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PTSD e Bambini: la ruminazione come fattore di vulnerabilità

Un recente studio evidenzia che la ruminazione, il focalizzarsi sul trauma e sulle proprie reazioni sono fattori di vulnerabilità per il PTSD nei bambini.

Di Erica Benedetto

Pubblicato il 12 Apr. 2019

Aggiornato il 08 Mag. 2019 09:54

Alcuni bambini riescono più facilmente di altri a riprendersi dopo un evento traumatico, mentre altri sviluppano un Disturbo da Stress Post Traumatico (PTSD) che potrebbe durare mesi, anni o addirittura accompagnarli fino all’età adulta. 

 

Una recente ricerca della University of East Anglia ha messo in evidenza come la possibilità che un bambino sviluppi o meno un Disturbo da Stress Post Traumatico (PTSD) a seguito di un evento traumatico possa dipendere dal modo in cui il bambino pensa e giudica la sua reazione all’evento traumatico. In altre parole, sembra che ci siano maggiori rischi di sviluppare un PTSD nel momento in cui si pensa di avere difficoltà nel processare il trauma e si percepiscono i sintomi come segno di qualcosa di assolutamente sbagliato.

I sintomi tipici del PTSD possono rappresentare una reazione comune al trauma nei bambini e negli adolescenti: memorie intrusive, incubi e flashbacks. Proprio perché considerati come una reazione normale al trauma, i professionisti della salute mentale non forniscono una diagnosi di PTSD se tali sintomi perdurano nel primo mese dopo il trauma.

I ricercatori della University of East Anglia hanno dunque voluto indagare perché, in alcuni bambini, i sintomi conseguenti ad un trauma svaniscono anche senza trattamento mentre altri bambini continuano a sperimentare problemi persistenti.

Lo studio

Il campione dello studio era composto da 200 bambini di età compresa tra gli 8 e i 17 anni, ognuno dei quali aveva vissuto un’esperienza in pronto soccorso a seguito di un incidente traumatico (incidenti stradali, aggressioni, attacchi da parte di cani e altre emergenze mediche).

I soggetti dello studio sono stati intervistati e valutati per il PTSD in due tempi: tra le due e quattro settimane in seguito al trauma e, ancora, dopo due mesi. Il team di ricerca ha suddiviso le reazioni dei bambini in tre gruppi: un gruppo “resiliente” che non ha sviluppato sintomi traumatici clinicamente significativi in entrambi i momenti di misurazione; un gruppo “recovery” che ha mostrato i sintomi inizialmente, ma che al follow up due mesi dopo non erano più presenti; un gruppo “persistente” caratterizzato da sintomi di PTSD in entrambi i tempi della ricerca. Il team ha anche esaminato la presenza di un supporto sociale per valutare se aver discusso il trauma con amici e parenti potesse essere stato un fattore protettivo contro i problemi persistenti dopo i due mesi. Inoltre, i ricercatori hanno tenuto conto di altri fattori quali gli eventi di vita stressanti e se il bambino stesse provando dolore in quel momento.

I risultati dello studio hanno dimostrato che i sintomi di PTSD sono abbastanza comuni nelle prime fasi, tra due e quattro settimane, dopo un trauma. Queste prime reazioni sono indotte da alti livelli di paura e confusione vissuti durante il trauma. Nonostante ciò, la maggioranza dei bambini e degli adolescenti sembra superare in maniera naturale questi vissuti senza alcun intervento.

È molto interessante notare come la gravità dei danni fisici non abbia predetto il PTSD, come neanche gli eventi di vita stressanti, la quantità del supporto sociale su cui contare o l’auto-colpevolizzazione. Al contrario, ciò che è emerso è che, i soggetti che hanno mantenuto i sintomi del PTSD fino ai due mesi a seguito del trauma, sono stati quelli più inclini a pensare in maniera negativa al trauma e alle loro reazioni ad esso. La ruminazione è risultata essere determinante: essi, infatti, percepivano i sintomi come se ci fosse qualcosa di serio, permanente e sbagliato in loro, erano meno fiduciosi verso le altre persone e pensavano di non essere in grado di reagire.

Nel caso di molti soggetti dello studio, i tentativi deliberati di processare il trauma (per esempio: provare a rifletterci o parlarne con amici e famiglia) erano in realtà associati ad un peggior decorso del PTSD. Infatti, i bambini che hanno mantenuto i sintomi sono proprio quelli che hanno riportato di aver trascorso molto tempo nel ricercare un senso al loro trauma. Mentre per alcuni il cercare di dare un senso al trauma può essere funzionale, sembra che per alcuni bambini vi sia il rischio di rimanere bloccati in un processo ruminativo.

In conclusione

Il presente studio evidenzia come la ruminazione, il focalizzarsi sul trauma e il prestare attenzione alle proprie reazioni e ai propri sintomi siano fattori di vulnerabilità per il PTSD.

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