L’Organizzazione Mondiale della Sanità classifica il disturbo bipolare come il 12° più disabilitante della salute mondiale. Infatti, i soggetti con disturbo bipolare (soprattutto le donne), presentano un peggioramento della loro qualità della vita (De la Cruz, Goodrich, Lai, & Kilbourne, 2013).
Questo quadro psicopatologico rappresenta una delle condizioni di salute più costose (infatti i costi nel 2009 si aggiravano intorno 151 miliardi di dollari, che comprendevano l’impatto dei costi indiretti di morbilità e mortalità precoce) (Dilsaver, 2011).
Il rischio di mortalità per suicidio è elevato; i tentativi di suicidio si aggirerebbero intorno al 25-50% e il rischio per le persone affette da disturbo bipolare è 15 volte maggiore in questo caso rispetto ad altri disturbi (De la Cruz, Goodrich, Lai, & Kilbourne, 2013), circa l’11-19 % si toglie la vita (Abreu, Baca-Garcia, Lafer, & al., 2009; Goodwin & Jamison, 2007; Etain, Parmentier, Yon, & al., 2012).
Il rischio potrebbe essere maggiore soprattutto all’inizio del disturbo e quando esistono delle comoribilità associate (De la Cruz, Goodrich, Lai, & Kilbourne, 2013). I fattori di rischio per suicidio includono una predominante presenza di depressione, abuso di alcol e sostanze o disturbi da dipendenza, essere giovani e maschi, recente inizio della malattia, ansia significativa, impulsività, storia familiare di suicidio, isolamento sociale ed eventi di vita stressanti (De la Cruz, Goodrich, Lai, & Kilbourne, 2013).
Alcuni studi hanno dimostrato che il litio riduce a lungo termine il rischio di suicidio (Angst, Angst, Gerber-Werder, & Gamma, 2005), proprio per questa ragione sembrerebbe opportuno incrementare la compliance farmacologica ed in questo caso anche la componente psicoeducativa potrebbe giocare un ruolo determinante (Halgin e Whitbourne, 2000; Damour e Hansell, 2007).
Disturbo bipolare: i tentativi di suicidio e gli interventi della psicologia positiva
Le cause del suicidio nel disturbo bipolare sono dovute a differenti ragioni, che principalmente riguardano sia la presenza di distress sia l’assenza di benessere; facendo riferimento a questi due fattori si può intervenire su due linee (Johnson & Wood, 2016).
In primo luogo, il suicidio risulta essere dovuto ad una completa assenza di benessere, quindi risulterebbe importante raccogliere informazioni o segnali circa le intenzioni suicidarie del soggetto, aspetti che sono difficili da individuare (Johnson & Wood, 2016).
In secondo luogo, applicando i concetti di psicologia positiva si ha un modo differente per comprendere il suicidio e si hanno a disposizione delle strategie per intervenire (Johnson & Wood, 2016).
Secondo gli approcci tradizionali, i soggetti potrebbero tentare il suicidio in seguito ad eventi indesiderati e l’obiettivo della terapia è quello di minimizzare, ridurre o eliminare l’impatto di queste esperienze (Johnson & Wood, 2016).
Oltre agli eventi indesiderati, secondo diversi studi la presenza di eccessivi propositi nella vita è uno dei fattori che potrebbe incrementare il rischio che il soggetto metta in atto dei tentativi di suicidio (Heisell & Flett, 2004).
Quando i soggetti non riescono a conseguire gli obiettivi irrealistici, il quadro patologico potrebbe peggiorare, infatti i soggetti possono mettere in atto dei tentativi di suicidio, perché a causa della loro inflessibilità cognitiva (Ruini, 2017), credono che il benessere possa essere raggiunto o possa dipendere dal conseguimento dell’obiettivo (Boddana, MacLeod, & Vincent, 2004).
La conseguente disperazione, provocata dal mancato raggiungimento dell’obiettivo, può indurre ai soggetti a mettere in atto dei tentativi di suicidio, in quanto ritengono che togliersi la vita sia l’unico modo per evadere dalla situazione spiacevole in cui si trovano (Boddana, MacLeod, & Vincent, 2004).
