Nello sport, gli atleti esperiscono pensieri ed emozioni intrusivi che possono ostacolarli nella performance, impedendogli di raggiungere gli obiettivi sperati. L’ attention training technique dovrebbe aiutare gli atleti a raggiungere lo stato di detached mindfulness, concentrandosi così sugli stimoli importanti per la loro performance e non considerando pensieri intrusivi distraenti come emozioni e pensieri negativi (Moen & Firing, 2015).
Elena Mazzieri, Open School Studi Cognitivi San Benedetto del Tronto
Le difficoltà dell’atleta di alto livello
Essere atleta di alto livello non è un mestiere affatto semplice. Comunemente si pensa che per essere un buon atleta bisogna avere talento, allenarsi quotidianamente e avere delle adeguate capacità mentali. Ma che significa adeguate capacità mentali? Noi tutti sappiamo che anche in quello che sembra un banalissimo gesto atletico, come ad esempio calciare la palla o colpire con la mazza una pallina da golf, si nasconde dietro fatica, sudore, ripetizioni su ripetizioni affinché il gesto diventi perfetto e automatico. È risaputo, infatti, che la quantità di tempo speso ad esercitarsi quotidianamente sia fondamentale per trasformare il talento di un atleta in risultati sportivi (Ericsson et al., 1993). Questo però a volte non basta. Tutti noi abbiamo praticato sport da piccoli, e i nostri allenatori ci ripetevano sempre di porre attenzione a quello che stavamo facendo. Da ex giocatrice (con scarsi risultati, lo devo ammettere) di pallavolo, ricordo con particolare antipatia quando, in partita, l’allenatore ci diceva di concentrarci sulla partita, sulla palla, e di ignorare tutto il resto: il sorriso di sfida delle avversarie, gli spalti pieni di amici e parenti venuti a fare il tifo, il fidanzato di turno che ti guarda e tu non riesci a pensare ad altro se non alla pessima figura che farai sbagliando anche la prossima palla. “State attente!” ci diceva. Sembrava facile…
In realtà proprio tutti i torti il povero allenatore non li aveva. Soprattutto a livelli ben più alti di quelli in cui giocavo io, gli atleti sono costantemente esposti ad una varietà di stimoli, spesso in rapido cambiamento, che richiedono uno sforzo attentivo elevato e continuativo (Faubert, 2013), al punto da poter supporre che siano proprio queste risorse attentive, ed in particolare l’abilità di controllarle, una delle condizioni necessarie, assieme alla pratica costante, per ottenere un miglioramento nella performance sportiva (Csikszentmihalyi, 1990; Perna et al., 2003; Faubert & Sidebottom, 2012) e, perché no, il raggiungimento di ottimi risultati nello sport.
La deliberate practice: l’importanza dell’attenzione nello sport
Alcuni autori sono arrivati a parlare di “deliberate practice” (Ericsson at al., 1993), vale a dire un tipo di allenamento che richiede, oltre al duro lavoro, un’attenzione intensa e costante. Per capirci meglio, se uno sciatore si allena per molte ore ma non pone adeguata attenzione a ciò che sta facendo, non si può parlare di deliberate practice, cosa invece possibile nel momento in cui lo stesso sciatore si concentra su specifici aspetti della performance che deve migliorare, come ad esempio aumentare la forza (Moen & Firing, 2015). Se quindi, per sviluppare competenza nello sport, l’elemento chiave è proprio la deliberate practice, parte essenziale di questa è il focus attentivo (Ericsson, 2009).
A voler dar ragione ai poveri allenatori che nel mondo incitano i propri atleti ad essere concentrati ed attenti, diversi studi scientifici hanno dimostrato come per avere successo nello sport siano fondamentali le abilità di usare consapevolmente le risorse attentive dell’atleta (Bernier et al., 2009; Kaufman et al., 2009; Kee & Wang, 2008; Moen & Firing, 2015). Su un punto, però, noi atleti di bassa leva non ci sbagliavamo: non è urlandoci di stare attenti che si risolve la situazione!
Per aiutare sia allenatori che atleti, nel campo della psicologia dello sport, sono stati messi a punto diversi programmi per incrementare le risorse attentive degli atleti (Faubert & Sidebottom, 2012). Tradizionalmente vengono utilizzati interventi come l’imagery, il self-talk e il goal setting (Weinberg & Gould, 2011), che hanno lo scopo di aiutare a controllare i fattori mentali interni negativi che possono influenzare la performance dell’atleta (Gardner & Moore, 2006). Sebbene siano tuttora ampiamente utilizzati, questi interventi in realtà non fanno altro che aumentare gli stati negativi stessi, dal momento che preparano gli atleti a ricercare questi fenomeni (Wegner, 1994). Così facendo, l’atleta esegue una sorta di scansione degli stati interiori che rende le emozioni e i pensieri negativi più consapevoli, distraendosi dal compito del momento ed influenzando negativamente la performance sportiva (Bertollo et al., 2009). In poche parole, continuandoci ad urlare di stare attente e di ignorare la folla sugli spalti, il nostro caro allenatore non faceva altro che renderci ben più presente che lì accanto a noi c’erano persone a guardarci e giudicarci, innescando tutta una serie di pensieri negativi (“cosa penserà di me se sbaglio di nuovo?”) che non facevano altro che peggiorare la nostra già scarsa performance in partita.
