Durante il seminario che si è tenuto a Bergamo il 25 maggio scorso, Paul L. Hewitt ha illustrato il suo approccio dinamico-relazionale, frutto di oltre trent’anni di lavoro, all’assessment, alla concettualizzazione e al trattamento del perfezionismo, un complesso e problematico aspetto di personalità.
Il seminario è stato organizzato dalla Society for Psychotherapy Research e dalla Scuola di Psicoterapia Integrata. Uno dei massimi esperti mondiali di perfezionismo – Paul L. Hewitt – ha illustrato il suo approccio dinamico-relazionale al tema.
L’ipotesi alla base del lavoro di Hewitt
Nell’ascoltare Paul L. Hewitt è facile capire cosa intendiamo o vorremmo intendere utilizzando la parola “esperto”. Perché Hewitt è senza alcun dubbio un esperto di perfezionismo. Con gentilezza, calma ed approfondita conoscenza ha guidato i partecipanti al corso nella comprensione del suo modello di funzionamento ed intervento. Il cosiddetto approccio dinamico–relazionale prende le sue origini dalle domande che il giovane studente universitario Paul Hewitt si pose scrivendo il suo primo articolo in cui passava in rassegna quanto noto in letteratura. L’ipotesi guida era, e resta, quella che il perfezionismo non sia una sorta di deriva o correlato sintomatologico di altre psicopatologie, quanto piuttosto un tratto di personalità multidimensionale e potenzialmente maladattivo.
A partire dalle prime ricerche in cui cercò di dimostrare come il perfezionismo fosse uno stile interpersonale che media tra eventi stressanti e depressione (Hewitt & Dyck, 1986), sino alle conferme sperimentali sulla multidimensionalità di tale tratto (Hewitt & Flett, 1991), il lavoro trentennale di Hewitt si è sviluppato secondo chiare e coerenti linee di ricerca. Ed ha portato alla pubblicazione di Perfectionism. A Relational Approach to Conceptualization, Assessment, and Treatment (Hewitt, Flett & Mikail, 2017) uscito nel 2017 in lingua inglese e prossimamente disponibile in lingua italiana.
Affondando le sue radici in un background psicodinamico, il modello dinamico-relazionale integra teorie e prospettive diverse anche e volutamente di stampo cognitivista. Hewitt evidenzia chiaramente come all’origine del suo lavoro vi siano in particolare due filoni teorici. Da un lato troviamo le elaborazioni psicoanalitiche del complesso di superiorità (Adler, 1979), ovvero quel tentativo molto umano di mascherare un nostro senso di inferiorità che spesso porta ad ipersensibilità alle critiche e quindi alla tendenza a mascherare le nostre imperfezioni (Horney, 1950). Dall’altro lato, la rilettura interpersonale dell’ansia e della sofferenza umana (in opposizione all’originale eziologia intrapersonale freudiana) che la psicoanalisi americana ha reso famosa (Sullivan, 1953), supporta l’idea di considerare il perfezionismo un tratto di personalità maladattivo al punto da nuocere alla persona e alle sue relazioni (Blatt, 1995).
Il perfezionismo secondo Hewitt
Ma che cos’è il perfezionismo? Secondo Hewitt, è “un modo di essere nel mondo“. Per fare maggiore chiarezza è meglio partire dalla distinzione tra ciò che si intende parlando di perfezionismo e quello che invece, più comunemente, si intende facendo riferimento allo sforzo impiegato per ottenere determinati risultati: la soddisfazione, il piacere per la ricompensa, l’ottimismo e l’organizzazione caratterizzano il sano impegno che ci porta verso degli obiettivi ambiti; quando invece si ha a che fare con il perfezionismo, prevalgono il focus su ciò che non va, la paura del fallimento e la procrastinazione. Alla base di questa sostanziale differenza, secondo Hewitt, risiede un aspetto nucleare: l’obiettivo del perfezionismo è “perfezionare se stessi, e non le cose o le attività“. Questo implica che ottenere la perfezione risponda in realtà a scopi assai più profondi.
Imm. 1 – Immagine dal workshop con Paul L. Hewitt
Il modello del perfezionismo presentato da Paul L. Hewitt ne ipotizza una configurazione multidimensionale, che risulta estremamente utile per poter concettualizzare al meglio il funzionamento di ciascun paziente, combinando varie tipizzazioni e permettendo così di impostare in modo più proficuo il trattamento. Nello specifico, il Comprehensive Model of Perfectionistic Behavior (CMPB; Hewitt, Flett & Mikail, 2017) distingue, all’interno del costrutto del perfezionismo, sia degli specifici tratti che dei processi di natura intra- ed interpersonale.
Imm. 2 – Paul L. Hewitt illustra le caratteristiche del perfezionismo
Tra le dimensioni di tratto, è possibile distinguere diverse configurazioni:
- una forma in cui la persona si impone alti standard, pretende da se stessa la perfezione e si valuta in modo critico;
- uno stile che si caratterizza per la tendenza a pretendere la perfezione dagli altri, valutandoli in modo critico e aspettandosi che si attengano ai propri standard;
- una modalità in cui è centrale la credenza che gli altri si aspettino la perfezione da noi stessi.
Tra le componenti processuali, di natura inter-personale, è invece possibile distinguere tre diverse modalità di auto-presentazione perfezionistica; secondo il modello di Hewitt e colleghi infatti, vi può essere:
- la tendenza ad auto-promuovere la propria perfezione offrendo agli altri un’immagine di sé ineccepibile ed unica;
- la tendenza a nascondere quelle che vengono considerate come proprie imperfezioni, attraverso evitamenti e forme condiscendenza passiva;
- la tendenza a non rivelare, e dunque omettere, le proprie imperfezioni, come ad esempio i fallimenti.
