Pubblichiamo con piacere l’interessante articolo di Federico Frosoni sul Sé e la Psicologia Transpersonale. Aggiungiamo qui un’avvertenza sullo statuto empirico degli aspetti più audacemente spirituali di questo lavoro. Sebbene questi aspetti non possano -e nemmeno vogliano- aspirare a una conferma empirica di tipo tradizionale, essi sono basati su una tradizione speculativa rigorosa entro i suoi criteri sicuramente non riducibili alla scienza empirica ma -a nostro parere- stimolanti anche per noi (Giovanni Maria Ruggiero).
Gli strumenti operativi della psicologia transpersonale sono le cosiddette “tecnologie del sacro”, ovvero modalità di cura che trascendono i confini della mente razionale e lavorano sugli stati di coscienza. Questi strumenti contengono un vero e proprio calderone di prassi che include: il viaggio sciamanico, canti, danze, visioni e intuizioni, ipnosi, ripetizioni verbali, sogni per modificare lo stato di coscienza.
Storicamente la psicologia transpersonale (definita quarta forza), nasce alla fine degli anni ‘60. La psicologia umanistica rispetto alla psicoanalisi e al comportamentismo, si proponeva di sviluppare un modello più completo di psiche, comprendente non solo le dinamiche di una mente malata, ma anche quelle di una mente sana. In tal modo, aveva esaminato i processi di sviluppo delle potenzialità umane, di creatività e di autorealizzazione dell’io. La psicologia transpersonale si propone invece di studiare i processi che portano oltre l’io.
Tra i suoi maggiori rappresentanti annoveriamo: Abraham Maslow, Charles Tart, Ken Wilber, Stanisalv Grof, Michael Washburn e, tra i suoi precursori, spiccano soprattutto William James, Carl Gustav Jung, Roberto Assagioli. Da questi autori emerge l’idea che, al di là di ciò che vediamo come realtà immanente, esiste anche una dimensione più vasta della coscienza, che va oltre i confini dell’io psicologico come lo conosciamo normalmente.
Non a caso lo studioso Ken Wilber, una figura di spicco della psicologia transpersonale, parla di “spettro della coscienza” (Wilber,1993). Secondo Wilber esiste una sola, unica ed indivisa coscienza alla base di tutto ciò che si manifesta, ed ogni aspetto dell’universo, quindi, non è altro che un aspetto della coscienza unica.
A questa coscienza unica possiamo dare molti nomi: dio, assoluto, brahman, vuoto, ātman, energia cosmica ma nessun nome è in grado di poterla davvero definire. La coscienza unica, immergendosi nello spazio e nel tempo, apparentemente si suddivide e si frammenta in tanti io che si credono separati, dando origine così alla molteplicità delle forme che riempiono l’Universo. Questa frammentazione è solo apparente e funzionale, perché l’assoluto resta comunque indiviso: solo la sua manifestazione sembra molteplice. Si creano “due mondi a partire da uno” (Wilber,1977)
Il termine transpersonale quindi significa propriamente “tutto ciò che va al di là della persona” e transculturale significa “tutto ciò che va al di là della propria cultura”.
Ho preso in considerazione anche il termine transculturale proprio perché un limite, o meglio, un ostacolo all’applicazione della psicologia transpersonale, è sicuramente la chiusura e limitatezza della propria cultura d’origine, che va assolutamente trascesa in questo approccio.
Obiettivi e strumenti della psicologia transpersonale
Gli strumenti operativi della psicologia transpersonale sono le cosiddette “tecnologie del sacro”, ovvero modalità di cura che trascendono i confini della mente razionale e lavorano sugli stati di coscienza. Questi strumenti contengono un vero e proprio calderone di prassi che include: il viaggio sciamanico, canti, danze, visioni e intuizioni, ipnosi, ripetizioni verbali, sogni per modificare lo stato di coscienza.
Il vero processo transpersonale consiste quindi, con l’aiuto delle tecniche prima descritte, nell’esplorazione del mondo interiore di sensazioni, emozioni, percezioni che conducono, senza alcun significato apparente, verso l’indagine, verso il graduale affrancamento della propria storia individuale e verso la dimensione transpersonale come luogo reale che racchiude le capacità spirituali dell’uomo.
Sviluppare una maggiore sensibilità e consapevolezza di sé, sono obbiettivi fondamentali nel lavoro transpersonale. La trascendenza dell’ego è uno sviluppo evolutivo naturale della psiche in cui, contattando liberamente bisogni irrisolti, traumi, desideri rimossi e paure che si sono direttamente legate alla struttura caratteriale, diventa possibile aprirsi ad una dimensione che trascende l’io separato. Molti psicoterapeuti transpersonali dicono che si deve realizzare il nostro sé superiore, trovare la parte più autentica e profonda dentro di noi.
