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La quota rosa nell’uso, abuso e dipendenza da Alcol

Le conseguenze dell'abuso di alcol tra le donne sono numerose tuttavia è un fenomeno difficile da trattare poichè spesso viene nascosto o dissimulato.

Di Maria Obbedio

Pubblicato il 12 Dic. 2018

Aggiornato il 03 Apr. 2019 12:36

La donna impiega un tempo più limitato dell’uomo per diventare alcolista e sviluppa molto più rapidamente le complicanze epatiche, cardiovascolari e psichiatriche correlate all’abuso. Questi fattori la rendono maggiormente vulnerabile agli effetti acuti e cronici dell’ alcol.

Maria Obbedio – OPEN SCHOOL, Psicoterapia Cognitiva e Ricerca Bolzano

 

Le bevande alcoliche fanno parte da sempre del nostro modo di vivere. Piacciono alla maggior parte delle persone e di solito vengono scelte per motivi diversi. Le bevande alcoliche preferite sono, nell’ordine, il vino, la birra, gli aperitivi alcolici, gli amari. Come qualsiasi altra sostanza però, l’uso massiccio ed eccessivo può dare problemi.

L’ alcol di fatto è una sostanza psicotropa che agisce su quei centri nervosi deputati alla regolazione del piacere e che induce fenomeni di dipendenza psichica, fisica, assuefazione, pericolosità sociale ed individuale. Chi è alcol dipendente ha un bisogno fisico e biologico dell’ alcol e la spinta a bere può coincidere con il desiderio di ripetere esperienze piacevoli, di attenuare sensazioni spiacevoli o entrambi.

L’ alcol però oltre certe dosi è, come tutte le sostanze, tossico. Lo IARC, che si occupa della valutazione degli effetti degli agenti chimici e fisici sul rischio di cancro, ha classificato l’ alcol come agente cancerogeno fin dal 1988. L’ alcol è stato inserito nel gruppo 1, vale a dire quello in cui sono comprese le sostanze per cui esistono sufficienti prove scientifiche della loro capacità di influenzare l’insorgenza dei tumori. Da allora sempre più ricerche hanno chiarito il legame tra alcol e numerose forme tumorali: quello della bocca, della faringe, dell’esofago, della laringe, del seno, del colon, del fegato, del pancreas. Tra questi citiamo la grande indagine EPIC (European Prospective Investigation into Cancer and Nutrition), i cui risultati relativi alla relazione tra alcol e cancro sono stati pubblicati nel 2011 sul British Medical Journal. Lo studio, a cui hanno partecipato anche ricercatori dell’AIRC, ha evidenziato che il 10% di tutti i tumori che colpiscono i maschi e il 3% di quelli che colpiscono le femmine sono attribuibili al consumo di alcolici. Nel dettaglio, la ricerca ha stimato che l’alcol è responsabile di una quota oscillante tra il 25 e il 44% dei tumori di bocca, faringe, laringe e cavità nasali, del 18-33% di quelli del fegato, del 4-17% dei tumori del colon e del 5% dei tumori al seno femminile.

Conseguenze psicologiche dell’ alcol

Da un punto di vista psicologico, l’ alcol può legare a sé in maniera non più controllata e non più controllabile, ovvero indurre dipendenza. Occorre però prima di tutto chiarire cosa si intende per dipendenza e distinguerla da altre terminologie:

Per intossicazione da sostanze si intende lo sviluppo di una sindrome sostanza-specifica reversibile dovuta alla recente assunzione di una sostanza, con modificazioni clinicamente significative, sul piano comportamentale o psicologico, dovute all’effetto della sostanza, sul sistema nervoso centrale.

L’abuso, che spesso viene confuso col concetto di dipendenza, invece, è una modalità patologica di uso di una sostanza, che porta a menomazione o a disagio clinicamente significativo; ne è esempio l’uso ricorrente della sostanza che può portare a incapacità ad adempiere ai principali compiti connessi con il lavoro, scuola oppure a problemi sociali o interpersonali ricorrenti e persistenti.

Quando parliamo invece di dipendenza inseriamo nel concetto anche il termine astinenza/tolleranza, perdita di controllo, craving, cambiamento di stile di vita e di pensiero, danno fisico, psichico, sociale. Nella dipendenza il soggetto entra in un circolo vizioso nel quale la sostanza assume il controllo ponendo chi ne fa uso nella posizione di “schiavo”.

Il consumo e l’abuso di alcol nell’universo femminile rappresenta un argomento poco trattato in quanto è ritenuto un fenomeno “sotterraneo”. Non è infatti facilmente rilevabile, essendo sovente confinato nel privato o dissimulato per la riprovazione sociale.

