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Quando si dice “stare in un bell’ambiente”: la nuova promessa delle Neuroscienze

Le neuroscienze ambientali uniscono psicologia ambientale, sociale, cognitiva, neurobiologia e neuroscienze nel tentativo di spiegare il comportamento umano

Di Enrica Gaetano

Pubblicato il 08 Apr. 2019

Le neuroscienze ambientali aspirano a costruire più recenti e comprensivi modelli teorici in grado di descrivere le relazioni tra fattori ambientali e aspetti psicologici cognitivi (memoria, attenzione, funzioni esecutive), con dati provenienti da neuroimaging, dall’epigenetica, dalle neuroscienze molecolari-cellulari e dai sistemi genetici.

 

Gli ambienti fisici e i contesti sociali nei quali siamo immersi hanno un profondo impatto sul nostro cervello e di conseguenza sul nostro comportamento.

Il recente commento, pubblicato su Nature Human Behaviour, di Berman, Kardan, Nusbaum e colleghi del dipartimento di Psicologia dell’Università di Chicago e del Grossman Institute for Neuroscience, Quantitative Biology and Human Behavior di Chicago, offre una particolareggiata panoramica dei promettenti e moderni tentativi offerti dalle neuroscienze ambientali nella combinazione di neurobiologia, psicologia, comportamento e ambiente.

Ambiente e cervello: una relazione bidirezionale

Una quantità sempre maggiore di conoscenze ed evidenze si stanno accumulando e integrando tra loro nell’ampio territorio riguardante la relazione bidirezionale tra ambiente e cervello: come il primo interagisce con il secondo, come quest’interazione è in grado di influenzare il nostro comportamento e come i contesti sociali e fisici possono pertanto essere manipolati al fine di modificare gli stati psicofisiologici?

A tal proposito, alcuni esempi possono essere ritrovati nel lavoro di Kempermann (2019) che sottolinea l’importanza delle ricerche attualmente presenti all’interno del panorama internazionale sui benefici a livello di neurogenesi e plasticità cerebrale negli animali e negli esseri umani, che hanno avuto modo di crescere ed essere stimolati dai cosiddetti “ambienti arricchiti” rispetto ad altri allevati in ambienti standard. O ancora, nello studio di Berman, Jonides e Kaplan (2008) sull’associazione tra l’esperienza di un ambiente fisico naturale, all’aria aperta, anziché urbano, e un miglioramento nelle funzioni cognitive quali memoria e attenzione in un gruppo di studenti.

Da qui l’idea che alcuni specifici fattori ambientali come la qualità dell’aria che si respira, l’inquinamento luminoso, acustico e atmosferico, siano in grado di provocare a diversi livelli dei cambiamenti da un punto di vista quantitativo e qualitativo (Berman, Kardan, Nusbaum et al., 2019).

Le neuroscienze ambientali

La specificazione di quali siano gli effetti e i diversi livelli sui quali agisce l’interazione tra ambiente e comportamento è data dalla nuova e promettente branca delle neuroscienze ambientali che nasce dal tentativo di combinare insieme evidenze prodotte dalla psicologia ambientale, sociale e cognitiva, la neurobiologia e le neuroscienze comportamentali con il fine di comprendere, influenzare e predire il comportamento umano.

Partendo dal modello proposto da Lewin intorno agli anni 30’ del 900’ per il quale il comportamento altro non è che funzione della genetica, della neurobiologia, della psicologia e dell’ambiente (Lewin, 1936), le neuroscienze ambientali aspirerebbero a costruire più recenti e comprensivi modelli teorici in grado di descrivere le relazioni e connettere tra loro fattori ambientali sia interni che esterni con aspetti psicologici cognitivi (memoria, attenzione, funzioni esecutive), dati provenienti da neuroimaging sia funzionale che strutturale, dall’epigenetica, dalle neuroscienze molecolari-cellulari e i sistemi genetici per delineare, testare e manipolare i diversi aspetti degli ambienti esterni, fisici e sociali agendo in questo modo sul comportamento e viceversa (Berman, Kardan, Nusbaum et al., 2019).

Gli aspetti legati all’ambiente fisico esterno presi in considerazione non si limitano soltanto alla qualità e quantità di spazi verdi, grado di sviluppo urbano, inquinamento acustico, luminoso e atmosferico nei quali ci troviamo a vivere ma si estendono anche agli elementi architettonici e percettivi che influiscono sulla psicologia umana quali colori, forme, conformazione e organizzazione degli spazi urbani.

Il primo obiettivo che le neuroscienze ambientali si propongono riguarda il mettere in prima linea la ricerca sulla psicologia ambientale con l’epigenetica e i sistemi genetici in una modalità che sia concettualmente ed empiricamente più robusta colmando così il divario attualmente presente tra i due campi e specificando in secondo luogo, in modo più deterministico-meccanicista, gli effetti dell’ambiente sul comportamento e viceversa, dato che meccanismi epigenetici sono in grado di evidenziare in che modo le esperienze ambientali, soprattutto se precoci, influenzano in modo persistente i network cerebrali, le funzioni psicologiche e il comportamento (Essex, Boyce, Hertzman et al., 2013). Può l’esperienza e la percezione prolungati in un ambiente organizzato prevalentemente e visivamente in linee curve o dritte influenzare le proprie abilità di auto-controllo e quali potrebbero essere i mediatori di questa interazione (Kotabe, Kardan et al., 2016)? Può un ambiente disorganizzato a livello percettivo produrre un affaticamento cognitivo?

Queste sono solo alcuni esempi di domande alle quale Zenon e colleghi (2019) hanno provato recentemente a rispondere tramite l’utilizzo di una metodologia innovativa di tipo bayesiano, che equipara i costi cognitivi al costo delle risorse che sono necessarie per convertire stimoli esterni in rappresentazioni mentali e utilizzare queste stesse per selezionare e implementare un’azione.

Secondo questo modello, che funge da esemplificazione di questo innovativo modo di collegare differenti livelli di analisi, questi “costi” sono sostenuti quando c’è una grande divergenza tra una credenza iniziale o precedente rispetto ad una più aggiornata o probabile a seguito di un input ambientale: in un ambiente urbano, potrebbero infatti esserci delle stimolazioni inaspettate con oggetti che si muovono rapidamente come delle autovetture o persone frenetiche che possono produrre una grande divergenza tra la credenza iniziale della persona e la nuova rappresentazione interna ma aggiornata dell’ambiente circostante e questa nuova riformulazione ovviamente ha un “costo”.

I dati che si stanno ottenendo in maniera promettente dalle neuroscienze ambientali, a parere di Berman, Kardan, Nusbaum e colleghi (2019) potrebbero essere sfruttati per comprendere come potenziare e perfezionare su larga scala il funzionamento e le capacità cognitive degli esseri umani a partire dall’ambiente e dalla sua organizzazione percettiva, architettonica e sociale partendo da teorie diverse unificate sotto un unico modello, anche se è bene riconoscere che per il momento è alquanto complicato realizzare un ambiente che sia “universalmente” buono per tutti date le differenze suscettibilità e caratteristiche degli individui.

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