Realizzare il sé significa comprendere che il tuo vero sé non è l’ego, ma dio cioè la coscienza, il vasto oceano dello spirito che ha manifestato per qualche tempo la piccola onda di consapevolezza che ora consideri te stesso (Yogananda, 2009).
Possiamo dunque affermare che la psicologia transpersonale è lo studio e l’applicazione di quelle esperienze che sembrano portarci oltre il nostro ordinario materiale psichico, verso uno stato ‘trascendente’, della coscienza.
Psicologia transpersonale: la coscienza umana e il sé transpersonale
Come dicevamo, fin dalla sua nascita, la psicologia transpersonale è ricorsa sempre alle antiche tradizioni spirituali per trarne uno stimolo ed un’indicazione operativa. Per giovane che sia, possiamo comunque indicare alcuni importanti punti al suo interno che aiutano a comprendere la coscienza umana. Nel regno dell’esperienza umana possiamo infatti dire che è possibile per gli umani sperimentare un grande allargamento ed espansione della coscienza che fa apparire la coscienza ordinaria, per comparazione, una manifestazione molto ristretta e limitata della più grande totalità del sé. Uno dei momenti più frequenti in cui questa espansione avviene spontaneamente e senza l’induzione artificiale è nelle famose esperienze di premorte chiamate N.D.E (near dead experience).
Anche il padre della psicosintesi e uno dei fondatori della psicologia transpersonale affermava:
In realtà noi non abbiamo un sé è un sé che ha noi (Assagioli,1971).
Il sé viene chiaramente inteso come “realtà ontologica” come il motore immobile aristotelico ovvero come un qualcosa che è e che non diviene.
Assagioli insisteva molto sul “proclamare e celebrare il sé ed aprirsi al suo mistero” ed insisteva molto su come il lavoro psicosintetico transpersonale fosse un processo che dura tutta la vita e non un singolo momento esperienziale indotto da tecniche. Per Assagioli in ognuno di noi esiste una parte saggia, pura, buona che lui chiama “sé transpersonale”. Una volta risvegliato questo sé transpersonale, o meglio aver compreso di essere un sé transpersonale, attraverso le tecniche e i metodi della psicosintesi da lui creata, l’individuo inizia un progressivo lavoro di armonizzazione della personalità, del corpo-mente e delle relazioni grazie appunto all’elevazione ed espansione della coscienza (Assagioli,1971). Difatti la psicologia transpersonale non è un aut aut, ma un trascendere ed includere, ovvero non si combatte, non si giudica e non si nega un sintomo di disagio, ma impariamo attraverso gli strumenti metodologici a trascenderlo ed includerlo all’interno del sé (Lattuada,2004).
Affrontare le crisi transpersonali: tra religione, spiritualità e psicologia
Non si deve commettere l’errore secondo cui lo sviluppo transpersonale porta a una gioia e a un benessere assoluti, una condizione di beatitudine. Infatti, in realtà, il processo di sviluppo transpersonale, come qualunque altro sviluppo, ha grandi difficoltà da superare, che possono emergere in qualunque stadio del percorso.
Oggi queste difficoltà alcune volte necessitano di un intervento di carattere clinico. Nell’antichità invece le crisi transpersonali erano trattate all’interno di un contesto religioso. Ma sempre oggi le pratiche contemplative e le discipline esoteriche sono alla portata del grande pubblico. Quindi attualmente gli psicologi e gli psichiatri occidentali studiano e trattano numerosi casi di crisi transpersonali, interpretandoli in chiave psicologica più che spirituale e questa metodologia comporta molti rischi ma anche alcuni benefici: il rischio maggiore è che la maggior parte degli psicologi e psichiatri occidentali ha scarse conoscenze riguardo alle pratiche e alle crisi transpersonali. Molti di essi sono ad indirizzo materialista e nella migliore delle ipotesi negano il valore dell’esperienza transpersonale o addirittura la attribuiscono a gravi patologie.
Dal punto di vista della diagnosi ci sono due pericoli principali che Ken Wilber chiama “equivoco pre/trans”: il pericolo del riduzionismo, quindi il mancato riconoscimento della natura transpersonale di una crisi che viene vista come esclusivamente patologica, e l’elevazionismo, ovvero confondere una grave patologia, come ad esempio, la schizofrenia con un processo transpersonale.
Purtroppo non è sempre facile distinguere bene tra regressioni pre-personali e progressioni transpersonali. Solo da poco tempo si sono delineate alcune linee guida, e inoltre esistono numerose forme ibride in cui coesistono elementi sia patologicici sia transpersonali (Walsh & Vaughan, 2012).
