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Patologie del sistema nervoso centrale e depressione: il suicidio del cantante Ian Curtis e la correlazione con l’epilessia

Epilessia: numerosi studi evidenziano che spesso porta con se grave depressione, come potrebbe essere successo a Ian Kevin Curtis dei Joy Division

Di Rachele Recanatini

Pubblicato il 24 Giu. 2019

Ian Kevin Curtis è stato un cantautore britannico, nato nel 1956 e fondatore del famoso gruppo musicale Joy Division; nel dicembre 1978, Curtis inizia a soffrire di un disturbo denominato epilessia tonico-clonica, il cosidetto “grande male”..

Rachele Recanatini – OPEN SCHOOL Studi Cognitivi San Benedetto del Tronto

 

 Ian Kevin Curtis è stato un cantautore britannico, nato nel 1956 e fondatore del famoso gruppo musicale Joy Division. L’influenza della band “Joy Division” nella cultura musicale giovanile degli anni ottanta e novanta è considerata enorme; Ian Curtis è definito ancora oggi un vero e proprio personaggio di culto.

Nel dicembre 1978, Curtis inizia a soffrire di un disturbo denominato epilessia tonico-clonica, il cosidetto “grande male”; la categoria fotosensibile, nello specifico, è una particolare forma di epilessia in cui le convulsioni sono provocate da stimoli visivi, come ad esempio le luci lampeggianti.

Curtis e l’epilessia: la diagnosi arriva a 22 anni

L’esordio tardivo della patologia – il personaggio aveva già ventidue anni – viene imputato ad una combinazione di fattori biologici e stressanti: il cantante era all’apice del successo musicale; la sua carriera è al culmine della fama quando il fantasma della disabilità gli rimanda incessantemente un’immagine di sé come uomo fragile ed inerme, diverso dal passato e con un futuro incerto. Nel periodo in cui il grande male e le crisi d’assenza diventano frequenti, da rendere ingestibile una normale vita quitidiana, viene prescritto a Curtis il fenobarbital (“Gardenale”), un farmaco antiepilettico, insieme ad un’altra serie di medicinali.

Le crisi proseguono incessanti; così come nel suo caso infatti, circa il 30% delle persone affette da epilessia continua a manifestare crisi convulsive – seppur diminuite – nonostante la terapia farmacologica (Duncan et al., 2006); per tale motivo l’ epilessia, anche se costantemente stabilizzata e controllata, è ancora oggi considerata una disabilità cronica per cui non esiste una cura definitiva.

La patologia diviene negli anni un disagio insostenibile per Curtis, una condizione intollerabile. In questo periodo il cantautore manifesta i primi sintomi di un grave disturbo depressivo, mai formalmente diagnosticato. Assume terapia farmacologica in maniera disregolata, viene ricoverato in due occasioni per averne abusato: il 7 aprile 1980 tenta per la prima volta il suicidio assumendo elevate dosi di fenobarbital. Curtis viene definito dalle persone a lui vicine come instabile, ritirato, chiuso. Le oscillazioni umorali si alterano tra periodi di crisi ipomaniacali e cadute depressive. La moglie ricorda come Curtis inizi ad essere spaventato dagli effetti della propria patologia: teme di morire nel sonno, di dover smettere di guidare, di come possa essere giudicato dai fans.

Le crisi epilettiche stanno cominciando a spaventarmi […] A volte temo di uscire di notte per paura di avere una crisi in un locale o in un cinema. Divento più nervoso quando suoniamo per paura che accada […] Continuo a pensare che un giorno le cose diventeranno così intense che non sarò più in grado di andare avanti.

