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Un approccio olistico nel trattamento del Binge Eating Disorder: l’utilizzo dello Yoga

Nel trattamento dei pazienti con Binge Eating Disorder che hanno vissuto un trauma è possibile includere il Trauma-Sensitive Yoga. 

Di Roberta Porta

Pubblicato il 28 Set. 2016

Aggiornato il 04 Ott. 2019 14:06

Esiste un tipo specifico di Yoga che aiuterebbe i pazienti con Binge Eating Disorder che hanno vissuto un trauma: esso è il Trauma-Sensitive Yoga. È uno stile gentile di yoga che promuove l’equilibrio nella mente e nel corpo attraverso l’uso del respiro, la meditazione e, di particolare importanza in questo ambito, le posture fisiche o “asana”. Tale disciplina parte dal presupposto che i sopravvissuti ad un trauma rivivono la loro esperienza sul corpo giornalmente. In questo senso, il corpo diventa il loro nemico (van der Kolk, 1994), sentono che il corpo li ha traditi nel passato e continua a farlo nel presente.

Roberta Porta, OPEN SCHOOL STUDI COGNITIVI MILANO

 

Binge Eating Disorder: la diagnosi e il trattamento

Il Disturbo Binge Eating, solo recentemente identificato come una diagnosi ufficiale nel Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali, si caratterizza per periodi di assunzione di grandi quantità di cibo, associati a sensazione di perdita di controllo con conseguenti emozioni di vergogna, senso di colpa ed isolamento sociale. Non sono presenti inoltre comportamenti compensativi al fine di regolare il peso e\o l’assunzione di cibo.

Diversi studi evidenziano come il trattamento di eccellenza sia la Terapia Cognitivo-Comportamentale (CBT), efficace in termini di remissione completa solo però nel 50-60 per cento delle persone. Ciò può portare a pensare che sia necessario ampliare la visione di questo Disturbo Alimentare e conseguentemente i suoi strumenti di cura poiché questi pazienti manifestano anche altre difficoltà in svariati ambiti della loro vita. Raccogliendo l’anamnesi di questi pazienti ciò che emerge è un disagio precoce, molto spesso già in età giovanile in cui ciò che viene evidenziato è il disagio sociale esteso alla maggior parte dei rapporti interpersonali, la difficoltà a gestire le proprie emozioni, il senso di impotenza legato all’incapacità di controllare il proprio comportamento alimentare e il conseguente aumento di peso con l’aggiunta della distorsione nella visione del proprio corpo che alimenta un senso di insicurezza e d’inadeguatezza che permane anche nell’età adulta.

La complessità di questo disturbo, e quindi della sua cura, è legata alla elevata numerosità di pazienti che presenta comorbilità con depressione maggiore, disturbo di panico e di alcuni disturbi di personalità. Infatti, pazienti con binge eating disorder sono caratterizzati da specifiche caratteristiche di personalità e proprio questi aspetti vengono considerati come fattori di vulnerabilità individuale che la terapia non può non prendere in considerazione per ampliare il suo grado di efficacia.

Vari studi, come quello di Fassino et al., 2002, si sono avvalsi del Temperament and Character Inventory (TCI) uno strumento specifico utilizzato per analizzare il profilo temperamentale e caratteriologico. Essi hanno evidenziato che i pazienti con Binge eating disorder (BED) confrontati con pazienti obesi senza BED ottengono alti punteggi nella scala HA (Harm Avoidance), per cui sono soggetti più insicuri, timidi, apprensivi, nervosi, irascibili e impulsivi, più passivi e si scoraggiano più facilmente.

Secondo un altro studio (Marcus et al., 1990; De Zwaan el al., 1994; Kirkley et al., 1992) i pazienti Binge Eating Disorder tendono ad ottenere tramite tale strumento bassi livelli di SD (autodirezionalità) e di C (cooperatività) per cui mostrano maggiore immaturità, debolezza, fragilità, tendenza alla colpevolizzazione altrui e scarsa tolleranza allo stress. Oltre agli aspetti caratteriali e temperamentali ciò che emerge dalla letteratura è che i pazienti affetti da Disturbo da Alimentazione Incontrollata presentano una prevalenza significativa di attaccamento disorganizzato, soprattutto di tipo irrisolto (Barone et al., 2009; Tasca et al., 2014) e tassi particolarmente bassi di attaccamento di tipo B con una ricaduta più frequentemente nello stile di attaccamento insicuro (Tasca et al., 2014), caratterizzato da sfiducia verso le altre persone e aspettative negative nei confronti delle relazioni (Fabbro et al., 2010); inoltre, i soggetti affetti da Binge Eating Disorder sembrano riferire dei tassi di maltrattamento infantile ed altre esperienze traumatiche che correlano con attaccamento di tipo disorganizzato che sono circa due o tre volte superiori a quelli riportati da campioni normativi; in particolare, gli studi condotti da Grilo e colleghi (2001 & 2002) e Becker e collaboratori (2011) hanno evidenziato che l’80% dei pazienti con Binge Eating Disorder tende a riportare almeno un tipo di maltrattamento infantile e Caslini e colleghi (2015) hanno osservato che il Binge Eating Disorder risulta associato a tutte le tipologie di abuso infantile (sessuale, fisico ed emotivo).