Imm. 3 – Paul L. Hewitt parla di perfezionismo
Sempre di tipo processuale, ma intra-personali, sono infine le componenti cognitive del CMPB, che rappresentano l’espressione interiore del perfezionismo: un insieme di pensieri automatici, ruminazioni, autorecriminazioni e autocensure inerenti il bisogno di essere perfetti.
Origine e coseguenze psicopatologiche del perfezionismo
Attraverso numerosi esempi clinici e video di sedute ed interviste, durante il workshop Paul L. Hewitt ha illustrato come la paura di non essere ‘abbastanza’ possa rendere la vita del perfezionista molto dolorosa. Ma quali possono essere dunque le problematiche, inerenti il perfezionismo, su cui il clinico si trova a dover intervenire? Hewitt nel corso del seminario ha più volte ribadito che il perfezionismo non è di per sé classificato come un disturbo psicologico, ma rappresenta comunque uno dei più rilevanti fattori di vulnerabilità nello sviluppo della personalità, che esita in altre sindromi (come la depressione, i disturbi alimentari, i disturbi d’ansia, i disturbi di personalità), in problematiche relazionali, in disturbi di natura fisica connessi allo stress e in difficoltà inerenti la realizzazione (come la procrastinazione, la paura del fallimento, il burn-out, la sindrome dell’impostore).
All’origine del perfezionismo, secondo Paul L. Hewitt, ci sarebbe un’asincronia nell’attaccamento, una sorta di non sintonizzazione tra bisogni del bambino e risposte dei genitori ad essi, nei confronti della quale il perfezionismo è solo una delle risposte possibili, in quanto stile di personalità che insorge all’interno di un contesto relazionale. Il Perfectionism Social Disconnection Model (PSDM; Hewitt, Flett & Mikail, 2017) illustra infatti in che modo, attraverso le prime interazioni significative, i comportamenti perfezionistici si sviluppino come una modalità orientata a uno scopo preciso: compensare o riparare un sé danneggiato e gestire l’ansia interpersonale e le altre emozioni negative che si creano, in relazione ad esso, all’interno dei contesti interpersonali.
Risultare perfetto sembra permettere (solo ipoteticamente) di sviluppare una migliore relazione con l’altro, ma questa modalità finisce invece per condurre – paradossalmente – alla sensazione di non essere accettati, capiti, di non essere mai abbastanza, e spinge passo dopo passo ad utilizzare sempre di più le strategie perfezionistiche, sviluppando, anche verso se stessi, relazioni problematiche. Nel PSDM, infatti, Hewitt mette a fuoco non solo le considerazioni inerenti lo sviluppo precoce del perfezionismo, ma anche le modalità attraverso cui esso evolve e si mantiene secondo differenti traiettorie evolutive.
Il trattamento del perfezionismo
Nell’ultima parte del seminario, Hewitt ha illustrato alcuni aspetti inerenti il trattamento del perfezionismo. L’approccio utilizzato da Paul L. Hewitt e colleghi è di tipo dinamico-relazionale ed integra al suo interno elementi della psicoterapia dinamica, di quella interpersonale e di quella cognitivo-comportamentale; il modello di trattamento è stato declinato sia per l’intervento individuale che per quello di gruppo. Partendo da un accurato assessment, tramite questionari e attraverso il colloquio clinico, il terapeuta giunge alla formulazione del caso che nel modello viene rappresentata mediante due triangoli: uno rappresenta le modalità attraverso cui il perfezionismo si è sviluppato, e prende in considerazione lo stile di attaccamento ed i bisogni interpersonali, gli affetti negativi, le difese e gli stili di coping (triangle of adaptation); l’altro rappresenta il modo in cui il perfezionismo si è manifestato e si manifesta, nei vari contesti interpersonali compreso il setting terapeutico (triangle of object relations). La terapia ha infatti come focus l’aumento della consapevolezza riguardo alle dinamiche interne e ai modelli interpersonali che danno origine alla convinzione che perfezionare se stessi o gli altri sia essenziale.
Come tutte le moderne psicoterapie rivolte a tratti, dimensioni o fattori di personalità il trattamento non ambisce illusoriamente a stravolgere la personalità stessa. Per chi ha avuto tra i propri pazienti persone con elevati livelli di perfezionismo sa che oltre che controproducente una simile strategia risulterebbe dannosa. L’obiettivo dell’intervento proposto da Hewitt mira infatti a promuovere un processo adattativo basato sulle specificità della persona, cercando di “ridurre e eliminare i meccanismi causali individuati” (Hewitt, Flett & Mikail, 2017, p. 285) all’origine dei sintomi e delle sindromi psicopatologiche che il perfezionismo può generare. E nel far questo possiamo forse ambire ad accettare l’imponderabilità della vita, a prescindere dal tempo e dalle energie dedicate a prepararsi a future invalidazioni. Lo stesso Hewitt, nel ricevere la primissima stampa di un’antologia di studi sul perfezionismo curata per conto dell’American Psychological Association (Flett & Hewitt, 2002), lesse con un certo sgomento: “Pefectionism”… si erano dimenticati una “r” nel titolo!
The maxim ‘nothing prevails but perfection’, may be spelt shorter: paralysis (Sir Winston Churchill)