Curtis: la combinazione di fattori che l’ha spinto al gesto estremo

Il 18 maggio 1980 Ian Curtis decede, all’età di soli ventitre anni, impiccato ad una rastrelliera nella cucina della propria abitazione. Secondo l’opinione dei suoi cari, la causa del gesto suicidario è legata all’utilizzo del farmaco antiepilettico: i dannosi effetti collaterali del fenobarbital sono scientificamente documentati (Middles et al., 2006). Alcuni farmaci utilizzati nel trattamento dell’epilessia, infatti, possono causare instabilità emotiva, agitazione, irritabilità, crisi di pianto, irrequietezza ed iperattività. Il “Gardenale”, in particolare – anche se non è il solo – contiene un principio attivo particolarmente legato a tale sintomatologia. I comportamenti patologici e gravemente altalentanti del cantautore potrebbero quindi essere state sia accentuazioni di un temperamento di base, vulnerabile, slatentizzato dalla sostanza farmacologica, sia manifestazioni di problematiche preesistenti, successivamente attribuite al farmaco. L’antiepilettico, nel caso in esame, ha presumibilmente peggiorato una preesistente sintomatologia depressiva (Church, 2006). I tratti della personalità che caratterizzavano Ian Curtis si definivano già come disforici, con tendenze all’autodistruzione, sbalzi d’umore, idee di morte e grandiosità; la somministrazione farmacologica può averli patologicamente rafforzati e scompensati. Stress, insonnia, stile di vita disregolato, consumo di alcol e marijuana hanno contribuito ad accentuare le crisi emotive del cantante.

Nel 2007 il film Control ne narra realisticamente l’autobiografia, una pellicola tratta dal libro redatto dalla vedova di Curtis. Il titolo del film fa riferimento a quella che viene definita la sua ossessione: il controllo. Un tentativo spesso vano di comprendere, razionalizzare, limitare le manifestazioni sintomatologiche che lo pervadono e contro cui si percepisce inerme. Le crisi epilettiche riferite agli ultimi anni di vita sono sempre più frequenti; alcuni dei concerti vengono bruscamente interrotti a causa della sintomatologia invalidante. Nell’ultimo periodo della sua breve esistenza il cantautore sembra aver incorporato attivamente le proprie esperienze di malattia nei suoi testi (Tuft et al., 2015): i brani diventano gradualmente più cupi, macabri, oscuri. Il modo di muoversi di Curtis sul palco durante le ultime esibizioni riproduce, come in una parodia, le crisi epilettiche, i movimenti involontari che avrebbe compiuto durante una convulsione. La patologia provoca in lui gesti sincopati, ricordati dai fans come “epilepsy dance”, spesso difficilmente distinguibili dai movimenti frenetici e ritmati della musica che suona. A partire dal 1979 Curtis, riproducendo i suoi attacchi epliettici sul palco, diventa un personaggio teatrale, utilizza la sua esperienza di disabilità – esperita nel privato – per costruirsi un ruolo bizzarro, di una particolare rockstar, unica nel suo genere. Nonostante alcuni fans non fossero a conoscenza della sua patologia, infatti, lo definivano “spastico” o “disabile” durante le performance.

La sofferenza nell’ultimo album del cantante dei Joy Division

Gli ultimi mesi di vita si caratterizzano da sentimenti insofferenza, irritabilità, frustrazione e senso di colpa. I medici gli sconsigliano di proseguire la carriera musicale, lui rifiuta. Il gesto anticonservativo è preceduto da testi musicali caratterizzati da angoscia ed ossessioni. I brani riflettono la componente tragica della disabilità, descrivono emozioni collocabili all’interno dell’esperienza dell’ epilessia, riflettendo sensazioni di isolamento, trauma e stigmatizzazione (Delin et al., 1997). “Closer” esce circa due mesi dopo, è un disco desolato, definito come il suo testamento: racconta di un ragazzo alla ricerca di una normalità impossibile da raggiungere. Evoca sentimenti di colpa, tristezza, disperazione e vuoto. Alcuni autori ipotizzano come la carriera del cantante sia stata secondaria rispetto al clamore seguente alla sua epilessia, depressione e successivo gesto suicidario (Waltz et al., 2009). Curtis non ha indirizzato i suoi testi esplicitamente alla comunità dei disabili, né ha annunciato pubblicamente la sua epilessia, né ha celebrato le persone con disabilità, ma la sua musica colpisce profondamente persone affette da epilessia, che si rispecchiano nei suoi brani. Le canzoni evocano un sentimento depressivo e cupo, uno stato d’animo comune e comprensibile per gli ascoltatori che possono identificarsi empaticamente nella sua sofferenza fisica e psicologica.

