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Il ritiro scolastico come manifestazione del disagio giovanile – Report dal Convegno di Roma del 18 maggio 2019

La scuola non è solo luogo di apprendimento, ma è luogo di crescita, sviluppo personale e dunque è spazio per sperimentare la relazionalità

Di Francesca Rendine

Pubblicato il 27 Mag. 2019

Il disagio giovanile di oggi, richiede una risposta complessa, fatta dell’intergrazione di più professionalità presenti nell’ambiente scolastico e dalla cooperazione di tutti gli “attori” che ruotano attorno alla loro vita e che contribuiscono alla lora crescita.

Evento patrocinato dall’Azienda Ospedaliera San Camillo Forlanini – Eticamente Onlus – Roma

 

Questo “disagio” o tutte quelle difficoltà che se trascurate possono condurre ad un disagio conclamato, richiedono dunque l’attiva collaborazione di operatori, insegnanti e famiglia.

Diverse sono oggi le “tipologie” di disagio giovanile, sicuramente ognuna di esse risente di fattori sociali e culturali, che contribuiscono all’evoluzione delle caratteristiche generali delle stesse. Fra queste tipologie rientrano: il bullismo, il cyberbullismo, il cutting, l’utilizzo di sostanze stupefacenti, la ludopatia sino allo sviluppo di eventi psicotici.

Il cervello adolescente…

I dati MIUR (2018) ci informano che 1 ragazzo su 4 abbandona la scuola e con essa “abbandona un’idea di futuro”. Questo abbandono rappresenta in moltissimi casi, l’inizio di un vissuto di emarginazione.

Oggi è indispensabile conoscere il processo maturazionale del cervello di un “adolescente” proprio per comprendere in che modo lo “stimolo esterno” viene interpretato e vissuto. In linea generale, il termine della maturazione delle diverse aree cerebrali avviene attorno ai 25 anni con la maturazione precoce delle aree cerebrali profonde, legate a comportamenti impulsivi e di ricerca di gratificazione immediata, rispetto alla maturazione delle aree prefrontali dedite al comportamento adattivo ed al controllo degli impulsi. Associato ad un precoce sviluppo del cervello “emotivo” si assiste durante l’infanzia e per tutta l’adolescenza, al fenomeno del “rimaneggiamento” delle connessioni cerebrali che vengono regolate dal principio dell’ “use it or lose it”. La capacità di ricevere stimoli adeguati permette l’ “uso” del rimaneggiamento delle connessioni cerebrali, a dispetto della perdita dello stesso. Tale rimaneggiamento viene osservato come fenomeno genetico estremamente influenzato dai fattori ambientali, che possono dunque agire nello sviluppo dei ragazzi, come fattori protettivi o come fattori di rischio nell’insorgergenza di disturbi psicopatologici. L’utilizzo di differenti “meccanismi cerebrali” è dunque parte di quella difficoltà “comunicativa” che l’adulto, genitore ed insegnante, ritrova nella dinamica col giovane adolescente. Questa comunicazione avviene attraverso lo scontro di due sistemi totalmente differenti fra loro, uno appartenente al cervello adolescente, l’altro al cervello adulto.

Gli eventi citati sono portatori di stress e capaci dunque di attivare quel sistema agonistico tale da indurre una reazione di “attacco \ fuga” da parte dell’adolescente, sostenuto dall’incapacità di trovare un adulto (insegnante, operatore, familiare), capace di “decodificare” per lui e con lui, aspetti di vita complessi, offrendo loro un’ “antagonista” alla gratificazione “semplice ed immediata” (ad esempio l’uso delle droghe), con un’alternativa reale e concreta (ad esempio uno spazio di ascolto).

Cosa significa stare a scuola?

Stare a scuola comporta fare una scelta sul proprio futuro, ancor più nel passaggio dalla scuola secondaria di primo grado a quella di secondo grado. L’età in cui i ragazzi sono chiamati ad effettuare questa scelta per il loro “futuro” è all’incirca intorno ai 13 anni ed è spesso legata ad un contesto familiare, ovvero a tutte quelle risorse economiche, sociali ed educative che la famiglia offre al ragazzo per creare il suo percorso. Il contesto sociale a cui il ragazzo è chiamato ad inserirsi presenta oggi un nuovo aspetto che in passato era meno presente, ovvero una multiculturalità interna ai gruppi classe. I ragazzi vengono dunque a contatto con storie di vita, culture e religioni differenti dalle proprie in cui è richiesto un lavoro di “mediazione culturale” perché l’integrazione diventi un’esperienza arricchente degli uni con gli altri.