Quindi, una delle possibili cause che spinge i soggetti al suicidio ed ai comportamenti parasuicidari riguarda la presenza di obiettivi irrealizzabili (Hamilton, 2016; Boddana, MacLeod, & Vincent, 2004).
Tra gli interventi di psicologia positiva, volti a ridurre il rischio di suicidio che possono essere applicati nei pazienti con disturbo bipolare, si può individuare: il Goal-setting and Planning, che si concentra sulla riduzione del rischio di suicidio attraverso il miglioramento della selezione e pianificazione degli obiettivi (Coote & MacLeod, 2012).
Questa strategia a differenza dei GOALS (Fulford & Johnson, 2009), può essere applicata per prevenire e ridurre il rischio di suicidio (Coote & MacLeod, 2012).
Disturbo bipolare: Goal-setting and Planning per prevenire il suicidio
Facendo riferimento al modello del benessere psicologico della Ryff (1996) avere degli obiettivi e un senso di direzione verso di essi fa parte delle componenti che costituiscono il benessere psicologico.
Infatti, livelli adeguati di benessere motivano gli individui a raggiungere degli obiettivi (Johnson & Wood, 2016), tuttavia, un eccesso di obiettivi in caso di malattia mentale produce l’effetto opposto (Johnson, 2005b).
Per ridurre le condizioni che sono state precedentemente descritte, i soggetti hanno bisogno di sostituire gli obiettivi irraggiungibili con obiettivi più realistici (Corrigan, 2014); riducendo così il possibile rischio di suicidio e di comportamenti parasuicidari (Hamilton, 2016; Boddana, MacLeod, & Vincent, 2004).
Oltre la selezione di obiettivi più raggiungibili, anche la pianificazione per raggiungerli è un elemento su cui si può intervenire (Coote & MacLeod, 2012).
Un intervento che può far migliorare gli aspetti sopracitati, ed anche l’autocontrollo, è il Goal-setting and Planning (GAP) (Coote & MacLeod, 2012), elaborato da MacLeod, Coates e Hetherton (2008).
Quest’intervento è stato applicato a dei pazienti depressi, per ridurre le emozioni negative ed aumentare quelle positive e per migliorare la soddisfazione della loro vita (Coote & MacLeod, 2012).
Tuttavia, questo intervento non si concentra sui problemi o sui sintomi associati alla depressione, piuttosto enfatizza l’identificazione e lo spostamento verso obiettivi di vita più realistici (Coote & MacLeod, 2012); proprio per questa ragione viene anche applicato a soggetti che hanno tentato il suicidio e presentano alterazioni a livello della pianificazione per raggiungere gli obiettivi (Johnson & Wood, 2016).
Lo scopo del GAP è lo sviluppo di obiettivi positivi per migliorare il benessere (Coote & MacLeod, 2012), producendo la soluzione dei problemi e non focalizzarsi direttamente sulla riduzione di sintomi depressivi o sul distress (Ruini, 2017).
La GAP complessivamente dura circa cinque settimane ed è composta da tre parti (Coote & MacLeod, 2012).
L’individuo utilizza un manuale per lavorare da solo, infatti all’interno del manuale sono inclusi i fogli di lavoro (Coote & MacLeod, 2012).
Nella prima parte, che dura approssimativamente due settimane, si introducono i concetti di benessere, obiettivi e piani (Coote & MacLeod, 2012).
Si guida il lettore, in questa fase iniziale, a pensare ad obiettivi specifici e alla pianificazione per poterli raggiungere, attraverso l’utilizzo di fogli di lavoro che vengono forniti dal manuale (Coote & MacLeod, 2012).
Infine, si rivedono i progressi fatti e gli obiettivi raggiunti dal paziente, attraverso il contatto telefonico (Coote & MacLeod, 2012).
La seconda parte, la cui durata è di circa due settimane, si indagano gli eventuali ostacoli che si frappongono tra l’individuo e l’obiettivo e si pianifica il lavoro per la prossima fase (Coote & MacLeod, 2012).
Infine, l’ultima parte, spiega ai pazienti come mantenere i progressi ottenuti attraverso l’utilizzo delle tecniche GAP, continuando ad applicare quanto appreso (Coote & MacLeod, 2012).