Perché si parla di riprovazione sociale? La parola “alcolista” porta con sé una connotazione emotiva molto forte, racchiude in sé le immagini di quello stereotipo sociale e culturale che crea rifiuto in chi ne viene etichettato.

Fattori all’origine della dipendenza da alcol

L’alcolismo viene considerato una dipendenza che include diversi fattori, come i fattori biologici, culturali ed infine quelli psicologici. Non è possibile ricorrere ad un’unica interpretazione per spiegare e comprendere le condotte alcoliche. È però possibile suddividere le cause dell’ alcol dipendenza in due categorie dominanti: cause personali e cause socio-culturali.

Più in generale, il ricorso all’ alcol può essere dovuto sia ad un piacere derivante dalla gradevolezza della sostanza, sia al significato sociale e personale che viene attribuito alla sostanza. Da un punto di vista meramente sociale, spesso si preferisce bere in compagnia e si esce con l’idea che “se bevo mi diverto”. Gli adolescenti bevono per lo più in funzione di un valore di uso dell’ alcol come sostanza disinibente, capace di rafforzare la disinvoltura nelle relazioni piuttosto che per il gusto in sé di consumare le bevande alcoliche; da un punto di vista soggettivo, spesso l’ alcol oltre che come sostanza “socializzante”, può essere usato come forma di auto-medicamento in situazioni di stress, ansia, frustrazioni, bassa autostima e altre situazioni che possono essere ritenute problematiche. Il ricorso all’alcol viene spiegato in quanto portatore di una sensazione di benessere soggettivo, ma soprattutto di fuga dalla realtà. Se l’alcol sembra momentaneamente alleviare uno stato di tristezza o di disagio, tale effetto, una volta svanito ed esaurito, riporta e accentua la situazione iniziale. Queste sono solo alcune di quelle che potrebbero essere definite come cause di tipo personale. Le cause socio-culturali prima enunciate, invece, sono legate a tradizioni, interessi economici, usanze tipiche di quel territorio.

Donne e Alcol

Le donne che hanno problemi legati all’ alcol fanno parte di un gruppo molto eterogeneo in quanto la dipendenza da alcol è diffusa fra le donne di ogni età e appartenenza sociale. Esistono fattori diversificati che influenzano l’andamento del fenomeno. Si parte dai fattori di familiarità genetica e ambientale, per passare a fattori demografici quali l’età, lo stato civile, la professione e le origini etniche.

Le linee guida nutrizionali raccomandano che una donna adulta e in buona salute non superi un consumo giornaliero di 1 unità alcolica*, mentre l’uomo non deve superare le 2 unità alcoliche. Una unità alcolica corrisponde a:

  • una birra da 33 cl di gradazione normale (4.5 gradi)
  • un bicchiere da tavola di vino (11-12 gradi)
  • un bicchierino (40 ml) di superalcolico (Grappa, Cognac, Vodka)

Bisogna tener presente che il contenuto di alcol di diversi tipi di birra, vino, distillati può variare in modo sostanziale.

Questa differenza dipende dal fatto che l’organismo femminile presenta una massa corporea inferiore rispetto all’uomo, minor quantità di acqua corporea e meno efficienza dei meccanismi di metabolizzazione dell’ alcol (carenza dell’enzima epatico alcol deidrogenasi). A pari quantità di bevande alcoliche, quindi, corrisponde un livello di alcolemia maggiore nelle donne.

Per questi motivi la donna impiega un tempo più limitato dell’uomo per diventare alcolista e sviluppa molto più rapidamente le complicanze epatiche, cardiovascolari e psichiatriche correlate all’abuso. Questi fattori la rendono maggiormente vulnerabile agli effetti acuti e cronici dell’ alcol. Oltre a queste patologie, la donna bevitrice presenta un maggior rischio di sviluppare il tumore della mammella.

L’abuso di alcol ha un ruolo rilevante ed incide negativamente anche sulla fertilità. L’abuso di alcol può essere infatti responsabile di una minore produzione degli ormoni femminili, determinando un’insufficienza ovarica che si manifesta con irregolarità mestruale (fino alla scomparsa del ciclo), assenza di ovulazione, infertilità e menopausa precoce. Nella donna che assume contraccettivi orali, inoltre, l’ alcol ingerito resta in circolo più a lungo.

