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Trapianto di organi e aspetti psicologici: l’esperienza di Cristina

Trapianto d'organi: spesso sono "interventi salvavita" ma si rivelano delicatissimi dal punto di vista psicologico. La storia di Cristina.

Di Valentina Pozzesi, Martina Spelta

Pubblicato il 10 Gen. 2019

Aggiornato il 01 Lug. 2019 14:18

Il trapianto di organi è un intervento chirurgico che consiste nella sostituzione di un organo malato e quindi non più funzionante, con uno sano dello stesso tipo proveniente da un altro individuo che viene chiamato donatore. I risvolti psicologici sono rilevanti

Valentina Pozzesi e Martina Spelta – Open School PTCR Milano

 

I trapianti d’organo sono attualmente una valida pratica terapeutica per alcune patologie cardiache, grazie anche allo sviluppo di efficaci farmaci anti-rigetto da ormai più di vent’anni. Il trapianto può fornire una durata ed una qualità di vita che nessun altro trattamento è in grado di garantire al paziente cardiopatico (Comazzi, 2002).

Il trapianto di organi è però anche un intervento dagli importanti risvolti psicologici, soprattutto il trapianto di organi maggiori. I pazienti candidati al trapianto sono soggetti che giungono a questo intervento percependolo come ultima speranza di vita, dopo un lungo calvario di sofferenza. Sono malati cronici, dipendenti dalle terapie mediche, costretti spesso alla sospensione della propria attività lavorativa e profondamente limitati nello svolgimento delle normali mansioni quotidiane. La loro situazione di malattia comporta una modificazione dei ruoli e degli affetti all’interno della stessa famiglia. Il trapianto rappresenta quindi la possibilità concreta di tornare allo stato di salute, non solo fisica ma anche, e, in maniera significativa, psichica e sociale.

Attualmente, a distanza di molti anni dal primo trapianto di cuore lo squilibrio tra numero di persone in lista di attesa e gli organi disponibili, è ancora molto elevato. Nel caso del trapianto di cuore, l’importanza della disponibilità di questo organo è confermata dal dato epidemiologico per cui nel mondo occidentale le cardiopatie sono ritenute responsabili di poco meno della metà dei decessi. In Italia, di tutti i pazienti in lista d’attesa, quelli per trapianto di cuore sono il 7.8%. Il tempo medio in lista è di 2.5 anni, con una mortalità dell’8.22%. (Sistema informativo trapianti – Ministero della Salute, 2011).

Trapianto di organi: le fasi del supporto e il ruolo dello psichiatra e del psicologo

La psichiatria e la psicologia hanno un ruolo importante nell’attività di trapianto di organi; sia per quanto riguarda la valutazione dei pazienti nell’attesa dell’intervento, sia dopo il trapianto.

Il protocollo di inserimento in lista d’attesa prevede anche una valutazione psichiatrica: questa mira in prima istanza ad una valutazione complessiva delle condizioni dei candidati, in modo da escludere l’esistenza di organizzazioni psichiche potenzialmente patologiche o di esplicite condizioni di interesse psichiatrico o psicosociale che potrebbero pregiudicare la compliance del paziente nel pre e nel post trapianto. Questa serie di interventi si conclude con l’incontro con tutti i membri dell’équipe trapiantologica per la presentazione e la discussione collegiale del caso. Generalmente, vengono considerate controindicazioni assolute al trapianto di organi: attuale dipendenza/abuso di droghe e alcol, schizofrenia in fase attiva, storia di numerosi tentativi di suicidio, attuale idea suicida e demenze.

