Per molti anni gli studiosi interessati alla neuropsicologia dei processi cognitivi hanno focalizzato la loro attenzione sulle basi neuronali di tali processi, soffermandosi soprattutto su percezione e memoria. Gli studi condotti sui processi di memoria hanno permesso di individuare le aree e le strutture responsabili dei processi mnestici e di osservare la stretta relazione tra memoria ed emozione
Ilenia La Rocca – OPEN SCHOOL Studi Cognitivi
Memoria ed emozioni: il ruolo di ippocampo e amigdala
Da questi studi è emerso che le strutture maggiormente responsabili nei processi mnestici sono l’ippocampo e l’amigdala, due strutture sottocorticali nel lobo temporale, facenti parte del sistema limbico (Riechen, The Physiological Process of Memory, 1986). L’ippocampo sembra giocare un ruolo primario nella formazione della memoria a breve termine, ma non nel consolidamento della traccia mnestica (memoria a lungo termine). Esso raggrupperebbe informazioni processate da altre aree cerebrali sintetizzandole in un’unica configurazione di stimoli sensoriali esterni. L’amigdala, invece, consente il controllo dell’informazione sensoriale e l’attribuzione di un particolare significato affettivo e/o emotivo a tale informazione. È considerata anche la struttura grazie alla quale è possibile associare uno stimolo ad un premio (ricompensa) o ad una punizione (stimolo avversivo). L’ippocampo e l’amigdala sono strutture intercambiabili ma al mancare di entrambe si realizzano vere e proprie perdite di memoria.
Gli studi condotti sulle scimmie mostrano come la rimozione bilaterale dell’ippocampo e dell’amigdala provochi, nell’animale sottoposto al compito di riconoscimento di oggetti non familiari, prestazioni di poco superiori alla semplice scelta casuale. Altre strutture implicate nei processi di memoria sono l’ipotalamo (corpi mammillari), il talamo (con le sue afferenze e efferenze da e verso la neocorteccia) ed in parte i lobi frontali (soprattutto per i processi mnestici legati alle emozioni). Da un punto di vista neuronale, l’informazione esterna viene ricevuta da recettori sensoriali “periferici” per poi essere trasmessa alla stazione talamica specifica per ciascuna modalità sensoriale ed infine giungere alla corteccia primaria dove viene elaborata affinché si produca una risposta comportamentale coerente con la stimolazione ambientale.
La relazione tra emozione e memoria
Sul versante biologico, le teorie dell’apprendimento sostengono che la traccia mnestica viene consolidata quando un comportamento o stimolo è seguito da rinforzo (Pavlov, 1927; Skinner, 1938; Thorndike, 1913; Watson, 1930). Gli studiosi dell’apprendimento ritengono che la capacità di uno stimolo di giocare il ruolo di rinforzo sia strettamente legata alle sue capacità “ego distoniche”, ovvero di suscitare piacere. In tal senso, le memorie dipendenti dai meccanismi di rinforzo possono ugualmente dipendere dall’attivazione (arousal) emozionale.
D’altra parte, altre ricerche (svolte soprattutto in ambito psicoanalitico), suggeriscono che l’emozione possa avere effetti di “soppressione” sulla memoria. Sotto questo punto di vista, quindi, il ricordo di un determinato evento legato all’arousal emozionale produrrebbe ansia che, a sua volta, sarebbe prevenuta (controllata) col raggiungimento della consapevolezza e, successivamente della rievocazione, dello stesso evento traumatico. Quindi l’ emozione potrebbe essere descritta come una sorta di memoria se si considerano le sue possibilità di facilitare o inibire il ricordo di eventi e/o esperienze personalmente vissuti.
