Da una recente ricerca condotta dal GDL Nazionale di Psicologia Scolastica (2018) emerge tra le maggiori difficoltà con cui gli insegnanti si confrontano, la gestione degli alunni che presentano bisogni educativi speciali o disturbi dell’apprendimento (13,6%).
Francesca Rendine
Una difficoltà scolastica, un bisogno educativo speciale non accolto o un disturbo dell’apprendimento non rilevato, comporta per il bambino lo sperimentare continui “fallimenti scolastici” che inducono un’esperienza generale di demotivazione. Un processo di apprendimento per esser definito “buono” non può dunque guardare esclusivamente al voto finale, poiché legato, oltre che a fattori cognitivi, anche a fattori emotivi e motivazionali, dipendenti tanto dal risultato della prestazione quanto dalla relazione che si instaura fra l’insegnante e gli alunni.
Cosa succede dunque a questi processi e alle variabili coinvolte, quando un alunno sperimenta difficoltà o incapacità di raggiungere un obiettivo didattico?
Apprendimento e motivazione
Sebbene l’elemento “visibile” resti il calo della prestazione e dunque un voto insufficiente, sperimentare un fallimento in maniera prolungata e ripetuta nel tempo, può portare a maturare un’idea negativa di sé in ambito scolastico.
L’esistenza di più modalità di apprendimento ed il coinvolgimento di fattori emotivo – motivazionali, ci spiegano quanto possano esser diversificate le strategie che possiamo utilizzare per apprendere. La ricerca che ha portato alla concettualizzazione del modello di Borkowsky e colleghi (1990) ci spiega l’esistenza di un legame fra strategie di apprendimento, stati personali motivazionali e conoscenza di sé. La combinazione di uno stato personale motivazionale ed il grado di conoscenza di sé generano un modo specifico di effettuare una prestazione, ovvero un percorso unico di selezione, uso e monitoraggio di una strategia. La motivazione che accompagna questo percorso fa riferimento ad una duplice dimensione: intrinseca ed estrinseca.
La prima dimensione è spiegata dal legame fra il feedback ottenuto dalla performance (sia esso positivo o negativo) ed il conseguente modellamento degli stati di motivazione, che determinano una variazione del livello di competenza nel saper riconoscere e scegliere una strategia adeguata al compito.
La seconda dimensione, ovvero quella estrinseca, colloca nei processi di apprendimento, come “antidoto” alla demotivazione scolastica, una buona relazione insegnante-alunno.
Si potrebbe dire che una relazione è buona quando si desidera arricchirsi di essa, e si è motivati a realizzarne e viverne sempre di più, e quando, attraverso di essa, si riescono a costruire livelli di sviluppo più alti e desiderabili, in noi e negli altri. (Le Guide Erickson)
La relazione insegnante-alunno con DSA
Com’è possibile costruire una buona relazione fra l’insegnate e l’alunno che presenta delle difficoltà nell’apprendimento?
- Attribuendo un valore positivo all’alunno e riconoscendone il suo valore a prescindere dal suo livello di apprendimento. E’ implicito in questo aspetto un riconoscimento della persona ancor prima del ruolo di alunno;
- Offrendo ascolto attivo e dunque prestando profonda attenzione al suo funzionamento specifico, in particolar modo in presenza di bisogni educativi speciali. Questa possibilità permette all’insegnante di non “colpevolizzare” le difficoltà relative all’apprendimento, ma di poterle osservarle in termini di bisogni specifici;
- Ponendosi in maniera proattiva, ovvero come guida che ha un piano di azione, con obiettivi specifici, pensato per e con l’alunno e che dunque porta in sé delle aspettative positive di realizzazione.
L’attribuzione di valore alla persona, la possibilità di ricevere un ascolto attivo e la proattività generano una buona relazione, in cui reciprocamente, l’alunno e l’insegnante si sentono percepiti rispettivamente nei loro bisogni e nelle loro capacità di coglierli. Poter curare gli aspetti relazionali in ambito scolastico, ci permette di costruire un fattore protettivo, per gli studenti con ogni tipo di difficoltà legata all’apprendimento ed al contempo per l’insegnante, che potrà riconoscere nella diversità dei modi di apprendere dei suoi studenti un’occasione sempre nuova di “sperimentarsi” e “sperimentare”. E’ in questa “occasione” che l’apprendimento si fa strada a dispetto della demotivazione scolastica.
Nell’azione proattiva si cerca di migliorare l’autostima dell’alunno e anche quella dell’insegnante. Se l’azione sta andando bene, l’autostima aumenta, e con essa l’autoefficacia, la motivazione intrinseca, la curiosità e gli interessi, la ricerca di nuovi obiettivi sempre più avanzati (Le Guide Erickson)