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Ambulatorio di cardiologia pediatrica: un cuore che può rinascere

Negli ambulatori di cardiologia pediatrica si assiste spesso a un'inibizione delle emozioni da parte dei bambini malati ma anche delle loro famiglie.

Di Guest, Beatrice Plini, Elisabetta Masciotta

Pubblicato il 29 Dic. 2017

Aggiornato il 27 Giu. 2019 12:25

In cardiologia pediatrica si riscontra spesso un’inibizione degli stati emozionali: proprio in questo contesto prevalgono delle condotte inibitorie nei confronti delle emozioni dei bambini e delle loro famiglie.

Sofia Tavella, Lorella Cartia, Marialuisa Macedone, Beatrice Plini, Elisabetta Masciotta       

 

Il contesto ospedaliero, anche in età pediatrica, rappresenta oggi una realtà ben conosciuta, da qualcuno solo per una breve parentesi, da qualcun altro per periodi più lunghi, in fasi di vita differenti e ad intervalli più o meno frequenti e regolari.

In queste circostanze le strutture ospedaliere, ed in particolare gli ambulatori, pur nel loro caos e nella loro confusione interna, diventano un luogo carico di significati disparati: dal punto di vista dei genitori e degli adulti di riferimento essi costituiscono il primo ambiente simbolico e prepotentemente reale in cui prendere coscienza della malattia e di tutto ciò che comporta in termini di interruzione della quotidianità, percezione della fragilità umana e minaccia di una progettualità che coinvolge inevitabilmente tutto il sistema che gravita intorno al bambino, specie se molto piccolo, con le relative emozioni di paura, rabbia, impotenza spesso non sufficientemente elaborate; dal punto di vista del bambino “malato”, invece, la soggettività del contesto e della propria condizione di malattia di frequente passa attraverso gli occhi dei grandi e del loro modo personale ed emotivo di leggere gli accadimenti per cui non è infrequente che l’ansia o la paura del bambino siano quelle, non contenute e proiettate, dell’adulto di riferimento.

In accordo con quanto sostenuto da Stern (1987), tutto ciò che dà forma alla relazione fra madre e bambino, per esempio il tono della voce, le espressioni del viso o i movimenti corporei e che si ripetono con una certa continuità nel tempo contribuisce a formare le modalità di relazioni stabili, coerenti e ricorrenti che il bambino impara a riconoscere e su cui inizia a strutturare un modello di relazione coerente con l’altro e di continuità del sé.

Quando, invece, il genitore o il familiare riesce a gestire le proprie ansie non proiettandole sul bambino e ponendosi come risorsa per lui, ecco che l’ambulatorio può diventare anche un contesto ludico, ri-creativo, persino rassicurante in cui sperimentare, anche nei momenti a volte interminabili di attesa, esperienze positive che, pur agendo nell’hic et nunc, possano sostituirsi alle sensazioni negative di una condizione oggettiva di malattia. E allora anche lo spazio ambulatoriale può offrire per i grandi un’occasione di scambio dialettico o di sfogo, e per i piccoli uno spazio di contenimento, di supporto o di benessere, attraverso il disegno, la scelta dei colori, o il gioco.

Come sostiene M. Klein (1932), il gioco rappresenta nel bambino, il corrispettivo delle libere associazioni per l’adulto. Infatti, è proprio attraverso il gioco che i bambini danno forma alla propria realtà ed esprimono tutti i loro conflitti inconsci, le fantasie, desideri, o paure interne, molto più che con il linguaggio.

I correlati psicologici negli ambulatori di cardiologia pediatrica

Rispetto all’esperienza di ospedalizzazione e di lungodegenza che si riscontra nei reparti di patologie gravi come quello di oncologia pediatrica, il cui clima emotivo è prevalentemente permeato da un’angoscia di morte che può assumere i connotati della derealizzazione (che minaccia i progetti e il futuro), della depersonalizzazione (che comporta uno squilibrio psichico) e della destrutturazione (che mette a repentaglio il mito della salute), nell’ambulatorio di cardiologia pediatrica l’angoscia di morte non sembra giocare un ruolo attivo.

Può sembrare paradossale, ma proprio in cardiologia pediatrica in cui ci si prende cura di una patologia più o meno grave che da un momento all’altro potrebbe far perdere la vita, le angosce di morte sembrano svanire per lasciare spazio ad altri stati emozionali, o meglio all’inibizione degli stessi. Infatti, proprio in questo contesto prevalgono delle condotte di inibizione nei confronti degli stati emotivi dei bambini e delle loro famiglie.