Si può in tal senso fare una distinzione fra memoria “tout – court”, definita anche memoria dichiarativa o esplicita (ovvero la semplice rievocazione dell’evento) e memoria “emozionale”, ovvero il significato affettivo legato ad un determinato evento. Quest’ultimo tipo di memoria sembra giocare un ruolo determinante nella formazione delle flashbulb memories (FBM), o ricordi fotografici, definite da Brown e Kulik nel 1977 come ricordi vividi, dettagliati e persistenti, come delle istantanee, che preservano tutti i particolari, anche irrilevanti, di un episodio. La stessa distinzione fra i due tipi di memoria viene ulteriormente confermata dalle strutture cerebrali implicate: l’ippocampo sembra essere responsabile della prima mentre l’amigdala della seconda (Bellelli G., 1999, pp. 87-93).
Vividezza dei ricordi ed emozione
L’esperienza emozionale comprende, dunque, due dimensioni: la valenza e l’intensità. Gli individui solitamente si fidano dei loro ricordi; essi sono convinti che il modo in cui ricordano un evento coincida con il modo con cui esso si è verificato, ma sono anche disposti ad ammettere che la memoria è fallibile e che spesso il loro ricordo potrebbe non essere il riflesso della realtà. Gli studi sui falsi ricordi e sui ricordi controversi hanno identificato diverse caratteristiche che influenzano la fiducia nel proprio ricordo. La letteratura sulle flashbulb memories ha suggerito che i ricordi molto intensi di eventi negativi sono mantenuti con più sicurezza rispetto ai ricordi di eventi neutri (Brown e Kulik, 1977). La vividezza, spesso definita come l’aumento di dettagli percettivi e sensoriali, è stata la proprietà della memoria autobiografica maggiormente studiata all’interno dei ricordi emozionali (Rubin, Talarico, 2003). E’ stata trovata una forte correlazione tra vividezza del ricordo ed emozionalità (Bekerian e Conway, 1988; Kozin e Rubin, 1984; Wagenaar, 1986; White, 1982).
La coerenza narrativa è definita come il modo in cui il ricordo è rievocato come una storia coerente ed unitaria, sia in parole che in immagini piuttosto che come dettagli frammentari ed isolati. E’stato dimostrato che i ricordi di eventi traumatici erano rievocati con minore probabilità in una forma narrativa coerente (Berntsen, Rubin, Willert, 2003; Beckham, Feldman, Rubin, 2004; Rubin e Talarico, 2003). I ricordi di esperienze emozionali passate sono spesso usati per ricreare gli stati emozionali attuali (Conway, 1990).
La relazione tra intensità, valenza e memoria autobiografica è incompleta e talvolta contraddittoria. Dai risultati degli studi emerge che l’intensità influenza la proprietà della memoria autobiografica molto di più rispetto alla valenza. Non solo eventi ad alta intensità tendono ad essere ricordati più a lungo ma tendono anche ad essere ricordati con più vividezza (Talarico et al., 2004). Anche l’attività dell’amigdala durante la codifica si riferisce non solo ad una maggiore probabilità di ricordare un elemento emotivo ma anche alla probabilità che si ricordi con maggiore vividezza (Dolcos et al., 2004).
Alcuni studi hanno dimostrato che la valenza di un evento può influenzare la vividezza di un ricordo. Sembra che la vividezza della memoria possa risultare dalla combinazione di generici elementi sensoriali, percettivi e semantici; oltretutto, essa non è necessariamente associata con dettagli specifici di un determinato episodio. Quindi un ricordo emozionale può essere vivido senza essere specifico. È stato inoltre dimostrato che i ricordi emozionali possono essere più vividi ma non più specifici rispetto ai ricordi neutri e che i ricordi emozionali negativi contengono un minor numero di dettagli sensoriali, spaziali e temporali rispetto ai ricordi positivi (Philippot e Schaefer, 2005). All’interno del laboratorio, gli eventi negativi vengono spesso ricordati con maggiore vividezza rispetto agli eventi positivi (Dewhurst e Parry, 2000; Ochsner, 2000). Gli stimoli positivi, al contrario, spesso si ricordano in termini generici (Bless e Schwarz, 2000; Ochsner, 2000). Oltretutto, lo stato d’animo positivo è associato anche a maggiori errori di ricostruzione rispetto allo stato d’animo negativo, probabilmente perché gli individui in uno stato d’animo felice contano su euristiche, mentre gli individui che si trovano in uno stato d’animo negativo sono più propensi a concentrarsi sui dettagli specifici delle informazioni (Benedici et al., 1996; Clore e Storbeck, 2005).