Trapianto di organi: il periodo di attesa

Gli obiettivi di una assistenza psicologica nella fase pre-trapianto sono molteplici e vanno concettualmente distinti, anche se nella pratica si combinano in vario modo seguendo le esigenze cliniche. Tutti fondati su un principio comune: una buona riabilitazione inizia prima dell’intervento chirurgico, non dopo. Sono da considerare prioritari di interventi di sostegno psicologico per aiutare i pazienti ad affrontare il trapianto, poiché le loro reazioni e le modalità di coping (cioè di far fronte agli eventi) siano orientate all’intervento in modo adattivo. Quando, dai colloqui e dall’esame psichiatrico, emergono evidenti sintomi di ansia o depressione o turbe psicopatologiche, l’assistenza si orienta verso più decisi interventi terapeutici, di ordine sia psicoterapico (a livello individuale e/o familiare) sia psicofarmacologico. Di pari importanza ci sono gli interventi che hanno lo scopo di aumentare il grado di informazione e di consapevolezza del paziente (e dei familiari) sulla realtà clinica del trapianto di organi, sulla sua portata e sul programma terapeutico successivo, e insieme di accertarne le motivazioni, sia a livello cognitivo che emotivo.

Trapianto di organi: il Periodo perioperatorio e il primo anno successivo

A livello psichico il rielaborato è quello dell’accettazione progressiva di un organo estraneo che deve diventare proprio. Quindi non si tratta solo di un trapianto somatico, ma anche emozionale, deve avvenire un riassestamento del proprio schema corporeo con l’accettazione di un organo che è sano, ma che non è il proprio e deve essere integrato nel proprio corpo.

Nei primi giorni del decorso post-operatorio, ancora in unità di terapia intensiva (UTI) il paziente si trova in una condizione di marcata regressione e fragilità per lo shock biologico e per lo stress psichico subito. In questa fase non sono scindibili interventi psicologici e interventi di assistenza medica e di nursing: dolore, problemi fisici, angosce e paure, devono tutti trovare accoglienza e contenimento in una assistenza affettuosa e rassicurante da parte dell’équipe curante (fase di maternaggio). Tuttavia la facile incidenza, come vedremo, di momenti critici di scompenso psichico in questa fase richiede una pronta disponibilità di interventi di valutazione psichiatrica e di terapia psicofarmacologica, che sono di molto agevolati da una precedente conoscenza con il paziente.

Il periodo postoperatorio è un periodo di grande ansia per il paziente, che sa essere cruciale per la problematica del rigetto. È importante in questo momento la presenza dello psichiatra/psicologo, anche se spesso si rivela una presenza silenziosa, però ricca di comunicazione, avendo la finalità di creare intorno al malato un ambiente familiare che faccia da intermedio punto d’appoggio nel passaggio da vecchio malato a nuovo oggetto non ancora guarito.

Trapianto di organi: il periodo post-operatorio

Dopo la dimissione, inizia la vera e propria riabilitazione del paziente alla vita familiare, sociale e lavorativa. L’assistenza psicologica, per i problemi psichici personali e di vita familiare e sessuale, può avvenire secondo due modalità:

a) interventi nelle situazioni di crisi, su richiesta dei medici curanti o del paziente e dei familiari. In questi casi alla valutazione psichiatrica dei sintomi e delle dinamiche della crisi può far seguito un trattamento psicofarmacologico con successivi ricontrolli, o anche la proposta di trattamenti psicoterapici brevi a livello personale o familiare; è stata documentata anche la validità dell’applicazione di terapie di gruppo per pazienti trapiantati;

b) tuttavia la crescente consapevolezza della durata e complessità dei processi di adattamento che seguono al trapianto di organi e delle difficoltà di reinserimento familiare e sociale, insieme con la necessità di capire meglio le conseguenze a lunga distanza del trapianto sulla qualità della vita dei pazienti consigliano ormai di seguire la modalità di interventi di follow-up programmato, in genere a distanza di 3-6 mesi e poi di un anno, con i seguenti.

