Secondo i teorici dell’ apprendimento trasformativo, avere una capacità critica della propria esperienza progettuale in fatto di collocazione professionale produce nel soggetto una maggior resilienza a cambiamenti improvvisi all’interno del contesto di lavoro.
La teoria di Jack Mezirow (1978) ha profondamente mutato le condizioni legate alle capacità organizzative di singole persone e di contesti aziendali. In più ha permesso di aprire in modo flessibile canali di comunicazione con aree psicologiche e pedagogiche in fatto di ri-modulazione dei propri stati interni legati a scelte cruciali come quelle che toccano da vicino la professione e la propria identità professionale, specie in età adulta.
In questo mio contributo intendo selezionare, dal punto di vista teorico, le correlazioni più importanti che si evidenziano tra l’area della trasformazione dell’apprendimento e l’area della definizione del sé, campo questo di pertinenza psicologica.
Habermas (1981) e Chomsky hanno svolto importanti studi sugli aspetti di ricostruzione e sul concetto di agire comune nell’ambito dell’apprendimento in età adulta.
Dall’altro lato la Psicologia del sé (se pensiamo a H. Kohut negli anni ’70) pone in stretta considerazione la possibilità che il bambino (poi adulto), nel proprio arco di vita, sviluppi un sentimento di attaccamento e vicinanza con la propria madre, nella quale rispecchiarsi. Tale processo, però, può subire continui rimaneggiamenti, momenti di empasse, situazioni nelle quali questa corrispondenza madre-bambino risulta carente.
Parole chiave: apprendimento trasformativo, generatività del sé, Kohut, Mezirow, Teoria del sé
L’ apprendimento trasformativo in un contesto di crescita personale
All’interno dell’ampia cornice teorica relativa ai processi di apprendimento nell’arco di vita, la prospettiva di Mezirow sottolinea l’importanza di una concezione critica e autonoma, da parte dell’individuo, la quale consente di strutturare un proprio nucleo critico e teso all’autonomia rispetto alle esperienze lavorative del soggetto.
Questo è l’assunto di base che i teorici dell’ apprendimento trasformativo sostengono all’interno del loro apparato teorico. Avere una capacità critica della propria esperienza progettuale in fatto di collocazione professionale, produce nel soggetto una maggior resilienza a cambiamenti improvvisi all’interno del contesto di lavoro.
Apprendere è dunque imparare, sin da subito, a pensare come un adulto, tanto più che il pensiero adulto è in grado di non stigmatizzare e di rendere flessibili idee e preconcetti. Non si tratta altro che di un “dialogo interno” tra il sé dell’individuo e quello che si lega al contesto professionale di appartenenza.
Ogni contesto di apprendimento è dunque un “agglomerato” di nuove costruzioni ideative rispetto alla percezione di un senso del sé inserito in un contesto professionale.
L’ apprendimento trasformativo come dialogo interno
La teoria dell’ apprendimento trasformativo ha da sempre coinvolto, come detto in premessa, l’area della Psicologia del sé. L’aspetto “intrapsichico” di tale teoria ha a che fare con la capacità del soggetto di stare a contatto con le parti più mature e sviluppate del proprio sé. Non è un caso che si parli di apprendimento secondo varie stratificazioni, ovvero l’apprendimento si modifica con il progredire della crescita maturazionale, soprattutto da un punto di vista cognitivo.
Trasformandosi, dunque, l’apparato “pensante”, di conseguenza si apprende in modo sempre più complesso e variegato. L’adulto può disporre di una gamma eterogenea di canali conoscitivi, dal più elementare, al più complesso.
L’ apprendimento trasformativo, però, introduce un riferimento importante al concetto di trasformazione delle potenzialità che la persona possiede e che può criticamente ri-visitare e modellare. Il senso critico e la possibilità di cambiamento sono parte dell’assunto di Mezirow. Si instaura una sorta di “dialogo interno” del soggetto che lo condurrà alla presa di consapevolezza di determinate caratteristiche della propria persona e del proprio interesse lavorativo.
Mezirow sosteneva che gli individui hanno difficoltà a cambiare perché le loro visioni del mondo diventano fotogrammi “inconsci” di riferimento costruiti attraverso abitudini mentali. Egli sostiene che quel particolare punto di vista può diventare così radicato che ci vuole un potente catalizzatore umano, un argomento forte o quello che definisce un dilemma disorientante per scuoterli.
In una raccolta di articoli intitolata In Defence of the LifeWorld (Welton, 1995), Mezirow fece continuo riferimento al suo noto studio del 1978 condotto per conto del Ministero della Pubblica Istruzione americano. Il suo studio potrebbe essere descritto come un progetto di “ricerca sul campo” (Lewin, 1946 e Kemmis e McTaggart, 1998) poiché era collaborativo, partecipativo e cercò a lungo di migliorare un aspetto della società, in questo caso, l’istruzione come “seconda opportunità” per le donne. Il Dipartimento si chiedeva perché così tante donne stavano tornando a studiare e quali effetti avevano i loro studi su di loro. Mezirow fu in grado di riferire che un ritorno allo studio spesso porta ad un processo di “sensibilizzazione” da parte di molte donne e che il processo tende generalmente a verificarsi in una serie di passaggi, ovvero:
- Dilemma disorientante
- Autoesame
- Senso di alienazione
- Relazionare ad altri il proprio malcontento
- Spiegare le opzioni di un nuovo comportamento
- Costruire la fiducia in nuovi modi
- Pianificare una linea d’azione
- Affinare la conoscenza per attuare piani strategici
- Sperimentare nuovi ruoli
- Reintegrazione
Sulla base di questo primo studio, Mezirow, nel dialogo e nel dibattito con altri teorici sull’educazione degli adulti, ha postulato, tradotto e, a volte, rivisto la sua teoria dell’ apprendimento trasformativo.