Spesso, però, le ricerche sulla memoria autobiografica hanno prodotto anche risultati opposti alla ricerca in laboratorio: i ricordi di eventi positivi sarebbero più vividi rispetto agli eventi negativi (D’Argembeau et al, 2003; Philippot e Schaefer , 2005). Dunque, mentre alcuni studi suggeriscono uno scarso effetto della valenza sulla vividezza della memoria, altri hanno riscontrato che l’intensità è il fattore che principalmente predice le caratteristiche della memoria autobiografica (Talarico et al., 2004).
Come l’ emozione agisce sul ricordo
Bower (1994) ha indicato tre differenti modi in cui l’ emozione incide sul ricordo. Il primo di essi si basa sulla mediazione dell’attenzione. Di solito, prestiamo più attenzione agli stimoli salienti emotivamente e questo ci permette di avere un miglior ricordo. Le emozioni sono attivate dal prodursi di discrepanze tra un dato evento e le aspettative collegate ai nostri scopi. Quando si produce una discrepanza, l’ emozione mobilizza le risorse attentive verso quelle caratteristiche dell’evento che appaiono significative o predittive della discrepanza così da poter intraprendere le azioni necessarie per rimuoverla.
Tuttavia, l’ emozione non agisce indistintamente sul ricordo di tutto l’evento, ma solo sugli aspetti centrali dell’evento, mentre quelli periferici sono più facilmente perduti. Easterbrook nel 1959 sostenne che un elevato arousal provoca un restringimento dell’attenzione, “proteggendo” l’individuo dall’informazione distraente ma comportando anche la perdita di una parte dell’informazione rilevante. Diversi esperimenti effettuati con una varietà di compiti visivi o di memorizzazione di parole e che hanno utilizzato varie modalità di induzione dell’arousal (shock elettrici, deprivazione di cibo, etc.) sono coerenti con tale ipotesi (Bruner, Mattew e Papanek, 1955; Easterbrook, 1959; Eysenck, 1982).
Nell’esperimento classico di Clifford e Hollin (1981), furono utilizzate due differenti versioni dello stesso filmato: una “emotiva”, in un cui un uomo aggrediva una donna per rapinarla ed una “neutra” in cui l’uomo semplicemente fermava la donna per chiederle un’informazione. In seguito, l’uomo veniva più facilmente riconosciuto dalle persone che avevano visto la versione emotiva. In seguito, nell’esperimento di Burns e Loftus (1982) fu mostrato, a due gruppi di persone, un filmato che rappresentava una rapina in banca: di esso furono proposte due versioni, una delle quali più “emotiva”, nella quale si assisteva ad una scena particolarmente violenta. In una prova di memoria successiva (sia di riconoscimento che di rievocazione) i soggetti mostrarono di ricordare molti più dettagli della parte del filmato, comune alle due versioni, che precedeva la scena violenta. Questi studi mostrano che le varianti “emotive” provocano un ricordo peggiore degli eventi neutri che precedono l’episodio violento.
In seguito, Christianson e Loftus (1991) introducono una distinzione tra elementi centrali e periferici dell’evento. Per elementi centrali si intende quelli che sono percettivamente centrali o ad essi vicini e sono quelli che vengono maggiormente ricordati nelle situazioni emozionali; i ricordi periferici, invece, sono quelli peggio ricordati in confronto con le corrispondenti condizioni neutrali. Gli studi di psicologia delle emozioni confermano che l’elaborazione emotiva possa non richiedere il ricorso a processi controllati, né nell’acquisizione, né nel recupero dell’informazione, e che i meccanismi invocati siano piuttosto di tipo pre – attentivo. A questo processo pre – attentivo può far seguito una maggiore focalizzazione attentiva con l’allocazione di risorse a livello controllato per la elaborazione delle informazioni rilevanti. Si deve supporre che l’informazione emotiva sia elaborata, almeno inizialmente, a livello automatico e inconscio (essendo mediata da strutture subcorticali) e questo darebbe luogo anche alla difficoltà di esprimere verbalmente le stesse emozioni (Bellelli, 1999, pp. 100-103).