Talvolta nella fase immediatamente successiva all’intervento in alcuni pazienti si ha quella che alcuni autori definiscono luna di miele: una sensazione transitoria di rinascita che può assumere le caratteristiche di uno stato di ipomaniacalità reattiva alla condizione di grave angoscia provata prima dell’intervento. A distanza di un anno dal trapianto di organi i dati rivelano un aumento significativo delle funzioni fisiche. In particolare l’83% dei sopravvissuti non ha alcuna limitazione funzionale, mentre il 10% dei pazienti afferma di aver bisogno di assistenza nelle attività quotidiane.

Outcome psicosociali nel trapianto cardiaco

Nel 2006 il Psychosocial Outcomes Workgroup of the Nursing and Social Sciences Council of the International Society for Heart and Lung Transplantation ha studiato la letteratura in questo campo identificando 5 grandi gruppi di outcome psicosociali di interesse in pazienti che hanno subito trapianto di cuore: funzionamento fisico, funzionamento psicologico, funzionamento comportamentale, funzionamento sociale e qualità di vita.

  • Funzionamento fisico: Sia misure oggettive sia misure soggettive hanno rivelato un miglioramento del funzionamento fisico dopo il trapianto. Ma i pazienti continuano a riportare una disfunzione significativa in alcune aree come, per esempio, l’attività sessuale. Vengono frequentemente descritti nuovi sintomi che causano sofferenza post trapianto, dovuti primariamente agli effetti collaterali dei farmaci immunosoppressori.
  • Funzionamento psicologico: I disturbi dell’umore e d’ansia, come i sintomi psicologici subclinici, sono comuni nel primo anno dopo il trapianto e si riducono l’anno successivo per poi aumentare negli ultimi 5 anni dopo il trapianto; sono più frequenti rispetto al resto della popolazione e rispetto a un campione di soggetti affetti da altre patologie croniche. Tali sintomi possono essere difficili da diagnosticare e si presentano con caratteristiche atipiche, come irritabilità, presenza di disturbi cognitivi, sentimenti di frustrazione, mal di testa, disturbi gastrointestinali, astenia, disturbi del sonno, riduzione dell’appetito e vaghi sintomi somatici. Inoltre, la depressione che porta all’ospedalizzazione risulta essere un fattore di rischio per nuove complicanze cardiache indipendentemente dalle altre comorbidità, soprattutto nella prima settimana successiva al ricovero. Poichè un umore depresso predice la QoL (quality of life), e QoL e benessere psicologico sono correlati alla morbidità e mortalità dopo trapianto, un trattamento effettivo della depressione potrebbe potenzialmente migliorare la QoL e prolungare la sopravvivenza dei pazienti sottoposti a trapianto di cuore. Il disturbo da stress post-traumatico correlato al trapianto, sebbene meno comune, è stato osservato nel 15% dei pazienti. Esiste anche una ricca letteratura in grado di documentare vari gradi di sintomi psicologici. I pazienti manifestano angoscia e sintomi subclinici aspecifici che generalmente riflettono sintomi ansiosi, depressivi e somatici.
  • Funzionamento comportamentale: la letteratura riporta ampi tassi di non aderenza al regime terapeutico; essi rimangono stabili per almeno 3 mesi e col tempo tendono ad aumentare. Questi sono inoltre fattori in grado di predire gli outcome clinici.
  • Funzionamento sociale: La maggior parte dei pazienti dopo trapianto cardiaco riporta percezioni positive delle relazioni interpersonali, del ruolo sociale e delle attività nel tempo libero. I tassi di lavoro sono molto variabili nei vari studi, andando dal 12 al 74%.
  • Qualità di vita. La qualità di vita (QoL) è sicuramente il dominio più importante tra i 5 domini psicosociali. Negli ultimi anni un numero crescente di studi si sta focalizzando sui determinanti della QoL nelle diverse fasi del trapianto cardiaco. Nel vocabolario medico, infatti, è diventato sempre più frequente l’utilizzo dell’espressione qualità di vita per definire, in modo non sempre uniforme, una serie di aspetti che vanno al di là della tradizionale valutazione clinica e oggettiva dell’intervento medico. Secondo la World Health Organization (WHO), la qualità di vita è la «percezione che gli individui hanno della loro vita, nel contesto della cultura e del sistema di valori in cui vivono e in relazione ai loro obiettivi, aspettative, standard di riferimento e interessi». I pazienti sottoposti a trapianto cardiaco riportano un’elevata qualità di vita, la quale risulta aumentata rispetto al periodo precedente il trapianto. Lo stesso vale nel lungo termine, soprattutto per quanto riguarda gli aspetti sociali, familiari ed emotivi della loro vita e meno per quanto riguarda la salute e il funzionamento fisico. A questo proposito, l’insorgenza di disturbi ansioso-depressivi potrebbe giocare un ruolo importante. È stata infatti dimostrata una correlazione tra sintomatologia depressiva e bassa percezione della QoL. Nonostante i pazienti siano soddisfatti della loro qualità di vita, il miglioramento delle capacità fisiche non porta a raggiungere i normali valori riportati da soggetti sani della stessa età.

