Oggettivazione sessuale: Il termine “oggettivazione” è un concetto che non ha ancora una definizione unanimemente condivisa. La maggior parte degli studiosi di tale fenomeno, però, concorda nel ritenere che con “oggettivazione” si intenda il trattare una persona come uno strumento privo di autonomia e soggettività.
Luisa Bono, Elena Villa, OPEN SCHOOL STUDI COGNITIVI MILANO
Che cos’è l’oggettivazione: le teorie
Già nel 1797, il filosofo Kant ne aveva fatto materiale di pensiero. Secondo le sue riflessioni l’oggettivazione implica il trattare una persona come un oggetto, riducendo l’individuo a uno stato di mero strumento. Il filosofo metteva in evidenza come questo particolare comportamento offenda l’umanità e la dignità di una persona, ovvero ciò che ci definisce e ci distingue dagli animali e dagli oggetti.
MacKinnon (1988), prendendo spunto dalla teoria kantiana, sottolinea l’aspetto depersonalizzante dell’oggettivazione, che porta a non considerare la persona nella sua identità e soggettività, ma la riduce a semplici parti del corpo. Kant e MacKinnon sono in accordo sui danni e sullo svilimento che l’individuo oggettivato può provare: l’oggettivazione può compromettere il modo in cui l’individuo considera e costruisce se stesso.
Qualche anno più tardi, Nussbaum (1995), rivisitando il costrutto di oggettivazione, definisce due differenti tipologie di oggettivazione: una “positiva” che avviene nel caso in cui una persona è sì vista e trattata come un oggetto, ma in modo tale per cui non ne venga negato l’aspetto umano (l’autrice riporta come esempio il fatto che in una relazione amorosa, benché ci sia rispetto reciproco tra le due parti, possa esistere un comportamento di oggettivazione nel momento in cui l’individuo “oggettivante” sfrutta il proprio partner allo scopo di raggiungere il piacere sessuale) e un’oggettivazione “negativa” che avviene nel caso in cui venga deliberatamente sminuito l’aspetto umano.
Più recentemente, Papadaki (2010) approfondisce le sfumature e i differenti gradi di danno dell’oggettivazione qualora sia presente o assente intenzionalità da parte di chi la mette in atto. Soffermandosi quindi proprio sul fatto che l’oggettivazione possa non essere intenzionale, mette in guardia sull’importanza di educare le persone a prestare attenzione ai comportamenti oggettivanti, in modo tale da poterli riconoscere e quindi evitare.
L’oggettivazione sessuale e l’auto-oggettivazione
Una particolare forma di oggettivazione dell’individuo è l’oggettivazione sessuale: “il valore di una persona è confinato alla sua capacità di attrazione sessuale, a esclusione di altre caratteristiche” (Volpato, 2011, p. 108). L’oggettivazione sessuale, definita anche come sessualizzazione (Volpato, 2011) indica una valutazione della persona esclusivamente basata sulla sua funzione sessuale, che considera solo alcune parti del corpo (quelle erotiche) di un individuo che non viene più visto nella sua interezza. L’oggettivazione sessuale avviene quando delle componenti sessuali o funzioni di una donna sono considerate separate dalla sua persona, riducendole a stato di meri strumenti, o qualcosa di altro come se potessero essere una rappresentazione di lei. In questo modo è come se si considerasse una persona intera identificandola con il suo corpo (Bartky, 1990).
L’oggettivazione sessuale ha come possibile conseguenza l’auto-oggettivazione, il considerarsi o trattarsi come un oggetto sessuale (Moradi & Huang, 2008): la persona interiorizza una visione di sé come un oggetto che ha lo scopo di soddisfare il piacere altrui. Questo fenomeno ha una serie di esiti negativi: prima di tutto una crescita di emozioni negative, soprattutto legate al proprio corpo, che non si considera all’altezza degli standard culturali imposti, ansia e depressione. Vi può essere inoltre una diminuzione dell’attenzione e della concentrazione nel momento in cui ci si impegna in un’attività mentale o fisica, proprio perché le energie psicofisiche sono impegnate nel controllo del proprio aspetto. Infine, soprattutto nelle donne, l’ auto-oggettivazione porta ad avere una minore consapevolezza dei propri stati psichici interni e delle sensazioni fisiche (Volpato, 2011) associato a Disturbi della sfera alimentare.