Il secondo modo attraverso cui l’ emozione può influenzare il ricordo è costituito dagli effetti di congruenza e stato – dipendenza. Con l’Associative Network Model, Bower (1981) assunse che le emozioni costituivano i nodi centrali di una rete associativa, connessi alle idee collegate, agli eventi con la stessa valenza, all’attività autonomica, a patterns specifici di reazioni muscolari ed espressive. Quando vengono appresi dei nuovi stimoli, essi vengono associati ai nodi attivi in quel momento. Di conseguenza, gli stimoli appresi in un particolare stato affettivo sono collegati al corrispettivo nodo affettivo. L’effetto di stato – dipendenza si basa sull’accoppiamento dell’ emozione o del mood al momento dell’apprendimento e al momento di recupero: implica, dunque, il confronto fra lo stato emotivo al momento della formazione della traccia mnestica e lo stato emotivo durante la rievocazione.
L’effetto di congruenza, invece, si basa invece sulla corrispondenza tra la valenza affettiva dello stimolo e dello stato affettivo al momento del recupero (Bellelli, 1999, pp. 103-105). Una caratteristica dei ricordi emotivi è la loro persistenza. Uno studio di Cutshall e Yuille (1986), riguardante uno studio di 13 testimoni di un episodio di violenza che aveva portato alla morte di una persona e al ferimento dell’altra, ha potuto mostrare, a distanza di 4 – 5 mesi, il permanere di un alto livello di accuratezza del ricordo. Alcuni studiosi hanno ipotizzato che i ricordi emotivi si dimentichino più lentamente, riprendendo il concetto di slow forgetting (oblio lento), già discusso negli anni ’30 (Cohen, 1989; Blankstein e Craik, 1975; Kantor e Langdon, Maltzman, 1966; Leeper e Waters, 1936). Già a partire dalla ricerca classica di Kaplan e Kleinsmith (1963), negli studi tra emozione e memoria, ha destato un particolare interesse il ruolo del differimento della rievocazione, rispetto al quale si evidenzia un rovesciamento degli effetti riscontrati nella rievocazione immediata. Del resto, vi sono prove che il ricordo di un evento emotivo può essere in parte dissociato da quello di specifiche caratteristiche dell’evento stesso, così che è possibile avere accesso alla componente emotiva dell’evento stesso senza ricordare i particolari dell’evento. In altri termini, è possibile ricordare l’ emozione senza ricordare i particolari dell’evento (Bellelli, 1999, pp. 105-110).
Altri studi mostrano che eventi appresi in un determinato stato psichico possono essere ricordati meglio quando una persona è rimessa nello stesso stato in cui era durante l’esperienza originale. Se lo stato interno della persona che rievoca (recaller) è molto cambiato rispetto allo stato interno che esisteva durante l’esperienza iniziale (al momento della formazione della traccia mnestica), allora la persona che rievoca avrà difficoltà a ricordare l’evento. I ricordi acquisiti in uno stato sono accessibili principalmente in quello stato ma sono “dissociati” o comunque non disponibili per il richiamo in uno stato alternativo. E’ come se i due stati costituissero librerie diverse in cui una persona ripone i ricordi registrati, ed un dato ricordo registrato possa essere recuperato solo tornando a quella libreria o stato psicologico in cui l’evento era stato memorizzato. Se i soggetti si sentivano felici, gli incidenti emozionali richiamati erano giudicati come più piacevoli; se si sentivano tristi, gli incidenti erano giudicati come meno piacevoli rispetto a quelli originali.