Trapianto d’organi: l’esperienza di Cristina

Cristina è una ragazza di 32 anni, dentro di lei batte il suo terzo cuore. Cristina subisce il primo trapianto di cuore all’età di 20 anni e il secondo a 31. In questa breve intervista andremo ad approfondire insieme a lei alcuni aspetti che hanno caratterizzato il suo percorso di malattia.

Intervistatore (I): Che cosa ti ha portata al tuo primo trapianto di cuore, nel 2006?

Cristina (C): Avevo 20 anni e tre giorni dopo il mio compleanno ero a casa mia, la mattina mi sono svegliata e non respiravo più. La diagnosi è stata cardiomiopatia dilatativa fulminante. In quel momento non ho potuto neanche sperare di curarmi con le medicine, così sono stata inserita in lista di trapianto. In quel momento io non sapevo neanche cosa fosse una lista di trapianto.

I: Cosa si prova quando si viene inseriti in una lista per trapianto?

C: Si entra in una sorta di mondo parallelo, dopo il primo forte impatto ho pianto tutto il giorno. Poi ho deciso di aspettare e di accettare quello che stava accadendo, ero determinata a vincere quella sfida.

I: Quanto è durata l’attesa?

C: La mia è durata molto poco rispetto a tante altre persone, poco più di un mese. Ero la prima in lista in Italia per età e gravità.

I: Come è andato il primo intervento?

C: Molto bene, è durato pochissimo e così anche la ripresa. Quindici giorni dopo ero fuori a mangiare la pizza con i miei genitori, nonostante fossi gravissima prima del trapianto.

I: Come è stata la tua vita dopo il primo trapianto?

C: Ho fatto tutto quello che volevo fare, è stato meraviglioso. Non è stato sicuramente semplice, ho fatto molti sacrifici. Ho frequentato l’università, il Politecnico a Milano, mi sono laureata in triennale, sono partita per l’exchange e ho trascorso un semestre a Singapore, è stato bello perché mi sono sentita una persona come le altre, con la possibilità di partire da sola. Sono riuscita a realizzare il sogno di scalare il Monte Rosa. Poi mi sono laureata in specialistica, ho fatto l’assistente al politecnico, ho iniziato a lavorare.

I: L’equipe ospedaliera che ti seguiva come affrontava questa tua voglia di realizzare i tuoi sogni?

C: I miei medici mi hanno sempre supportata, anche se non sempre sono stati d’accordo con i miei desideri e le mie decisioni. Sono stati molto importanti per me e il fatto che loro credessero in me e nella mia motivazione a vivere a fondo ogni momento mi è stato d’aiuto.

I: Sembrava tutto a posto, poi cosa è successo?