Riassumendo possiamo dire che i pazienti affetti da Disturbo da Alimentazione Incontrollata presentano spesso una comorbilità in Asse I con i disturbi dell’umore (Weightman et al., 2014; Kerr et al., 2003), la dipendenza da alcool (Maurage et al., 2015) e il PTSD (Nazarov et al., 2013). Infine, per quanto riguarda l’Asse II, Friborg e colleghi (2014) e Grilo e collaboratori (2002) hanno riportato che circa il 30% dei pazienti con Binge Eating Disorder presenta almeno un disturbo di personalità e che i disturbi più frequentemente associati sono quelli appartenenti al Cluster C (Evitante e Ossessivo-Compulsivo) e al Cluster B (Borderline). È soprattutto nei pazienti con Cluster B che ritroviamo il deficit di regolazione emotiva.

 

Binge eating disorder: i fattori determinanti nella genesi e nel mantenimento del disturbo

Tra i fattori che la letteratura recente indica come determinanti nella genesi e nel mantenimento del disturbo vi sono l’esperienza e la regolazione disfunzionale delle emozioni: le persone a rischio di questi disturbi spesso presentano difficoltà nella gestione delle emozioni, sperimentano frequentemente emozioni negative molto intense e utilizzano il cibo per regolarle (Polivy e Herman, 2002; Bardone-Cone e Cass, 2006; Macht, 2008).

Inoltre, si è osservato in uno studio condotto da Carano, De Berardis, Gambi, et al., (2006) che ha indagato la relazione tra immagine corporea e presenza del costrutto alessitimico nei soggetti con Binge Eating Disorder, che questi ultimi mostrano una maggiore gravità del disturbo alimentare (indici di massa corporea più elevati) e una maggiore insoddisfazione per il proprio corpo rispetto ai pazienti non alessitimici.

I soggetti Binge Eating Disorder alessitimici rispetto ai soggetti BED non alessitimici rispondono meno ai trattamenti psicoterapeutici e nutrizionali, mostrando elevati tassi di drop-out. Nello specifico, i pazienti BED alessitimici hanno difficoltà a identificare e a descrivere sentimenti ed emozioni senza presentare caratteristiche di pensiero orientato esternamente. Come affermano Taylor e al., (1997), le persone affette da BED sono fondamentalmente alessitimiche, in quanto presentano deficit nel riconoscimento dei propri stati interni (fame, sazietà, senso di vuoto), nell’esplorazione del proprio mondo interiore e nella competenza necessaria per riconoscere ed esprimere le proprie emozioni. La mancanza d’informazioni sul proprio stato di benessere e sui propri desideri e bisogni, ostacola la creazione di confini stabili con gli altri, aumentando, di conseguenza, la dipendenza dall’ambiente esterno per avere conferme e sicurezze. Quindi emerge in tali pazienti una mancanza di consapevolezza enterocettiva, con conseguente confusione e incertezza nel riconoscere e rispondere in modo preciso agli stati emotivi. Al fine di favorire il processo di cura anche di questi pazienti con caratteristiche ben specifiche si è ipotizzato di inserire un percorso di Yoga nel trattamento CBT già in uso al fine di favorire il potenziamento della attenzione consapevole, intenzionale e non-giudicante nel momento presente.

Inoltre lo scopo principale è quello di aiutare il paziente, che spesso ha dimenticato il suo corpo fisico (soprattutto se in anamnesi troviamo episodi legati al trauma) a relazionarsi con esso e a riconoscere, ascoltare e rispettare i ritmi naturali del proprio corpo e aumentare così la propria consapevolezza enterocettiva. Durante la lezione di Yoga si eseguono pratiche che vengono appositamente organizzate in modo tale da concentrare l’attenzione del paziente al presente: le asana, esse sono caratterizzate da benefici e controindicazioni, che vengono considerati durante ogni lezione in modo tale da rendere ogni paziente partecipante attivo ai benefici sulla propria salute.