Si è osservato un effetto di recupero dipendente dallo stato d’animo quando si chiedeva ai soggetti di raccontare della loro infanzia. Quello che riportavano era notevolmente dipendente dal loro stato d’animo del momento (Bower, 1981). Bollenbach e Madigan e (1986) usarono la procedura Velten per indurre felicità o tristezza nelle persone costituenti il loro campione. I ricordi recuperati dalle persone felici erano valutati come più piacevoli rispetto a quelli rievocati dalle persone tristi. Precedentemente, Fogarty e Teasdale (1979) usarono la procedura Velten e trovarono che le persone felici recuperavano ricordi felici più velocemente rispetto a quelli tristi, mentre le persone tristi recuperavano ricordi tristi più velocemente rispetto a quelli felici. Successivi studi, hanno dimostrato che l’effetto di stato – dipendenza si verifica di più con il richiamo libero, quando sono dati indizi minimi per il recupero dei target, ma l’effetto è di gran lunga ridotto quando la memoria è testata attraverso indizi più adeguati, come si verifica in richiami che forniscono forti indizi o in test di riconoscimento (Eich, Gillin, Stillman, Weingartner, 1975).
Ci sono tre ulteriori punti di vista per spiegare gli effetti dell’ emozione sulla qualità del richiamo della memoria. Il primo: l’ emozione aumenta la ricchezza di dettagli soggettivi di memoria. Gli studi sui testimoni hanno mostrato che le persone che vivono un evento emozionale riportano memorie vivide e dettagliate per questo evento (Christianson e Hubinette, 1993; Yuille e Cutshall, 1986; Tollestrup et al., 1992). Il secondo: gli studi sulle FBM portano simili risultati. Il flashbulb effect denota che gli individui mantengono una memoria molto dettagliata e vivida del contesto in cui l’evento emozionale pubblico è stato appreso per la prima volta (Bohannon, 1988; Bohannon e Symons, 1992; Christianson, 1989; Conway et al., 1994; Curci, Gisle, Finkenauer e Luminet, 2001; El-Ahmadi, Finkenauer, Gisle, Luminet, Philippot e Van der Linden, 1998; Pillemer, 1984; Rubin e Kozin, 1984). Il terzo: gli esperimenti che hanno usato il paradigma R-K, trovarono che le immagini e le parole emozionali sono ricordate meglio di quelle neutre, soprattutto rispetto a immagini e parole negative. In questo paradigma, una risposta “remember” indica una specifica memoria dell’evento durante la quale l’item è stato imparato, inclusi pensieri, sentimenti e dettagli sensoriali. La risposta “know” è caratterizzata dal sentimento di essersi precedentemente imbattuto nell’item senza nessun ricordo specifico dell’apprendimento dell’evento.
Dall’altro lato, molti studi hanno mostrato che l’ emozione ha un effetto deleterio sul recupero di specifici dettagli della memoria. Gli studi dimostrano che le persone che sono testimoni di eventi negativi hanno spesso una performance povera nel recupero dei dettagli dell’evento (Christianson e Safer, 1996; Burns e Loftus, 1982; Steblay, 1992). Altri studi suggeriscono che l’attivazione emozionale, sia momentanea che cronica, è associata con un richiamo più povero di dettagli specifici della memoria. Dozier e Philippot (1996) e Herbette, Philippot e Schaefer (2003) mostrano che le emozioni sono preferenzialmente associate con ricordi autobiografici generali piuttosto che con ricordi con specifici dettagli spazio – temporali. I pazienti con disordini emozionali come depressione o disturbi ossessivi – compulsivi, hanno la tendenza a richiamare ricordi generici, con scarso accesso a specifici dettagli. Questi studi dimostrano che l’ emozione è associata con ricordi più ricchi di dettagli, mentre altri studi riportano il contrario. I motivi della contraddizione riguardano i molteplici metodi utilizzati per valutare le performance di memoria e il fatto che l’ emozione può avere un effetto differente sui diversi tipi di dettagli ricordati (Christianson, 1992).