Epilessia: caratteristiche e tipi della malattia

L’ epilessia è una nota patologia del Sistema Nervoso Centrale, è un disturbo neurologico in cui l’attività delle cellule nervose cerebrali si interrompe causando convulsioni. Le crisi epilettiche possono essere classificate in convulsioni focali e convulsioni generalizzate, a seconda che la scarica delle cellule nervose si verifichi in una specifica regione della corteccia cerebrale o nell’intera area del cervello. Le crisi generalizzate, a loro volta, si differenziano in: crisi di assenza, in passato note come “piccolo male”, caratterizzate da una rapida e breve perdita di coscienza, più tipiche dell’infanzia e dell’adolescenza; convulsioni toniche, che provocano un irrigidimento muscolare, soprattutto lungo la schiena e negli arti superiori ed inferiori; convulsioni atone, a cui segue una perdita del controllo muscolare con cadute improvvise; convulsioni cloniche, associate a movimenti muscolari ripetuti e ritmici, che coinvolgono collo, viso e braccia; crisi miocloniche, con improvvisi e brevi sussulti di braccia e gambe; crisi tonico-cloniche, prima conosciute come “grande male”, che rappresentano la tipologia più grave: durano dai 5 ai 10 minuti, sono caratterizzate da una fase di contrazione intensa che coinvolge tutto il corpo, una fase composta da convulsioni ed un fase di risoluzione finale, riconoscibile da respirazione rumorosa e possibile perdita del controllo degli sfinteri. È la tipologia che ha colpito il cantante Ian Curtis.

Le persone che ne sono affette non conservano ricordi delle crisi. Le convulsioni parziali, invece, si dividono in crisi semplici, ovvero senza una perdita della coscienza, e crisi complesse, con perdita della consapevolezza. La prima tipologia può essere suddivisa in: crisi semplici, limitate ad una specifica area del corpo; sensitive, che causano formicolio; sensoriali, con allucinazioni, alterazione del gusto, dell’olfatto, del tatto e dell’udito. Le convulsioni parziali complesse potrebbero invece essere caratterizzate da movimenti ripetitivi, come sfregarsi le mani, masticare, deglutire, camminare in cerchio. I sintomi relativi all’epilessia focale spesso sono confusi con segni di disturbi neurologici diversi, come l’emicrania, la narcolessia o alcune patologie psichiatriche. Per una diagnosi certa, di conseguenza, occorre sottoporre la persona ad esame neurologico, test neuropsicologici ed ulteriori approfondimenti medici. Le cause che provocano tale patologia sono in circa la metà dei casi ancora sconosciute, come per le epilessie primarie o idiopatiche. Le altre condizioni traggono origine da diversi fattori, quali: cause genetiche, in cui l’ epilessia viene trasmessa a livello familiare; traumi cranici; condizioni patologiche cerebrali, come tumori e ictus; malattie infettive, quali meningite, AIDS, encefalite virale; lesioni perinatali; disturbi dello sviluppo, ad esempio autismo e neurofibromatosi. Le crisi epilettiche risultano estremamente pericolose a qualsiasi grado colpiscano.

Epilessia: effetti collaterali dei farmaci

Ad oggi si stima che in circa l’80% dei casi i trattamenti farmacologici e chirurgici possono essere in grado di controllare la condizione patologica. I farmaci utilizzati sono denominati “antiepilettici” e possono provocare numerosi effetti collaterali, tra cui stanchezza, vertigini, aumento di peso, perdita della densità ossea, eruzioni cutanee, perdita di coordinazione, problemi di linguaggio, di memoria e di pensiero e come abbiamo visto nel caso del celebre cantautore, sintomi depressivi (Patsalos et al., 2018). Nei paesi industrializzati l’incidenza annua dell’epilessia, definita come due o più crisi non provocate e separate da almeno ventiquattro ore, è di 29-53 casi per 100.000 (Hauser, 1997). Nonostante la frequenza elevata, non sempre sembra assicurata una pratica clinica ottimale ed omogenea, che coinvolga le figure sociosanitarie necessarie. A livello psicologico, in particolare, occorre considerare che le crisi epilettiche, spesso a decorso cronico, impongono ai soggetti che ne sono affetti un trattamento di lunga durata con farmaci che provocano effetti collaterali particolarmente rilevanti; inoltre, l’ epilessia interferisce con molti obiettivi esistenziali, minando la qualità della vita di tali persone, ad esempio in relazione alle scelte professionali e personali che possono essere limitate dalla patologia. Tali aspetti, legati altresì alla sintomatologia convulsiva invalidante, possono condurre alla depressione nel paziente epilettico.