Il secondo obiettivo che ci si propone di favorire è la riduzione dello stress e la produzione di un aumento graduale dello stato di rilassamento. Ciò viene favorito dalla sensazione di equilibrio psicofisico, imparando ad entrare in contatto con se stessi, sperimentando lo stato di calma, grazie alle tecniche di rilassamento guidato ed a convivere con i propri limiti corporei cercando di generare importanti benefici sull’allungamento muscolare e sulla mobilità del corpo tramite le asana contrastando i problemi su muscoli e scheletro provocati dal comportamento alimentare che ha generato lo stato di sovrappeso\obesità.
Il terzo e ultimo obiettivo è il miglioramento della coordinazione e della capacità respiratoria.

 

La pratica dello yoga

La pratica dello yoga nasce 5000 anni fa in Oriente, ed è una disciplina che armonizza tecniche di respirazione, postura, allungamento muscolare e meditazione. Esistono diversi tipi di yoga: il più diffuso e praticato in Occidente è l’Hatha yoga, finalizzato a un benessere tanto fisico quanto mentale.

Le evidenze scientifiche derivanti da diversi studi hanno evidenziato cambiamenti significativi tra prima e dopo la pratica di Yoga. Nei gruppi di studio si sono registrati punteggi più alti per qualità di vita, emotività e autoconsapevolezza, mentre sono diminuiti i punteggi riguardanti ansia, panico e stress autopercepito (Amber W.Li, 2012) . Alcuni studi hanno preso in considerazione anche parametri di controllo biochimici: ai soggetti sono state misurate le concentrazioni di cortisolo (ormone dello stress), DHEA (ormone che promuove la lipolisi), melatonina e GABA (la prima regola il ritmo sonno-veglia e il secondo è connesso al rilassamento). I ricercatori non hanno trovato cambiamenti significativi nei livelli di cortisolo e DHEA, mentre sono leggermente aumentati quelli di melatonina e GABA: lo yoga sembra dunque promuovere la secrezione di sostanze collegate allo stato di calma mentale e fisica. Inoltre in un altro studio è stato analizzato l’effetto dello yoga sulla secrezione di leptina e adiponectina e ciò che è emerso è una correlazione tra il tempo da cui si praticava yoga e lo stato di benessere: le praticanti yoga da più tempo mostravano che il profilo dei marker antinfiammatori erano correlati a un minor rischio per la salute cardiovascolare e il diabete.

Parallelamente a questo studio, una review ha dimostrato che lo yoga permette di normalizzare i livelli di pressione arteriosa, di colesterolo e di glucosio nel sangue (Kiecolt-Glaser JK, Christian LM, Andridge R, Hwang BS, 2012). Gli studi sottolineano comunque che chi pratica yoga è anche più attento ad altri fattori che influenzano il benessere e la salute, come ad esempio la dieta, la scelta di alimenti biologici e di stagione, la gestione dello stress, l’astensione dal consumo di alcol e fumo.

 

Lo yoga con i pazienti con Binge Eating Disorder

Esiste un tipo specifico di Yoga che aiuterebbe i pazienti con Binge eating disorder che hanno vissuto un trauma: esso è il Trauma-Sensitive Yoga. È uno stile gentile di yoga che promuove l’equilibrio nella mente e nel corpo attraverso l’uso del respiro, la meditazione e, di particolare importanza in questo ambito, le posture fisiche o “asana”. Tale disciplina parte dal presupposto che i sopravvissuti ad un trauma rivivono la loro esperienza sul corpo giornalmente. In questo senso, il corpo diventa il loro nemico (van der Kolk, 1994), sentono che il corpo li ha traditi nel passato e continua a farlo nel presente.