Quello che poi mandava letteralmente fuori di testa il nostro povero allenatore, era che mentre in partita non riuscivamo a fare un punto nemmeno se le avversarie restavano immobili, durante gli allenamenti facevamo azioni da far invidia a Mila e Shiro. Lui continuava a sostenere che in partita non eravamo abbastanza attente e concentrate, e forse, di nuovo, stava dicendo la cosa giusta.
Durante gli allenamenti non c’erano avversarie, spettatori, amici, parenti e quant’altro che potevano distrarci. Ci concedevamo di sbagliare con più tranquillità, tanto non c’era in gioco la partita o il campionato. Proprio questa mancanza di pensieri intrusivi negativi ci permetteva di giocare con la piena consapevolezza di quanto stavamo facendo. In uno stile un po’ mindfulness, che decisamente mancava durante la partita.
Va da sé che questo è soltanto un esempio dei possibili pensieri intrusivi negativi che possono inficiare la performance sportiva. Non per tutti gli atleti la presenza degli spettatori è un elemento di disturbo, anzi… Molto spesso, specialmente ad alti livelli, il pubblico esalta l’atleta spingendolo a dare il meglio di sé. Quello che può essere fonte di distrazione per uno, non lo è necessariamente per un altro atleta, e gli esempi che potremmo fare sono potenzialmente infiniti. Per semplicità, continueremo con questo esempio.
L’ efficacia degli interventi di mindfulness nello sport
Partendo dal presupposto della scarsa efficacia degli interventi tradizionali, si è iniziato a pensare che potrebbe essere più benefico per gli atleti sviluppare capacità che comportino la consapevolezza e accettazione del momento presente (Gardner & Moore, 2006; Kaufman et al., 2009). Questo cambiamento di paradigma rappresenta la base dei nuovi interventi in psicologia dello sport fondati sulla Mindfulness.
La Mindfulness è stata definita come un porre attenzione di proposito, nel momento presente, senza giudicare (Brown & Ryan, 2003; Kabat-Zinn, 1994). Le tecniche basate sulla mindfulness richiedono di accettare e osservare gli stati interni che si provano nel presente senza giudicarli. In questo modo l’atleta si distanzia dai propri pensieri ed emozioni assumendo la prospettiva di un osservatore esterno (Jekauc et al., 2017). Proprio questa prospettiva evita che l’atleta venga invaso dai propri pensieri e sentimenti, permettendogli di decidere in maniera cosciente se seguire e perdersi nei propri pensieri o focalizzarsi su qualcos’altro. Usando questa tecnica, l’atleta guadagna stabilità emotiva e impara a mantenere l’attenzione su quello che sta accadendo in quel momento (Jekauc et al., 2017), ottimizzando la performance sportiva.
L’abilità di usare l’attenzione come uno strumento per porre sotto la lente d’ingrandimento specifici aspetti dell’esperienza dell’atleta, consente di non perdersi in informazioni superflue e di concentrarsi sugli stimoli ottimali alla performance (Csikszentmihalyi, 1990; Wadlinger & Isaacowitz, 2011). Va da sé, quindi, che diventa essenziale l’abilità dell’atleta di dirigere l’attenzione verso quelli che sono gli aspetti più rilevanti per ottenere un’adeguata prestazione (Csikszentmihalyi, 1990; Ericsson et al., 1993).
La teoria metacognitiva: la Cognitive Attentional Syndrome e l’ Attention Training Technique
Ritornando per un attimo alla teoria metacognitiva, questa ipotizza che ad essere responsabile dei disturbi psicologici è lo stile di pensiero chiamato Cognitive Attentional Syndrome (CAS) (Wells, 2009). Questo stile di pensiero è collegato a metacognizioni interne che controllano il pensiero e l’attenzione, e bloccano l’individuo in un pattern persistente di pensieri negativi difficili da controllare. I pensieri automatici negativi fanno da trigger, quindi, ad una reazione maladattiva, la CAS appunto, la quale contribuisce a sviluppare emozioni negative come ansia e depressione (Wells, 2009).