Fredrickson e Roberts (1997) proposero la teoria dell’ oggettivazione sessuale per spiegare le conseguenze che l’ oggettivazione sessuale poteva avere, soprattutto sulle donne. In particolare gli autori affermano che le esperienze di oggettivazione sessuale a cui le donne sono sottoposte promuovono una forte auto-oggettivazione, e che la società fin dal passato ha rinforzato il ruolo subordinato della donna e l’ha spinta a credere che un atteggiamento subordinato al mondo maschile e la bellezza esteriore siano l’unico mezzo di affermazione e di acquisizione di potere per il genere femminile.
Più recentemente, alcuni autori (Roberts & Gettman, 2004) hanno ulteriormente sviluppato questa teoria dimostrando che una delle conseguenze dirette dell’oggettivazione sessuale femminile è rappresentato dal fatto che le donne, facendo proprio il punto di vista dell’ osservatore (un punto di vista maschile), sacrificano la propria identità soggettiva e si preoccupano sempre di più di curare il loro aspetto fisico. Come conseguenza, tentano sempre più di adattare il proprio corpo a canoni estetici e modelli difficilmente raggiungibili, che poco rappresentano il genere femminile nella realtà.
Il malcontento nei confronti di una mancata aderenza a questi canoni ‒ imposti dalla società, dai mass media e dal sesso opposto ‒ genera numerose conseguenze negative: ansia e frustrazione nei confronti di un corpo “imperfetto” e una soppressione o interferenza con i propri stati interni. L’essere continuatamente messe a confronto con dei modelli di bellezza irraggiungibili genera nelle donne sentimenti di ansia e vergogna per il proprio corpo. Le donne cercano quindi di ritirarsi dallo sguardo altrui e si richiudono in uno stato di confusione (Botta, 2003).
L’oggettivazione sessuale correlata ai Disturbi Alimentari
Diversi strumenti sono stati sviluppati al fine di indagare lo stretto legame tra oggettivazione sessuale, auto-oggettivazione, sentimenti di vergogna e disordini alimentari, ‒ Self-Objectification Questionnaire (Noll & Fredrickson, 1998); Objectified Body Counsciousness Scale (McKinley & Hyde, 1996); Interpersonal Sexual Objectification Scale (Kozee et al. 2007). I risultati delle ricerche che li hanno utilizzati hanno mostrato come la vergogna per il proprio corpo costituisca un importante fattore nella relazione tra auto-oggettivazione e disturbi alimentari (Breines, Crocker & Garcia, 2008; Szymanski & Henning, 2007; Tiggerman & Kuring, 2004).
In un famoso esperimento, Fredrickson e colleghe (1998) hanno studiato il legame presente tra auto-aggettivazione, attenzione all’aspetto fisico e vergogna per il proprio corpo attraverso il paradigma del “costume da bagno”, un esperimento che ha coinvolto 72 studentesse. Queste venivano assegnate casualmente a una tra due condizioni: nella condizione sperimentale le ragazze erano invitate a provare un costume da bagno davanti a uno specchio a figura intera (condizione definita dalle autrici come “auto-oggettivante”); nella condizione di controllo dovevano invece provare un maglione. A seguire veniva loro somministrato un questionario per indagare i sentimenti associati all’esposizione del proprio corpo e le tematiche inerenti ai comportamenti alimentari assunti; venivano infine offerti biscotti e bevande al cioccolato. I risultati mostrarono che il gruppo sperimentale focalizzava in misura maggiore l’attenzione sul proprio corpo, esibiva livelli più bassi di autostima e più alti livelli di vergogna per il proprio aspetto e consumava in misura minore i cibi ultra calorici proposti.
In aggiunta, le autrici sottolineano che anche molto tempo dopo la situazione sperimentale di auto-oggettivazione, i partecipanti continuavano a formulare pensieri (e una distorta percezione di sé) collegati al proprio aspetto fisico, testimoniando quindi che gli effetti di questo processo sono duraturi in quanto permangono anche dopo che la prova si è conclusa.
