell’intervento consiste nell’insegnamento di abilità comportamentali, cognitive ed emotive (coping skills) utili a modificare pensieri e comportamenti, causa di stati emotivi negativi, come ansia, depressione e rabbia. Considerate le note difficoltà di comunicazione e d’identificazione e comprensione dei propri e altrui stati mentali delle persone con autismo, sono stati proposti, nel corso degli anni, protocolli d’intervento standardizzati specificamente strutturati.

Nel tempo sono state inserite delle variazioni a questi protocolli standardizzati, attraverso l’introduzione di storie sociali e di supporti visivi, una maggiore enfasi posta sull’insegnamento di strategie di coping senza l’uso di linguaggio astratto, l’inclusione di interessi speciali, maggiore spazio dedicato all’insegnamento di semplici abilità sociali e strategie di rilassamento.

Gran parte degli interventi cognitivo-comportamentali seguono un approccio comportamentale, sono interventi intensivi precoci basati sull’applicazione della metodologia comportamentale ABA (Applied Behavioral Analysis). L’Analisi applicata del comportamento è un metodo che fonda le proprie radici nelle teorie di ottica comportamentista e si concretizza nell’applicazione sistematica dei principi individuati dalla scienza che studia il comportamento e le leggi che lo regolano. L’ABA, come riferito da Cooper, Heron, e Heward (1987; 2007) è un metodo educativo altamente individualizzato e interviene sulle competenze cognitive, linguistiche e di adattabilità. Prevede un’accurata programmazione degli interventi al fine di ampliare il repertorio dei comportamenti adattivi (linguaggio e comunicazione, gioco, socializzazione, autonomie personali, abilità scolastiche e attentive) e limitare quelli disfunzionali (autostimolazioni, aggressività, autolesionismo, ossessioni, ecc). Un aspetto fondamentale è il coinvolgimento dei familiari nell’intervento: i progressi sono migliori se tutto l’ambiente diventa educativo, l’intervento intensivo e programmato deve essere infatti utilizzabile sia da terapisti e professionisti, che dai genitori. Se invece i genitori non conoscono le finalità dei programmi, vi è il rischio che il bambino non generalizzi gli apprendimenti fatti con il professionista. La ricerca evidenzia l’efficacia e la validità di interventi precoci avviati entro i 4 anni di vita.

Le linee guida internazionali raccomandano, inoltre, interventi per l’educazione ai sentimenti e alle emozioni proprie e altrui e di facilitazione della comunicazione interpersonale. Particolarmente utile ed efficace è l’applicazione di specifici strumenti, quali ad esempio il CAT KIT, molto diffuso nei paesi anglosassoni, che favorisce l’educazione cognitivo-affettiva in soggetti fin dai 6 anni con livello cognitivo nella norma e in bambini più grandi se con disabilità intellettiva.

Il CAT KIT (Attwood, Scarpa, Wells, 2015), attraverso materiale con un semplice supporto visivo e tattile favorisce la comprensione degli aspetti affettivi e cognitivi coinvolti nella comunicazione, incoraggiandola e favorendola, permette inoltre la regolazione emotiva, la stimolazione delle abilità sociali e favorisce la comprensione della prospettiva altrui.

Vari studi (Bauminger, Shulman, Agam, 2003), condotti su interventi di gruppo basati sull’utilizzo di tecniche cognitivo comportamentali, hanno ampiamente dimostrato la validità della CBT e di interventi di gruppo per il potenziamento delle abilità sociali dei soggetti con ASD. Il gruppo rappresenta infatti, uno strumento per favorire l’acquisizione di life skills essenziali a garantire un’adeguata gestione delle proprie emozioni, maggiori abilità socio-relazionali e di teoria della mente, l’acquisizione di competenze di decision making e problem solving e di una maggiore flessibilità cognitiva.

Ulteriori aspetti da tenere in considerazione nella strutturazione di un intervento efficace sono il coinvolgimento della famiglia e della scuola.

Il parenting, il comportamento tra genitori e figli e la qualità del rapporto che ne deriva, non viene ridotto allo studio delle interazioni tra genitore e bambino, ma è influenzato da una molteplicità di fattori, che a livelli diversi influenzano le interazioni di essi.

Infatti solo alcuni fattori sono strettamente legati all’individualità di adulti e bambini (come la personalità, le credenze, gli atteggiamenti dei primi, il temperamento,…), mentre altri, anche se non direttamente prossimi al bambino (contesto lavorativo del genitore o degrado quartiere), possono influenzare i comportamenti educativi dei genitori nel corso delle interazioni ordinarie. Variabili psicosociali (sistemi di credenze, grado di accordo tra i coniugi, livello di stress o di soddisfazione familiare percepito,…) possono ulteriormente rendere complessa la gestione della vita domestica.

Il Parent Training è un programma di formazione rivolto a genitori di bambini/adolescenti che evidenziano problematicità emozionali e/o comportamentali, con la finalità di sviluppare maggiore consapevolezza e competenza nella risoluzione delle difficoltà inerenti i figli e di valorizzarne e rafforzarne le risorse (Fabbro, 2016), nel caso del disturbo autistico inoltre, va ad aumentare la conoscenza e la consapevolezza della famiglia circa le difficoltà del bambino, incrementare le abilità genitoriali nella gestione della vita quotidiana, ridurre il livello di stress, promuovere le capacità e le risorse della famiglia nella risoluzione dei problemi. Numerose evidenze scientifiche sostengono l’importanza di attuare percorsi di parent training già nei primi anni di vita. Le linee guida nazionali affermano che

I programmi di intervento mediati dai genitori sono raccomandati nei bambini e negli adolescenti […], poiché sono interventi che possono migliorare la comunicazione sociale e i comportamenti problema, aiutare le famiglie a interagire con i loro figli, promuovere lo sviluppo e l’incremento della soddisfazione dei genitori, del loro empowerment e benessere emotivo.