Errori diagnostici e conseguentemente terapeutici, possono portare a grandi problemi che spesso culminano nel processo di trascendimento dell’io nella soppressione di sintomi attraverso psicofarmaci che non fanno altro che aumentare i problemi. La scelta operativa ideale sarebbe una saggia integrazione dell’antica saggezza contemplativa e delle attuali scoperte cliniche e scientifiche.
In genere le esperienze problematiche transpersonali si dividono in 3 tipologie di manifestazione:
- Le esperienze transpersonali emergono insieme ad una grave condizione di patologia, ad esempio durante una psicosi o un delirio. La spiegazione di questo fenomeno è riscontrabile nella possibilità che quando le normali funzioni cognitive si disintegrano, la psiche può venire inondata da tanti elementi trascendenti o patologici provenienti dai vari stati dell’inconscio. Questo stato viene definito “disturbi psicotici con elementi mistici”.
- Le esperienze transpersonali emergono come conseguenza di una semplice patologia passeggera, alla quale segue una crisi evolutiva che diviene fonte di sviluppo positivo: un disturbo psicologico temporaneo è seguito da una risoluzione e guarigione che condurranno ad un livello più elevato di funzionamento rispetto a quello precedente alla crisi. Il disturbo è un’occasione di crescita. Queste crisi hanno nel tempo avuto diversi nomi: disintegrazioni positive, malattie creative, processi rigenerativi, rinnovamenti. Se queste crisi poi si associano ad elementi transpersonali, vengono definite come, nello sciamanesimo,“malattie divine”,“nascite spirituali”,“crisi transpersonali”.
Se queste crisi sono affrontate con successo, il caos disorganizzato può divenire strumento per abbandonare vecchi stili di vita limitanti. Vecchie credenze, obbiettivi e stili identitari possono essere riformulati. Quindi la sofferenza psicologica può essere vista come transizione evolutiva e di crescita. L’esito dipende molto da una diagnosi e cura corrette.
Questo chiaramente non significa che tutti i disturbi psicologici siano crisi evolutive o che tutte le crisi evolutive possano portare maggiore crescita e benessere, anzi, per alcuni individui non predisposti possono essere fonte di grossi danni. La psicologia transpersonale deve cercare di individuare le pratiche inadatte agli individui che sono a rischio di crisi evolutive. Queste crisi infatti possono essere innescate dallo stress o indotte da specifiche pratiche psicologiche o spirituali. In alcuni casi si presentano addirittura in maniera spontanea senza che l’individuo ne abbia controllo. Secondo i maggiori esponenti della psicologia transpersonale prima citati, queste crisi o forze evolutive che colpiscono l’individuo sono spinte verso l’individuazione, la realizzazione di sé, la trascendenza di sé. Si possono vedere come una tensione dinamica tra le forze della crescita e l’inerzia della routine. La psiche pare non tollerare la situazione di ristagno che si crea nella routine quotidiana e induce una crisi per forzare lo sviluppo.
Le crisi psicologiche però, se da una parte possono attivare il percorso transpersonale, dall’altro possono complicarlo. Possono infatti emergere precedenti problemi psicologici irrisolti e difficoltà di carattere interpersonale. Questi problemi ed ostacoli psicologici possono manifestarsi in qualunque stadio del cammino, quando le difese si allentano ed emerge materiale dall’inconscio. Ken Wilber a tale proposito elabora delle mappe transculturali dello sviluppo e delle loro terapie appropriate, attingendo dalle tradizioni contemplative (Wilber, 1993). - Le esperienze transpersonali possono generare problemi in contesti di difficoltà interpersonali. Iniziare una pratica spirituale, magari in un contesto comunitario, può portare a problematiche sia con la propria famiglia e sia con i membri della comunità stessa. I leader o guru delle comunità spirituali, a loro volta, possono essere estremamente esigenti anche in modo patologico e questo può creare grandi difficoltà. Anche l’assenza di esperienze transpersonali nel lungo termine può creare problemi. Questo avviene di solito perché la persona le ignora o perché volontariamente le reprime. Maslow dichiara che la mancanza di esperienze transpersonali è la causa della patologia sociale contemporanea (che lui chiama “meta-patologia” derivante appunto dalla mancata soddisfazione di meta-bisogni e delle meta-aspirazioni). Questo induce appunto una serie infinita di disturbi psicologici e sociali, dalle crisi di mezza età, alle crisi globali indotte dal consumismo odierno (Maslow,1968). Il risalto che negli ultimi anni si è dato all’origine biologica di molti disturbi, concentrandosi solo su aspetti fisiologici (ad esempio nelle varie forme di dipendenza) viene interpretato da come una gratificazione sostitutiva delle esperienze transpersonali che l’individuo non è riuscito a vivere.