Dalle varie esperienze di docenti presenti, operativi in scuole del territorio romano, appaiono chiari dei bisogni specifici che la nostra scuola oggi porta con sé:

  • multidisciplinareità, che si traduce con una presenza stabile di uno psicologo scolastico negli istituti comprensivi per l’intera utenza scolastica, compresi dunque insegnanti e famiglie, unito a livello territoriale ai servizi (ASL);

  • richiesta di spazi stabili di ascolto presenti per la promozione del benessere e la prevenzione del born-out scolastico e professionale degli inseganti;

  • svecchiamento della didattica” mediante il superamento come unico strumento didattico della lezione frontale, a favore di strumenti digitali ed eventi esperenziali;

  • formazione degli insegnanti, di quegli aspetti emotivi, psicologici e relazionali che entrano in gioco nel processo di apprendimento e che possono, se opportunamente considerati, facilitare la didattica. Un docente riferisce che:

Noi sappiamo cosa dire, ma non conosciamo come dirlo. Per questo abbiamo bisogno di un supporto all’interno delle scuole e di una costante formazione su tutti quegli aspetti relazionali e psicologici!;

  • Orientamento e ri-orientamento, ovvero servizi che permettano al ragazzo di scegliere in maniera quanto più consapevole e personale il suo futuro, ma sopratutto di poter ri-orientarsi con lo stesso servizio, nel caso in cui il “primo percorso” si sia mostrato non gratificante o non rispondente alle sue reali aspirazioni e capacità.

Dal ritiro scolastico al completo abbandono della vita sociale: il fenomeno Hikikomori

La scuola non è solo luogo di apprendimento, ma lo è altrettanto per la crescita, lo sviluppo personale e dunque spazio per sperimentare la relazionalità. Benché esista un fenomeno di Hikikomori definito “primario”, dunque che nasce come scelta dell’individuo di allontarsi dalla società, rispetto ad uno “secondario” dove risulta più definito il fattore “scatenante” di questa scelta, il ministero della Salute Giapponese, dove il fenomeno nasce e ad oggi risulta ampiamente diffuso, definisce gli Hikikomori come fenomeno sociale e non come una malattia.

Il fenomeno ad oggi, ampiamente studiato anche in Italia, presenta un range di diffusione fra i 14 ed i 39 anni, con il manifestarsi dell’evento “iniziale”, o meglio dei diversi campanelli d’ “allarme” fra i 14 ed i 25 anni. Questa finestra temporale di vita non è del tutto causale se pensiamo alle diverse scelte che compiamo in quegli anni che ci proiettano, a medio ed a lungo termine, nella nostra vita da “adulti”.

Benché alla base dei comportamenti degli Hikikomori vi sia una scelta definita che è quella di ritirarsi dalla società, escludendola dalla propria vita, in realtà il processo avviene sempre in maniera graduale. I diversi “campanelli d’allarme” descrivono una traiettoria che parte da un “fenomeno sociale” e che può arrivare ad assumere i tratti di una reale “psicopatologia”.

Questa gradualità comprende:

Il mondo virtuale rappresenta un filtro relazionale di tipo emotivo che permette alla persona di sottrarsi alla pressione di realizzarsi, secondo canoni imposti e prestabiliti, nel mondo sociale. Benché ad oggi non esistano dati scientifici di una correlazione diretta fra causa ed inizio del processo graduale del fenomeno, di sicuro si riscontrano frequentemente, come idee alla base di questa “scelta” un rifiuto totale della società, di cui la scuola nella fase infanzia – adolescenza, risulta una parte molto importante. Essere vittima di bullismo, rifiutare la pressione sociale o esser “stati feriti ed umiliati” nella relazione con l’altro, sembrano essere dei dati molto frequenti che si ritrovano nella vita di questi ragazzi.

Dati presentati

A conclusione di questa importante giornata, riporto tre dati specifici che spero aprano una riflessione ed una azione imminente sulla mancanza in Italia di una legge che preveda l’inserimento dello Psicologo a Scuola come figura stabile dell’organico scolastico:

  1. il 46% degli abbandoni scolastici è attribuito a disturbi mentali quali ansia, depressione, abuso di sostanze. (…) I soggetti ad alto rischio clinico sono anche quelli che hanno il più alto rischio di abbandono scolastico;
  2. la causa principale potrebbe essere la demotivazione. Secondo M. Crepaldi, il nostro è un sistema standardizzato che tende a sopprimere le disposizioni personali (…);
  3. Spesso mi prendevano in giro e mi denigravano, favorendo il mio isolamento. Nessuno mi chiedeva mai come stessi.”

 

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