Per essere più chiari, nel momento in cui, durante la nostra partita di pallavolo, il solito allenatore ci dice di non guardare gli spettatori e di concentrarci solo sulla partita, quasi inevitabilmente non riusciamo a pensare ad altro se non a chi ci guarda dagli spalti, focalizzandoci sul pensiero intrusivo “cosa penserà di me se sbaglierò di nuovo?” e, ruminando su questo, aumenta sempre di più la sensazione di ansia. In questo modo la performance sportiva andrà costantemente a peggiorare, anche perché la nostra attenzione resterà focalizzata sul pensiero intrusivo e su stimoli esterni (nel nostro caso, le persone sedute sugli spalti) anziché essere concentrata sul gioco e sul gesto atletico.
Sulla base della CAS, è stato sviluppato l’ Attention Training Technique (ATT), il cui scopo è quello di aiutare i partecipanti a sviluppare l’abilità di spostare la propria attenzione dagli stimoli emotivi a stimoli neutri, attraverso l’uso di compiti uditivi. (Wells, 1990; Wells, 2005).
Nell’ Attention Training Technique originale, i partecipanti devono in un primo momento concentrarsi e mantenere la propria attenzione su uno stimolo ambientale, come ad esempio il ticchettio dell’orologio, tentando di non farsi distrarre da altri suoni o pensieri. Wells (1990) definisce questo esercizio “attenzione selettiva”. In seguito i partecipanti devono selettivamente spostare la propria attenzione su suoni più remoti che aumentano l’interferenza acustica (ad esempio, il rumore del traffico, il suono delle campane di una chiesa, e così via) e spostare alternativamente l’attenzione su questi due suoni, esercizio chiamato “cambio di attenzione” (Wells, 1990).
Lo scopo del training è di seguire le istruzioni attentive date indipendentemente da cosa può o non può essere sentito nel corpo e nella mente dei partecipanti. Gli eventi interni dovrebbero essere trattati come fonti aggiuntive di rumori ai quali non deve essere dato ascolto. Lo scopo non è evitare o sopprimere pensieri ed emozioni, ma lasciargli occupare il proprio spazio interno senza dar loro peso. (Nassif & Wells, 2013). Wells e Matthews (1994) definiscono questo tipo di esperienza “detached mindfulness”, vale a dire un tipo di consapevolezza degli eventi interni, come pensieri ed emozioni, ma senza un’analisi concettuale ed una risposta diretta ad uno scopo (Wells, 2005). In questo stato i pensieri sono come degli oggetti presenti nella mente separati dalla realtà.
L’ Attention Training Technique nello sport
Questo funziona in ambito clinico, ma nello sport? Applicare l’ Attention Training Technique come intervento sostituivo ai tradizionali che, come abbiamo visto, non sembrano produrre i risultati sperati, potrebbe migliorare la performance sportiva? Teoricamente sì. Nello sport, infatti, gli atleti esperiscono pensieri ed emozioni intrusivi che possono ostacolarli nella performance sportiva, impedendogli di raggiungere gli obiettivi sperati. L’attention training technique dovrebbe aiutare gli atleti a raggiungere lo stato di detached mindfulness, concentrandosi così sugli stimoli importanti per la loro performance e non considerando pensieri intrusivi distraenti come emozioni e pensieri negativi (Moen & Firing, 2015). Mi spiego meglio. In linea teorica, se avessimo praticato l’ Attention Training Technique, il pensiero “cosa penserà di me se sbaglierò di nuovo?” sarebbe rimasto nella nostra mente di giovani giocatrici di pallavolo senza essere giudicato o senza ruminarci sopra. Saremmo rimaste concentrate sul gesto atletico del momento e forse, dico forse, una o due partite saremmo riuscite a vincerle.
Dal punto di vista teorico, quindi, la cosa sembrerebbe funzionare. Sarà così anche praticamente?
Dalle ricerche in ambito scientifico, emerge che relativamente pochi sono stati gli studi che hanno applicato l’ Attention Training Technique nello sport. Tra questi emergono quelli svolti dal gruppo di ricerca di Moen et al. (2015, 2016). Nel loro primo lavoro, lo scopo era proprio quello di verificare come l’ Attention Training Technique influenzasse l’esperienza nello sport in un gruppo di giovani atleti norvegesi. Il programma che hanno implementato ha avuto la durata di 12 settimane, durante le quali gli atleti dovevano ascoltare, per almeno 5 volte la settimana, un file audio di circa 12 minuti. Lo scopo era quello di diminuire il focus attentivo interiore e di aumentare il controllo attentivo esecutivo (Fisher & Wells, 2009). Ogni tre settimane, veniva svota una sessione di gruppo in cui si discuteva l’andamento del progetto. Dallo studio è emerso che l’ Attention Training Technique influenza l’abilità degli atleti di passare da uno stato in cui la mente divaga liberamente ad uno stato in cui viene preso il controllo esecutivo della propria attenzione. Una volta che gli atleti hanno esperito di avere un controllo esecutivo della propria attenzione, diventano capaci di spostare l’attenzione su elementi chiave che permette loro di agire consapevolmente sul contesto che li circonda. In questo modo, quindi, diventano capaci di capire se stessi ad un livello più profondo e di migliorare la propria autostima (Moen et al., 2015).