C: Nel 2015 inizio ad avere i primi sintomi, ricomincio a sentire quella fatica, quel dolore. Ho impiegato quasi tre mesi ad ammettere a me stessa che non stavo bene. Dopo i controlli la diagnosi era riferita ancora una volta ad un problema cardiaco. Questa volta era subentrato il rigetto cronico per il quale attualmente non esiste una cura farmacologica efficace al 100%. Ho iniziato una serie di trattamenti molto invasivi. Anche psicologicamente è stato difficile ritornate ad essere, 10 anni dopo, di nuovo cardiopatica. Inoltre all’inizio nessuna delle cure fatte aveva un effetto che desse speranze; dopo più di un anno di speranze infrante sono stata molto male, mi hanno ricoverata e insieme abbiamo deciso che sarei tornata in lista di trapianto per la seconda volta.

I: Come hai vissuto questa nuova diagnosi?

C: All’inizio l’ho vissuto come un tradimento, come se il mio nuovo cuore mi avesse tradita. Successivamente mi sono sentita più serena rispetto alla prima volta, forse perché il dolore fisico era meno intenso, avevo già affrontato problemi simili in precedenza e davvero questa volta vedevo la possibilità di ricevere un cuore come una rinascita. A differenza di altre malattie e interventi, secondo me, il trapianto di cuore ha una magia che è quella di dare di nuovo la vita, la possibilità di ripartire.

I: Quando sei stata ricoverata cosa hai vissuto?

C: Ammetto di essermi chiesta perché è successo proprio a me, ma poi ho cercato di scacciare subito quel pensiero perché non si ha una risposta in quel momento. Magari ci si pensa dopo al perché ti è successo, io ho lasciato questo lavoro per il post, perché è un lavoro molto intenso e faticoso che devo fare su me stessa anche grazie al supporto della mia psicologa e dello psichiatra. Sul momento ho pensato solo a combattere, a essere positiva per me e per le persone che mi stanno intorno che mi hanno dimostrato tanto amore. Sicuramente la seconda volta ero molto più arrabbiata, poi però mi sono resa conto che avevo comunque un’altra possibilità.

I: Questa seconda volta l’attesa quali emozioni ti ha portata ad esperire?

C: L’attesa è stata molto breve anche se questa volta era molto difficile trovare una cuore che andasse bene per me, proprio perché avevo sviluppato questo rigetto molto violento, indicativamente solo il 20% della popolazione era con me compatibile, sia come gruppo sanguigno, peso ed età.

I: Dall’inserimento in lista di trapianto, in pochi giorni la situazione si è aggravata e ti comunicano che saresti stata messa in coma farmacologico per permetterti la sopravvivenza, cosa hai provato dopo quella comunicazione?

C: Ho pensato poco, solo a stare il meglio possibile e a passare nel miglior modo possibile quelle ore e io non ho mai perso la speranza.

I: Quando ti hanno detto che il cuore era stato trovato, cosa hai provato?

C: In quel momento non ho avuto reazioni. Forse perché ero così stanca, ma anche molto pacifica. Ero così pronta ad accettare tutto quello che sarebbe stato il mio destino che ho fatto fatica a crederci, succede tutto in fretta e quella notte in cui arriva il cuore diventa infinita e brevissima allo stesso tempo, poi si entra in sala operatoria e si spera che tutto vada per il meglio.

I: Quale è stato, per te, il momento più difficile di questo percorso?

C: Il momento più duro è la scoperta e l’accettazione della diagnosi, la fase pre trapianto. Il momento più delicato e di fragilità è il post trapianto. Non tanto nell’immediato, dove mi sono sentita in bilico tra confusione e voglia di tornare a vivere, la quale che vince su tutto. Dopo qualche mese, un anno, quando la “luna di miele” è terminata ed emerge lo stress, le paure, la rabbia che sono state accumulate nel tempo e si mette in discussione tutto. E’ un momento delicato perché fisicamente stai bene, questo ti fa sentire in obbligo di essere felice, ma non è una cosa automatica perché ciò che hai vissuto ritorna ed è presente nei pensieri della vita quotidiana.