In uno studio di Van der Kolk si è visto come le donne che ricevevano il Trauma-Sensitive Yoga riportavano diminuzioni significative nella disregolazione emotiva e aumenti nelle attività di riduzione della tensione e dell’hyperarousal corporeo (van der Kolk et al., 2014). Un corso di 10 settimane di TSY è associato a una diminuzione significativa nei sintomi del PTSD nei sopravvissuti al trauma con un PTSD complesso. Al fine di aiutare il paziente nel percorso di cura sono stati studiati gli effetti della disciplina sui livelli dei neurotrasmettitori (nello specifico, il GABA) associati al PTSD complesso. Il GABA (acido γ-aminobutirrico) è il principale neurotrasmettitore inibitorio nel cervello; il suo rilascio, infatti, impedisce all’impulso nervoso di propagarsi da un neurone all’altro. Il GABA ha profondi effetti ansiolitici e smorza le risposte comportamentali e fisiologiche ai fattori di stress. Si è notato in diversi studi scientifici che i livelli di questo neurotrasmettitore sono particolarmente bassi nei soggetti con disturbi d’ansia e con PTSD complesso, come se si perdesse la capacità chimica di limitare la risposta allo stress.

In uno studio del 2007 si è rilevato (attraverso metodiche di neuroimaging) che i livelli di GABA nel cervello aumentano dopo una sessione di yoga. Il concetto che dalla letteratura emerge con interesse maggiore collegato a questi dati è quello relativo al fatto che alcuni pazienti con Binge Eating Disorder cronici hanno in anamnesi il PTSD complesso: si tratta, cioè, di bambini che hanno fatto esperienza di [blockquote style=”1″]eventi traumatici molteplici, cronici e prolungati, soprattutto di natura interpersonale e ad esordio precoce, spesso nel loro sistema di accudimento primario[/blockquote] (Cook et al., 2005).

Nel PTSD complesso si evidenziano (van der Kolk et al., 2005):
1. la regolazione delle emozioni e il controllo degli impulsi: le persone non riescono a gestire emozioni intense e improvvise (come la rabbia) e mettono in atto condotte auto-distruttive (auto-lesionismo, abuso di sostanze,abbuffate, ecc.) quando iniziano a percepire come intollerabili e opprimenti anche minimi fattori di stress;
2. l’attenzione e la consapevolezza: presenza di episodi dissociativi, amnesia e incapacità di focalizzarsi su uno stimolo rilevante, che rappresentano delle risposte emesse dagli individui per sottrarsi ai pensieri/ricordi e sensazioni fisiche/emozioni legati alle esperienze traumatiche;
3. la percezione di sé: le vittime di esperienze traumatiche sviluppano una visione di se stesse come indesiderate, deboli, impotenti, “danneggiate” e provano senso di colpa e vergogna cronici perché, nella maggior parte dei casi, si ritengono responsabili dell’abuso che hanno subìto;
4. i rapporti interpersonali: incapacità di fidarsi o di entrare in intimità con gli altri, elevata sospettosità e isolamento sociale;
5. i sistemi di significato: le persone iniziano a pensare che la vita non abbia più senso e che non saranno mai in grado di apportare dei cambiamenti positivi alla propria vita, come se osservassero se stessi, gli altri e il mondo attraverso delle “lenti di colore nero”;
6. la somatizzazione: presenza di sintomi cronici a livello somatico (dolori addominali, nausea, vomito, mal di testa, ecc.) che non sono riconducibili a delle cause mediche, ma che sono il risultato di alterazioni neuro-biologiche causate dalle esperienze traumatiche (iper-attivazione del sistema nervoso centrale, eccessiva produzione delle catecolamine, bassi livelli di serotonina, ecc.) e che sembrano rappresentare una modalità inconsapevole per comunicare il dolore emotivo (che i sopravvissuti a eventi traumatici non riescono a esprimere con le parole, né a se stesse né agli altri).

Tutti questi sintomi rientrano nel costrutto diagnostico chiamato CPTSD/DESNOS (Disturbo Post Traumatico da Stress Complesso/Disturbo da Stress Estremo non Altrimenti Specificato, dalla denominazione inglese Complex Post-Traumatic Stress Disorder / Disorder of Extreme Stress Not Otherwise Specified). Alcuni studi (p.e., van der Kolk et al., 2005) hanno riscontrato che il 25-45% delle persone che avevano subìto un trauma e il 68% tra coloro che avevano subìto abusi sessuali mostravano sintomi di CPTSD/DESNOS. La spiegazione va ricercata nella natura del trauma.