Si è visto che un elemento essenziale della teoria di Mezirow è la necessità di sviluppare capacità comunicative in modo che i conflitti interni ed esterni, che risultano dai cambiamenti di prospettiva, possano essere risolti attraverso un discorso razionale che dia un senso a questi cambiamenti.
Mezirow (1989) ha sostenuto che il cosiddetto dialogo basato sulla razionalità richiede informazioni complete e accurate, libertà dalla coercizione, una capacità di valutare le prove e valutare obiettivamente gli argomenti, un’apertura verso altri punti di vista, una pari opportunità di partecipazione, una riflessione critica delle ipotesi.
È chiaro che Mezirow (1981) ha sempre dato ampio spazio alla costruzione di un sé critico del soggetto, in particolare modo dell’universo femminile, tanto da proporre una visione ottimistica di una realtà lavorativa non sempre incoraggiante, soprattutto per il sesso femminile.
Mi avvicino, dunque, verso l’altro ambito che è quello della Psicologia psicoanalitica, in particolare all’area dello sviluppo del sé.
H. Kohut e la costruzione dell’identità
Il concetto di sé per Kohut si collega al disturbo narcisistico presente in alcune persone, le quali non hanno potuto sperimentare situazioni di attaccamento con le figure genitoriali responsive e in grado di prospettare loro una crescita organica del sé, da una parte e dell’Io dall’altra.
Si sviluppano quindi persone con un deficit, con una scarsa capacità empatica nelle relazioni interpersonali, insieme ad un grandioso senso del sé che, il più delle volte, nasconde un senso di vuoto e di inferiorità.
Ma, al di là di questi dati diagnostici, la teoria del sé, oltre ad occuparsi di relazioni oggettuali, sviluppa un filone interessante per quanto riguarda la costruzione di una propria identità personale, frutto di processi di sviluppo che fanno parte della anamnesi di ogni singolo soggetto. E allora, come Mezirow ha sempre sostenuto, la trasformazione di ciò che è parte di noi avviene nel tempo e secondo una prospettiva disorientante (“dilemma disorientante”), qualcosa che scuote il soggetto e che lo riporta ad un “nuovo inizio” e da lì riprende il suo cammino.
Il ripristino ad uno stadio “precedente” permette al soggetto di ri-proporsi a sé e all’ambiente circostante secondo una prospettiva diversa. Ad esempio, un soggetto traumatizzato può, se non opportunamente sostenuto nella rielaborazione del trauma (Counselor, Educatore, Psicoterapeuta), non essere in grado di affrontare, nel corso della propria vita, i passaggi più cruciali (Adolescenza, adultità, prime esperienze sentimentali, matrimonio, nascita dei figli….) e perdersi nel gestire queste fasi dell’arco di vita. Allo stesso modo può capitare che un adulto, che non abbia potuto consolidare le proprie capacità di assimilazione di nuove conoscenze tramite percorsi di apprendimento, possa poi necessitare di un aiuto nel tentativo di trasformare i livelli di apprendimento sino a quel momento introiettati, in processi realmente trasformativi di sé come individuo, nonché rispetto alle proprie scelte professionalizzanti.
Reintegrarsi alla luce di nuove competenze
È secondo questa prospettiva che il percorso di un individuo prende corpo, ovvero tramite la conoscibilità del proprio mondo interno che risulta sempre in contatto con l’ambiente e con le esperienze di cui lo stesso (ambiente) è intriso.
Si tratta dunque di declinare le proprie competenze, di apprendimento e non, nei confronti di una realtà circostante in continuo cambiamento. L’adultità è di per sé una fase circoscritta ma in cui riemergono pilastri fondamentali del nostro passato, del nostro presente e del nostro futuro.
Organizzare il proprio processo formativo non è affatto banale. La Psicologia cognitiva, ad esempio, con Bruner ha dato sostanza al pensiero contemplativo, a quel tipo di pensiero che porta il soggetto a porre attenzione ai processi cognitivi (chiarificazione, riformulazione di dati di partenza, ecc….) ma non solo, ha posto interrogativi importanti, su come sia possibile attingere e far proprie certe informazioni presenti nella realtà esterna, assimilandole e facendole proprie.
Questo processo è di per sé un processo trasformativo, se visto in chiave critica, ovvero se mi rendo conto che i contenuti appresi vanno a ri-visitare ciò che è dentro di me, o meglio ancora, il modo in cui riesco a percepire e a costruire nuovi modelli di una stessa realtà.