Un discorso particolare va fatto per la donna in gravidanza, periodo in cui va evitato anche un consumo moderato di alcol. L’etanolo, infatti, è in grado di attraversare la placenta e arrivare al feto a una concentrazione di poco inferiore a quella ematica materna. Le cellule fetali, non essendo dotate di enzimi capaci di metabolizzare l’ alcol, ne subiscono gli effetti dannosi in particolare a livello cerebrale e dei tessuti in via di formazione. L’azione tossica dell’ alcol interferisce sui normali processi di sviluppo fisico ed intellettivo del feto provocando malformazioni e ritardo mentale più o meno gravi in funzione dei livelli di consumo. Pertanto a causa di tale azione tossica le donne che bevono abitualmente durante la gravidanza hanno una maggior frequenza di aborti spontanei e sono esposte al rischio di partorire neonati affetti da sindrome feto alcolica (FAS – Alcohol Fetal Syndrome). Va sottolineato che il rischio di danni cerebrali al feto esiste anche per le donne alcolizzate da tempo, anche se smettono di bere per tutta la durata della gravidanza.

Nelle donne anziane l’ alcol, anche moderato, può peggiorare ed accelerare la degenerazione della sfera neurologica e psichica. Inoltre spesso la donna anziana è in terapia farmacologia e l’ alcol può interferire con molti farmaci. Estremamente pericolosa è l’interazione tra alcol e farmaci che deprimono il sistema nervoso (sedativi, tranquillanti, ansiolitici, ipnotici). Il comportamento verso l’ alcol delle donne oltre i 65 anni desta particolare preoccupazione, in quanto questa fascia d’età non ha ricevuto in gioventù un’educazione al consumo di alcolici. Prediligono nell’ordine vino, birra e amari nel contesto privato o domestico, spesso continuando a mantenere nascosta la loro abitudine per timori di riprovazione sociale. Questo rende ancora più difficile rilevare eventuali problemi causati dall’ alcol ed è motivo di un riscontro spesso tardivo, ma frequente, di alcol dipendenza tra pensionate e casalinghe della “terza età”. Il periodo della menopausa e lo stato di vedovanza, poi, accompagnati da una minore partecipazione alla vita attiva e alla presenza di limitazioni fisiche dovute all’età, possono favorire fenomeni di abuso che, nel caso degli anziani, determinano problemi già al di sopra del consumo di 1 bicchiere di bevanda alcolica al giorno. Talvolta, oltre i 60 anni l’ alcol viene considerato l’unico elemento di compagnia contro la solitudine.

Dai dati ISTAT si registra nel corso degli anni un incremento della prevalenza delle consumatrici fuori pasto, in particolare, nel corso del 2015 la prevalenza è aumentata di 1,2 punti percentuali; tra le donne l’incremento risulta particolarmente significativo nella classe di età 25-44 anni.

Come agisce la società nei confronti della dipendenza “in rosa”?

L’alcolismo femminile si nasconde spesso tra mura domestiche e silenzi. La famiglia funge da contenitore: si pensa che il tacere, il provare a gestire in famiglia il “problema”, possa illusoriamente portare ad una soluzione. Spesso si finisce col bere di nascosto, in momenti della giornata e luoghi “tranquilli e discreti”, cercando di mascherare.

L’età matura può essere caratterizzata, oggi, per molte donne da un profondo conflitto tra un modello culturale di realizzazione ed affermazione personale desiderato e costruito in gioventù (in un periodo sociale di forte spinta all’emancipazione femminile) e quello realizzato in maturità e che quotidianamente spinge la donna verso ruoli personali fortemente legati ai ruoli di moglie e di madre; una condizione tutt’altro che infrequente e che vede la donna dibattersi tra la necessità di affermarsi nel mondo lavorativo e quello di non poter rinunciare al ruolo tradizionale familiare. È probabile che le donne siano spinte a bere maggiormente in questa fase della vita, verosimilmente più critica per il sesso femminile, a causa di timori di perdita della giovinezza, di riduzione della fertilità e della capacità procreativa, di una mancata realizzazione di progetti giovanili, di bilanci di esperienze affettive e familiari vissute in maniera insoddisfacente. (E. Scafato, 2014)

La donna si rivolge all’ alcol per la sua azione contenitiva, e auto-medicante. Hoar (1983) osserva che il bere nelle donne è correlato a problematiche stressanti dell’ambiente circostante quali malattie mentali, alcolismo, difficoltà occupazionali del coniuge, crisi economica familiare. Egli parla di “casalinga frustrata” e di sindrome del “nido vuoto”, ovvero di un comportamento in correlazione ad un evento specifico che mette in crisi le modalità secondo cui la donna ha organizzato la sua identità psicologica, relazionale e sociale. Un esempio di “casalinga frustrata” viene ben rappresentato anche dai mass media ad esempio nel famoso cartone animato americano “The Simpson” in cui in più di un episodio Marge ricorre all’ alcol per soffocare frustrazioni, insoddisfazioni e altri sentimenti che illusoriamente possono scomparire con l’uso di alcolici.