Se consideriamo metaforicamente il cuore come il luogo della salute e dei nostri affetti, osserviamo che le patologie cardiache aprono nei genitori una profonda ferita narcisistica poiché esse contrastano con l’immagine idealizzata e perfetta della procreazione.

Ad uno stato iniziale di confusione e di forte disorientamento in seguito alla diagnosi, si accompagna un senso di impotenza e di colpa nei genitori, da cui deriva molto spesso una modalità di relazione basata sulla compiacenza e sull’obbedienza nei confronti del bambino malato.

Tale modalità rischia di compromettere il legame di attaccamento. Infatti, lo stesso Bowlby (1988) sottolinea come la qualità del legame dipenda dal modo in cui la madre (il genitore) risponde alle richieste di attaccamento. È proprio quando il bambino è in pericolo che dovrebbe essere visibile ed attivarsi il legame di attaccamento. Egli utilizza il termine di sensibilità materna per indicare le risposte che il bambino riceve dalla madre che per essere considerate ottimali devono essere immediate ed adeguate, ovvero devono comprendere il riconoscimento del bisogno del bambino sotteso a quel tipo di comportamento di attaccamento.

La realtà ambulatoriale in cardiologia pediatrica permette di confrontarsi con una molteplicità di situazioni e, allo stesso tempo, di poter sperimentare l’unicità di ogni bambino e l’esclusività del rapporto che si viene a creare attraverso e aldilà della malattia sia con i principali punti di riferimento che con gli operatori che incontra. I volontari del progetto “Al servizio dei bambini”, fondato dall’associazione Alma Salus nel 2007, offrono il loro contributo per sostenere i piccoli pazienti dell’ambulatorio di cardiologia pediatrica e le loro famiglie.

I pazienti in cardiologia pediatrica: il caso del piccolo Matteo

Matteo, 5 anni, è nato con una malformazione cardiaca, operato alla nascita si sottopone oggi a controlli periodici (ECG e visita cardiologica) all’ambulatorio di cardiologia pediatrica, divenuto per lui un ambiente quasi familiare. Viene accompagnato da entrambi i genitori ma solo la madre si ferma a raccontare le fasi iniziali della loro vicenda, dalla scoperta della diagnosi precoce all’intervento, includendone i grandi sensi di colpa che hanno accompagnato tutto il percorso e presenti soprattutto in lei. Oggi tali emozioni sembrano aver trovato uno spazio di accettazione e di elaborazione, come dimostra il desiderio di condividere tale esperienza, lasciando due genitori un po’ stanchi per un cammino lungo e faticoso ma dove l’ ansia non sembra più dominante come una volta. Essa sembra, infatti, aver ceduto il posto ad una forte consapevolezza che si traduce in una presenza costante che diventa risorsa al servizio della famiglia.

Ciò permette allo stesso Matteo di giocare oggi serenamente, familiarizzando anche con gli altri bambini in sala d’attesa dell’ambulatorio di cardiologia pediatrica, facendo anche da “ufficio informazioni” per i passanti che cercano un reparto specifico, dimostrando di essere ormai di casa. È proprio la presenza solida e puntuale dei genitori che permette al bambino di potersi aprire con gli operatori costruendo un clima di fiducia e di vicinanza anche attraverso il gioco simbolico. In un contesto come quello ospedaliero, il gioco simbolico assolve ad importanti funzioni come quella riparatoria e anticipatoria (Winnicott, 2006): il bambino si prepara a qualcosa di problematico o cerca di abbassare il livello ansioso dopo che l’evento problematico è avvenuto (pensiamo alla paura per la prima visita). Inoltre, il gioco simbolico permette al bambino di rappresentare la realtà, soprattutto imitandola, e di dominarla difendendosi dalla realtà “vera” fatta di divieti e regole.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Bowlby J., (1988), Una base sicura, Raffaello, Cortina Editore.
  • Klein M., (1932), La psicoanalisi dei bambini, Giunti Editore.
  • Stern D., (1987), Il mondo interpersonale del bambino, Boringhieri.
  • Winnicott D.W., (2006), Gioco e realtà, Armando Editore.
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