I traumi, infatti, possono essere distinti in due macrocategorie:
– Traumi con la T maiuscola o “grandi” traumi corrispondenti a “esperienze traumatiche di natura estrema” che comprendono la percezione di pericolo al corpo, attacco al sé, che portano alla morte o minaccia all’integrità fisica propria o delle persone care;
– traumi con la t minuscola o “piccoli” traumi che corrispondono a “esperienze traumatiche non estreme” che implicano eventi di vita meno catastrofici, con una percezione intensa di pericolo ma non per questo meno traumatici se costanti e ripetitivi. Secondo Judith Herman (Emerson, 2015) il trauma che si verifica nel contesto delle relazioni e che si prolunga nel tempo, come nei casi di abusi sessuali infantili, rientra nel Trauma con la T maiuscola.
Le persone con storie di traumi interpersonali, eventi traumatici multipli e/o traumatica esposizione di lunga durata sono quelle che con maggiore probabilità presentano i sintomi di CPTSD/DESNOS (p.e., Jagodzinski, 2011).

 

Efficacia dello yoga come trattamento per il PTSD

È proprio partendo da queste premesse che van der Kolk e coll. (2014) hanno pubblicato i risultati di un trial controllato e randomizzato finalizzato a valutare l’efficacia dello yoga come trattamento per il PTSD, e i disturbi d’ansia.

Un campione di 64 donne con PTSD cronico, refrattario al trattamento (le partecipanti infatti si erano sottoposte ad almeno 3 anni di terapia finalizzata al trattamento del disturbo PTSD), è stato assegnato casualmente a due gruppi (gruppo di yoga vs. gruppo di educazione alla salute), ognuno dei quali prevedeva un incontro alla settimana per 10 settimane. Le ipotesi dei ricercatori erano che le donne traumatizzate, assegnate alla condizione yoga, avrebbero mostrato un miglioramento clinico significativo in termini di riduzione della sintomatologia PTSD al post-trattamento, come pure un incremento nelle capacità di regolazione emotiva. I risultati dello studio hanno rilevato che il 52% delle pazienti nel gruppo yoga, rispetto al 21% di quelle nel gruppo di controllo, non soddisfaceva più i criteri del DSM per il PTSD. Entrambi i gruppi di pazienti mostravano cambiamenti significativi nella sintomatologia post-traumatica durante la prima metà del trattamento, ma questi miglioramenti erano mantenuti solo nel gruppo yoga. La conclusione degli autori è che la pratica di yoga, focalizzandosi sul respiro e su esercizi fisici che combinano movimento, rilassamento muscolare e meditazione, possa aumentare la capacità di accettare e tollerare le esperienze fisiche e sensoriali associate alle emozioni, migliorandone la regolazione.

Lo scopo del trattamento delle memorie traumatiche è ricostituire l’interezza degli eventi vissuti, associandone le diverse componenti frammentate (emotiva, sensoriale, motoria, cinestesica, cognitiva) e permettendone l’integrazione nella narrazione autobiografica del paziente. Poiché le memorie traumatiche provocano emozioni soverchianti le capacità dell’individuo di farne fronte, è necessario che tale lavoro di integrazione sia preceduto da quello sulla regolazione delle emozioni.

Gli interventi mente-corpo, come la mindfulness e lo yoga, incoraggiano nel paziente una posizione da osservatore, finalizzata a mantenere l’attenzione su ciò che accade nel momento presente, senza giudizio, con apertura, accettazione e curiosità. Tali pratiche che stimolano la consapevolezza aumentano l’accettazione e la tolleranza di emozioni, migliorandone di fatto la regolazione emotiva. Secondo questi approcci la disregolazione emotiva, che abbiamo visto essere una caratteristica tipica dei pazienti traumatizzati, potrebbe essere proprio la conseguenza evoluzionistica dell’attivazione, anche in situazioni non pericolose, dell’esperienza sensomotoria vissuta al tempo del trauma. In questi casi le strutture corticali non hanno influenza su quelle sottocorticali come l’amigdala e l’organismo non permette una regolazione top-down. Inoltre, l’orientamento verso l’esperienza del qui e ora stimola proprio la presentificazione (Janet, 1928), vale a dire l’azione mentale di essere saldamente radicati nel presente, integrando il proprio passato, presente e futuro. Il lavoro clinico con questa tipologia di pazienti non può dunque prescindere dal prendere in considerazione la dimensione del corpo, soprattutto per ciò che concerne le connessioni con gli effetti dei traumi.

Per i motivi sopra citati si potrebbe pensare di poter inserire all’interno del percorso riabilitativo delle pazienti affette da disturbo da alimentazione incontrollata una sessione di 10 incontri di yoga al fine di aumentare e migliorare il già efficace trattamento CBT.

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