Alcuni autori quali Steinglass (1976) e Gacic (1977) affrontano il tema di “famiglie alcoliste”. Quest’ultimo parla di coppia alcolica evidenziando l’interazione tra i partner quale fattore che mantiene l’etilismo. Tra i principali fattori di rischio riscontrati (Marshall & Cook,1977) si evidenziano una storia familiare di problemi legati all’ alcol (famiglia di origine con problemi alcol correlati e/o partner bevitore); problemi comportamentali infantili legati alla difficoltà nel controllo e gestione degli impulsi; uso precoce di fumo, alcol e sostanze stupefacenti, che spesso può creare terreno fertile per le multidipendenze ed infine, scarse capacità di gestire eventi dolorosi o stressanti (mobbing ad esempio). Davanti a tutte queste possibilità, il soggetto trovandosi in una situazione di fragilità può cadere vittima delle sostanze. Infine la co-presenza di altri disturbi quali ad esempio la depressione, disturbi dell’umore e alimentari possono favorire l’assunzione di sostanze.

Spesso il ricorrere all’ alcol non dipende esclusivamente da motivi personali e/o problematici ma può assumere i tratti di una consuetudine, socialmente accettata e popolarmente giustificata, che porta a consumare alcolici per abitudine (consumare bevande alcoliche durante i pasti), per mancanza di informazione (per combattere il freddo, per abitudini salutiste come “il vino fa buon sangue”).

Quando si ricorre alla terapia?

In generale riconoscere di avere un problema con l’ alcol è difficile. Spesso si arriva in terapia perché portati da altri, per segnalazioni. In particolare, la percentuale di motivazione intrinseca si affievolisce ulteriormente se si tratta di giovani. Spesso si decide per un intervento multidisciplinare con la possibilità anche di partecipare a gruppi di terapia. In più, spesso durante la terapia si inseriscono anche lezioni psicoeducazione utili a migliorare la qualità di informazioni sul fenomeno alcol.

Nei confronti delle donne esiste un atteggiamento molto stigmatizzante e colpevolizzante, pertanto le donne con problemi di alcol vivono maggiormente l’isolamento sociale rispetto agli uomini. Esiste di fatto un radicato pregiudizio rispetto all’alcolismo femminile che porta a reticenza e scarsa criticità rispetto al proprio disagio, ma anche forte colpevolizzazione e riprovazione sociale. Va osservato che il periodo in cui inizia l’abitudine all’assunzione di alcol è ancora fertile per la donna (tra i 30 e i 40 anni), pertanto spesso il comportamento femminile riceve una forte riprovazione anche per gli effetti che l’ alcol può avere su una possibile gravidanza e in virtù della figura materna che la donna potrebbe potenzialmente ricoprire. L’alcolismo femminile così si consuma spesso tra le mura domestiche, tra colpa e solitudine.

Perché scegliere la diagnosi multidimensionale?

Permette di valutare le problematiche del paziente dal punto di vista sanitario, psicologico, educativo e sociale.

Integra la diagnosi medica, l’inquadramento psicologico-psichiatrico con il funzionamento sociale del paziente e la sua storia familiare.

In più prevede la raccolta di informazioni, utili per valutare in quali aree si sviluppano le condizioni maggiormente problematiche e suscettibili di intervento, in una persona sofferente.

Da molte testimonianze si evince che chi decide di intraprendere un percorso riabilitativo, soggetto a ricadute, riscopre e scopre se stesso.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Andreoli, V., Basile, A. (1986). Alcool e Famiglia. Dietro le maschere dell’alcool. Torino, Edizioni Gruppo Abele.
  • Cimino, L., Loguercio, C., Scotto di Tella, A. (2000). L’alcol nell’universo femminile. Giuseppe de nicola editore.
  • De Rosa Mario, G.L., Sanza, G., Sanguigni, A. (2014). L’alcolismo femminile. Un’analisi psicologica e fenomenologica. Edizione Franco Angeli.
  • DSM 5, Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (2014). Milano, Edizione Raffaello Cortina.
  • Furlan, P.M., Picci, R.L. (1990). Alcol alcolici alcolismo. Torino, Bollati Boringhieri.
  • Gacic, B. (1977). Therapie familiale de l'alcolisme, la revue de l'alcolisme.
  • Griffit, E., Marshall, J.E., Cook, C.C. (2000). Diagnosi e trattamento dell’alcoolismo. Manuale per le professioni d’aiuto. Milano, Edizione Raffaello Cortina.
  • Hoar C.H. (1983). Women Alcoholics are they different from other women? The Int. J. Of the Addiction, 18 (2).
  SITOGRAFIA
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