Altra protagonista dell’intervento è la scuola, con la quale è fondamentale creare una rete, condividere strumenti, usare le stesse metodologie.

I bambini con autismo imparano, ma in modo diverso rispetto ai loro coetanei (Vivanti, Salomone, 2016) ed è per questo che spesso le strategie educative convenzionali, quelle che funzionano per i bambini con sviluppo tipico, non risultano efficaci e conducono il bambino, la sua famiglia e i professionisti coinvolti nell’insegnamento verso situazioni frustranti e improduttive. Risulta quindi necessario che insegnanti, genitori e terapisti possano individuare le modalità giuste per quel bambino.

Obiettivo dell’intervento non deve essere quello di curare la diversità, ma di facilitare l’apprendimento di abilità che aiuteranno il bambino a godere delle stesse opportunità dei coetanei. A seconda dei casi, alcune caratteristiche dell’autismo possono essere di ostacolo o di aiuto per questo processo.

A prescindere dal quadro cognitivo di riferimento, la mancanza di flessibilità costituisce uno degli elementi che maggiormente interferisce con l’integrazione nel contesto di vita: i soggetti con ASD mostrano difficoltà clinicamente significative nell’affrontare i cambiamenti all’interno del loro ambiente. Tale rigidità e regolarità servono per attenuare l’ansia dovuta all’incapacità di prevedere e gestire le conseguenze degli eventi; infatti, per mantenere un certo controllo sulla propria vita, i soggetti con ASD richiedono un alto livello di prevedibilità su persone, oggetti e routine.

In età adulta vi è un’elevata variabilità nell’evoluzione del quadro clinico: in alcuni pazienti la condizione patologica rimane inalterata, mentre altri possono mostrare un modesto miglioramento con l’avanzare degli anni, con attenuazione dei problemi comportamentali e dei deficit sensoriali (Seltzer et al., 2004; Shattuck et al., 2007). Un elemento importante rimane il mantenimento della compromissione della sfera sociale, tipica dell’ASD, permangono quindi deficit di interazione e comunicazione sociale e una vasta gamma di comportamenti e interessi ristretti e molto particolari.

Pertanto, è opportuno che sia programmata la continuità assistenziale da parte dei servizi sanitari e un’integrazione tra i professionisti coinvolti nel passaggio dall’età evolutiva (UMEE-Centro Autismo Età Evolutiva) all’età adulta (UMEA-Centro Autismo Età Adulta), per una corretta presa in carico dell’utente, al fine di garantire cure adeguate in tutte le fasi di vita.

È nella fase di passaggio che risulta fondamentale impostare il “Progetto di Vita”, da realizzare in una collaborazione costante tra la persona con ASD, la sua famiglia, i servizi sanitari e sociali (Comune e ATS).

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • American Psychiatric Association, (2013). Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, 5th Edition. Washington, DC: APA.
  • Attwood, T., Scarpa, A., Wells, A. (2015). Esplorare i sentimenti per i più piccoli. Terapia cognitivo comportamentale per gestire ansia e rabbia nei bambini di 5-7 anni. Armando Editore.
  • Bauminger, N., Shulman, C., Agam, G. (2003). Peer interaction and loneliness in high-functioning children with autism.  Journal of Autism and Developmental Disorders, 33(5):489-507.
  • Cooper, J.O., Heron, T.E., & Heward W.L. (1987; 2007). Applied behavior analysis. New Jersey: Prentice Hall.
  • Eldevik, S., Hastings, R.P., Hughes, J. C., Jahr, E., Eikeseth, S., Cross, S. (2009). Meta-analysis of early intensive behavioral intervention for children with autism. Journal of Clinical Child and Adolescent Psychology, 38, 439-450.
  • Fabbro, N.  (2016). Psicoterapia con i bambini e le famiglie. Interventi cognitivo - comportamentali in età evolutiva. Raffaello Cortina Editore
  • Granpeesheh, D., Tarbox, J., Dixon, D.R. (2009). Applied behavior analytic interventions for children with autism: A description and review of treatment research. Annals of Clinical Psychiatry, 21(3), 162-173.
  • Istituto Superiore di Sanità (2011, 2015). Linee guida 21. Il trattamento dei disturbi dello spettro autistico nei bambini e negli adolescenti.
  • Seltzer, M.M., Shattuck, P., Abbeduto, L., Greenberg, J.S. (2004). Trajectory of development in adolescents and adults with autism. Mental Retardation and Developmental Disabilities Research Reviews, https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/1566634110(4):234-47.
  • Shattuck, P.T., Seltzer, M.M., Greenberg, J.S., Orsmond, G.I., Bolt, D., Kring, S., Lounds, J., Lord, C. (2007). Change in autism symptoms and maladaptive behaviors in adolescents and adults with an autism spectrum disorder.  Journal of Autism and Developmental Disorders, 37(9):1735-47.
  • Vivanti, G., Salomone, E. (2016). L'apprendimento nell'autismo. Dalle nuove conoscenze scientifiche alle strategie di intervento. Ed. Erickson.
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