L’esperienza transpersonale, possiamo quindi dire, è in definitiva quella condizione nella quale il sé comincia ad aggregarsi intorno ad un centro di coscienza superiore e a superare i conflitti connessi con la mente duale, aprendosi ad una visione unitiva e disidentificata da interessi esclusivamente personali (Lattuada, 2004).
Gli assunti fondamentali della psicoterapia transpersonale
Cerchiamo di capire quali sono gli assunti fondamentali della psicoterapia transpersonale, usando la sintesi elaborata da Frances Walsh e Roger Vaughan:
- La necessità di guarigione e di crescita a tutti i livelli dello spettro di identità. Dobbiamo risolvere e superare la nostra identità egoico-mentale quella che genera immagini e rappresentazioni del sé illusorie perché frutto di identificazioni errate, di sub-personalità, di meccanismi di adattamento e di difesa. Il compito della psicologia transpersonale dovrebbe essere proprio quello di facilitare lo sviluppo di un’identità egoica stabile e coesa se questò è ciò che serve al paziente, sviluppare una migliore percezione di se stessi cercando di integrare anche gli aspetti ombra.
- La consapevolezza spirituale deve essere centrale nel processo di terapia. Considerare una terapia transpersonale significa lavorare alla realizzazione del sé, il centro profondo dell’essere. Il terapeuta transpersonale non deve vedere i pazienti da una prospettiva egoica e quindi considerarli separati da sé ma deve, in maniera transpersonale, considerarli come parte integrante di un tutto tra esseri umani e altre creature viventi. Il paziente deve essere visto come un’espressione individualizzata di un sé universale che tutti condividiamo. Tanto più la visione sarà ampia da parte del terapeuta tanto più il cliente viene aiutato ad abbandonare le idee limitanti che egli ha su di se e sul mondo e ad espandere il senso della sua identità. Una vera consapevolezza curativa.
- L’importanza di un risveglio nel paziente, da un’identità inferiore ad una superiore, attraverso la natura terapeutica della consapevolezza e dell’intuizione, e il potenziale trasformativo del rapporto terapeutico non solo per il paziente ma per il terapeuta stesso. Nella psicoterapia transpersonale la guarigione comporta l’emersione di un’identità più grande che viene alla luce quando abbandoniamo le vecchie idee su noi stessi e sul mondo. Abbandonando l’identificazione con la struttura limitata egoica entriamo più in profondità nell’identità esistenziale, trascendendo ciò che pensavamo di essere ci avviciniamo a ciò che siamo realmente, finché non ritroviamo quel sé che non abbiamo mai lasciato. Durante la terapia e nel processo di risveglio, il paziente abbandona gradualmente le resistenze e le difese dell’identità inferiore, entrerà probabilmente nella notte oscura, ovvero nella crisi di risveglio, diventa acutamente consapevole che il suo vecchio stile di vita ha poco da offrire in termini di vitalità e creatività. Il terapeuta transpersonale deve accompagnarlo durante questa crisi e poi fare da “levatrice” alla nuova nascita.
- La psicoterapia transpersonale facilita il processo di risveglio sviluppando la consapevolezza e l’intuizione. Secondo la filosofia perenne, la verità è dentro di noi e la salvezza deriva dall’espansione della consapevolezza interiore. Si deve imparare a rivolgere l’attenzione all’interno del nostro nucleo interiore e diventare pienamente consapevoli delle proprie dimensioni, sviluppare la propria saggezza interiore liberandosi dal dominio della mente giudicante e spostare l’attenzione dall’esterno all’interno.
- La psicoterapia transpersonale offre nel rapporto terapeutico uno strumento di risveglio sia per il paziente che per il terapeuta stesso. A differenza degli altri approcci classici la psicologia transpersonale offre al terapeuta l’opportunità per guarire le sue ferite e realizzare più pienamente la sua autenticità. Il terapeuta transpersonale ha l’opportunità, durante il processo terapeutico, di realizzare più pienamente la sua autenticità nel trascendere l’io separato. Possiamo dunque affermare che la psicologia transpersonale prima e il suo modello terapeutico dopo, cioè la psicoterapia transpersonale, siano strumenti che vanno a cogliere la profondità della radice di un disagio, cercando soprattutto di non reprimerlo ma di lasciarlo manifestare, accompagnandolo e quindi di non etichettarlo come un disturbo ma solo come una fase evolutiva del flusso di coscienza.