Epilessia e disturbi depressivi

I disturbi depressivi sono caratterizzati da un sentimento di tristezza grave e persistente, tale da interferire con il funzionamento globale della persona e, frequentemente, inducono una significativa diminuzione del piacere e degli interessi. Il Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM-5) distingue molteplici tipi di depressione, in base alle caratteristiche riscontrate nel paziente: Disturbo Depressivo Maggiore, Disturbo Depressivo Persistente, altro Disturbo Depressivo specificato o non specificato, Disturbo Disforico Premestruale, Disturbo Depressivo dovuto ad un’altra condizione fisica, Disturbo Depressivo indotto da sostanze o farmaci.

Il Disturbo Depressivo legato ad una condizione medica, nel caso in esame, colpisce circa il 25% dei pazienti affetti da epilessia, così come rilevato da un recente studio scientifico (Gill et al., 2018). Strumenti validi ed attendibili che valutino l’insorgenza di un Disturbo Depressivo come direttamente legato all’epilessia non sempre sono stati definiti in maniera chiara; studi recenti indicano che i test di screening maggiormente considerati dalla letteratura scientifica internazionale sono il “Neurological Disorders Depression Inventory for Epilepsy” (NDDI-E) ed il “Mini International Neuropsychiatric Interview” (MINI). Il test NDDI-E, in particolare, risulta essere lo strumento più valido; è gratuito ed è stato tradotto in numerose lingue, inoltre è di facile somministrazione. Uno studio recente ha sottolineato inoltre come la depressione, nel paziente epilettico, è altamente correlata altresì con il rischio di stigmatizzazione, dovuto alle conseguenze psicosociali delle crisi convulsive, croniche e invalidanti (Yıldırım et al., 2017). Nello specifico, sono stati valutati 302 pazienti affetti da epilessia attraverso il test “Beck Depression Inventory” (BDI) – allo scopo di quantificare i sintomi depressivi – ed il test “Stigma Scale for Epilepsy-Self Report” (SSE-SR) – per indagare la stigmatizzazione subita e vissuta durante l’arco della vita. Si è riscontrato che il 49,6% della popolazione riporta sintomi depressivi lievi (BDI > 9). Si sottolinea inoltre una moderata correlazione positiva tra i punteggi della stigmatizzazione ed i punteggi alla scala di Beck: il 96,3% dei pazienti altamente stigmatizzati presentava punteggi di depressione moderata; il 73,9% del gruppo di persone che non ha subito stigmatizzazioni non ha riportato punteggi relativi alla depressione oppure ha ottenuto punteggi minimi.

Epilessia: supporto psicologico come aiuto per depressione e stigma

Lo studio dimostra che la stigmatizzazione sociale dei pazienti affetti da epilessia provoca dunque sintomi depressivi. Pertanto, effettuare un trattamento psicoterapico e un tempestivo sostegno psicologico in pazienti epilettici, allo scopo di fronteggiare la situazione di disagio che potrebbero vivere, può contribuire anche a proteggerli da una condizione concomitante altrettanto invalidante: lo sviluppo di sintomi depressivi. In casi estremi la sintomatologia depressiva, correlata ad altri fattori di rischio, può condurre il paziente epilettico al suicidio: è il caso del noto cantante inglese Ian Curtis.

In conclusione, possiamo dire che l’impatto dell’ epilessia, del trattamento farmacologico della patologia cronica e della depressione in comorbidità hanno avuto sulla vita artistica di Ian Curtis e sulla sua morte prematura non è ancora chiaro e definito. Naturalmente, ci sono fattori impossibili da verificare all’attualità: non è possibile confermare la causalità e la consequenzialità concreta dei fattori biologici ed ambientali che hanno contribuito alla sua morte precoce. È fondamentale in ogni caso sottolineare l’importanza rivestita da un tempestivo supporto psicologico in casi di epilessia: è stato scientificamente dimostrato come la condizione cronica delle crisi epilettiche, gli effetti collaterali della farmacoterapia, le limitazioni quotidiane e l’eventuale condizione di stigmatizzazione sociale esperita, spesso causano un Disturbo Depressivo nei pazienti epilettici. Nei casi più gravi, come potrebbe essere stato per il famoso cantante Ian Curtis, tale patologia del Sistema Nervoso Centrale non psicologicamente trattata – unitamente ad altri fattori di rischio – sfocia in un gesto suicidario.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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  • Yılddırım, Z., Ertem, D.H., Ceyhan Dirican, A., Baybaş, S. (2018). “Stigma accounts for depression in patients with epilepsy”. Epilepsy Behavior, 78, 1-6.
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