I: Incontrare altre persone nella tua stessa situazione ti ha aiutato?

C: Si, in particolare un bambina di 4 anni, ricoverata con me, una persona che mi che mi ha dato e mi da grande speranza e che ha subito più prove di quante ne abbia subite io, eppure non l’ho mai sentita piangere una volta in tutti quei mesi di ricovero insieme. Ha aspettato molto più di me ma sempre con il sorriso.

I: Altri fattori che ti hanno aiutata a sostenere questo percorso?

C: Conoscere persone e creare legami nuovi all’interno dell’ospedale ha permesso di creare un ambiente familiare in quel luogo dove ti ritrovi a passare molti giorni della tua vita. Essere circondata dalla mia famiglia e dalle amicizie più strette, avere questa costante presenza al mio fianco è stato di grande supporto. Con le mie più care amiche abbiamo creato una routine ospedaliera durante il mio ricovero, fatta di cene insieme in ospedale, momenti di risate e leggerezza seppur in quei momenti così delicati e carichi di drammaticità. Questo è stato un fattore molto importante che mi ha aiutata ad affrontare ciò che mi stava succedendo.

I: Nei confronti degli altri e del mondo cosa provi ora?

C: Mi sento estremamente in debito e mi ritengo molto fortunata. Ho avuto ben due possibilità e questa volta voglio aiutare gli altri come posso, raccontando agli altri la mia esperienza in modo che possa essere di aiuto, fondando una Onlus che vuole essere un aiuto e un punto di riferimento per chi deve affrontare il trapianto prima durante e dopo.

I: Pensi mai ai donatori dei tuoi cuori?

C: Ci penso spesso, sicuramente è una responsabilità e penso spesso come questo gesto di generosità e coraggio fatto da queste persone o dalle loro famiglie, che non conoscerò mai, abbia cambiato e reso possibile la mia vita. E’ anche molto bello, è un po come se fossimo in tre.

I: Adesso come è la tua vita e come vedi la vita davanti a te?

C: La vedo meravigliosa, è ancora una nuova opportunità e la vivo giorno per giorno perché è questo un po’ l’accordo, ma va bene così, ogni giorno è un giorno speciale. Anche se si torna, per fortuna, ai problemi di tutti i giorni c’è un grande dono che ti lascia l’esperienza della malattia, è tutto vissuto in maniera più intensa. Tuttavia riemerge e rimane costante nella mia vita e in quella di molti cardio trapiantati la sensazione del tempo che corre veloce e l’ansia di non dover sprecare il tempo e dare valore a ogni momento che si vive. E’ una cosa positiva ma anche un’arma a doppio taglio. A volte si vivono momenti di sconforto in cui non si sta più bene nei panni di prima e ti ritrova a fare i conti con te stesso e i grandi cambiamenti che senti dentro di te.

 

Per saperne di più visita il Sito della Onlus CUORI 3.0 fondata da Cristina

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Comazzi A.M. e Dimonopoli T., Il ruolo dello psichiatra e dello psicologo nella donazione degli organi.
  • Lovera G., Basile A., Bertolotti M. et al. – L’assistenza psicologica nei trapianti d’organo –Ann. Ist. Super. Sanità, vol.36, n.2(2000), pp.225-246.
  • Politi PL. Un Punto di Vista Psicologico sul Trapianto Cardiaco: fra Identità e Cambiamento. Psicoanalisi e Metodo. La Goliardica Pavese, Pavia, IT, 2002.
  • Catania, C.G., et al. (2013). Qualità di vita e disturbo ansioso-depressivo dopo trapianto cardiaco. Valutazione di due coorti di pazienti a breve e lunga distanza dall’intervento. Boll Soc Med Chir Pavia, 126(3), 583-592.
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