Gli stessi autori, un anno dopo, hanno approfondito lo studio con strumenti ed ipotesi più solide, supponendo che l’ Attention Training Technique fosse in grado di ridurre lo stress e di migliorare le performance sportive di un gruppo di giovani atleti. Anche in questo caso, l’ Attention Training Technique è stato svolto tramite un file audio di 12 minuti da ascoltare per almeno 5 volte alla settimana (Moen et al., 2016). Come nella ricerca precedente, ogni tre settimane veniva condotta una sessione di gruppo con lo scopo di stimolare riflessioni sulle influenze che l’ Attention Training Technique potrebbe avere in ambito sportivo o nella vita di tutti i giorni (Moen et al., 2016).
Dai risultati emerge che, a seguito dell’ Attention Training Technique, il livello di stress percepito negli atleti è diminuito, così come sono migliorate le performance in ambito sportivo (Moen et al., 2016). Uno degli effetti principale dell’ Attention Training Technique riguarda la capacità degli atleti di imparare a spostare l’attenzione dai pensieri intrusivi interni (CAS) a stimoli benefici, come ad esempio informazioni più neutrali (Papageorgiou & Wells, 2000; Papageorgiou & Wells, 1998), Siegle et al., 2007; Wells, 1990, 2005; Wells et al., 1997), riducendo così l’ansia e la ruminazione. Nello specifico, la riduzione a seguito dell’ Attention Training Technique del livello percepito di stress è dovuta, probabilmente, al fatto che l’ Attention Training Technique è in grado di interrompere la CAS, aiutando così gli atleti a rafforzare la consapevolezza del proprio controllo sui processi attentivi (Callinan et al., 2015; Yilmaz et al., 2011).
Tramite l’ Attention Training Technique, gli atleti vengono allenati ad accettare i pensieri e le emozioni che possono comparire durante l’allenamento e la performance sportiva, così da prevenire il processamento concettuale (cioè l’analisi che permette di dare significato alle informazioni) o le strategie dirette allo scopo di rimuovere o evitare pensieri e emozioni. L’abilità degli atleti di accettare questi pensieri ed emozioni potenzialmente disturbanti è influenzata dalla loro capacità di metaconsapevolezza, influenzata anch’essa dall’ Attention Training Technique. Se non sono consapevoli delle loro esperienze interiori, infatti, gli atleti non possono accettare i pensieri ed emozioni disturbanti ed evitare l’analisi concettuale o le strategie dirette ad uno scopo (Moen et al., 2016). Questo dovrebbe essere uno strumento benefico per prevenire lo stress, dal momento che impedisce la possibile elaborazione di pensieri e sentimenti spiacevoli quali l’ansia e la ruminazione (Wells, 2009), facilitando così il cambio del focus attentivo verso l’obiettivo desiderato (Marks, 2008).
Tramite l’ Attention Training Technique, i giovani atleti partecipanti alla ricerca condotta da Moen et al., (2016) sono riusciti a migliorare l’abilità di dirigere la propria attenzione in maniera selettiva su obiettivi efficaci a poter esprimere il proprio reale potenziale e migliorare la performance. La capacità di focalizzare la propria attenzione in specifici aspetti della performance dell’atleta, come si diceva prima, è un elemento essenziale dell’allenamento. Inoltre, l’attenzione è essenziale per selezionare le informazioni più importanti così che la memoria di lavoro conservi queste informazioni in modo accessibile (Fougnie, 2008). In questo modo, l’informazione più importante per il compito da svolgere in quel momento è accessibile nella memoria di lavoro così che sia possibile eseguire automaticamente il potenziale intrinseco (Gucciardi & Dimmock, 2008).
Alla luce di questi risultati, è possibile ipotizzare che l’ Attention Training Technique rappresenti uno strumento importante per migliorare la perfomance sportiva, proprio perché va a potenziare quelle “capacità mentali” di cui si accennava poco fa e che, prima, ci erano un po’ oscure. Ora sappiamo che un grande atleta deve essere in grado di orientare in maniera consapevole la propria attenzione senza lasciarsi sopraffare da pensieri intrusivi negativi che andrebbero ad inficiare la performance. E per fare questo, sembra ottimale l’utilizzo dell’ Attention Training Technique, sebbene siano necessari ulteriori ricerche ed approfondimenti.
Insomma, il nostro allenatore non aveva poi tutti i torti; se non stai attenta, il punto lo segnerà l’avversaria.