Il Ministero della Salute indica come, anche in Italia, si assista a un incremento di nuovi casi di disordini alimentari soprattutto nel genere femminile nella fascia tra i 12 e i 25 anni.
L’ incidenza dell’ anoressia nervosa si aggira intorno allo 0.2-0.8%, mentre quello della bulimia nervosa intorno al 3%. Anche i Disturbi Alimentari Non Altrimenti Specificati (DCA-NAS) sono in aumento: i valori di incidenza si aggirano tra il 3,7 e il 6,4% con un’ età di esordio tra i 10 e i 30 anni. Questi comportamenti, segnala il Ministero della Salute, sono, quasi nello loro totalità, correlati ad altri disturbi psichiatrici: è infatti in aumento la comorbidità con depressione e disturbo ossessivo–compulsivo.
Gli standard culturali e gli stereotipi della società sono per la maggior parte condizionati dai mass media (tv, internet, riviste). Botta (2003), in merito all’influenza dei mass media correlati all’ oggettivazione sessuale e ai disturbi della sfera alimentare, costruisce un esperimento volto ad analizzare la correlazione tra lettura di riviste e disturbi alimentari e l’insoddisfazione nei confronti del proprio corpo. Lo studio, compiuto su un gruppo di adolescenti americani, mostra che per le femmine la lettura di riviste di moda possa spingere a desiderare un corpo ancora più sottile, attraverso comportamenti patologici di anoressia e bulimia.
Anche nello studio di Stanfort e Maccabe (2002) emerge una vasta insoddisfazione per il proprio corpo considerato non nel suo intero, ma nelle sue componenti e i risultati mostrano che la maggior parte del campione femminile indica che vorrebbe la parte inferiore del proprio corpo maggiormente (o eccessivamente?) magra.
L’oggettivazione sessuale correlata ai Disturbi d’Ansia e alla Depressione
La sessualizzazione della popolazione femminile mostra, inoltre, una correlazione con i disturbi quali bassa stima di sé, sentimenti negativi e depressione. L’ “Osservatorio Nazionale Salute Donna” evidenzia infatti che in Italia la patologia depressiva si manifesta principalmente tra i 14 e i 44 anni, colpendo soprattutto il sesso femminile, in rapporto 2:1 con il sesso maschile. Tolman e colleghi (2006) hanno suggerito l’ipotesi secondo cui l’interiorizzazione dei moderni ideali di magrezza e di femminilità può portare a non sentirsi adatta ai canoni imposti, contribuendo a generare, nella popolazione più vulnerabile, un umore sempre più deflesso, causando nelle ragazze la soppressione di una più autentica idea del proprio corpo sostituita da un’immagine non autentica.
In uno studio longitudinale, Stice e colleghi (Stice, Spangler, & Agras, 2000) hanno mostrato come l’interiorizzazione di un ideale di estrema magrezza e l’insoddisfazione per il corpo associata a diete e sintomi bulimici, rendessero le donne maggiormente vulnerabili e successivamente vittime di depressione. Altri studi hanno portato alle medesime conclusioni, come, per esempio lo studio di Hawkins, Richards, Granley e Stein (2004) che riportano una situazione sperimentale in cui mostravano ad alcune giovani adolescenti 40 fotografie delle riviste Cosmopolitan, Vogue e Glamour. Gli autori hanno diviso le partecipanti in due gruppi: al gruppo sperimentale venivano mostrate solo foto contenenti immagini di modelle, mentre al gruppo di controllo venivano presentate immagini di donne di tutti i giorni, o altre fotografie connotate dagli sperimentatori come “neutre”.
Gli autori hanno indagato nello specifico alcune variabili tra cui autostima, soddisfazione per il proprio corpo e confronto sociale, valutati attraverso la Rosenberg Self-Esteem Scale (SES), la Body-Esteem Scale (BES) e la Sociocultural Attitudes Towards Appearance Questionnaire (SATAQ). I risultati hanno evidenziato ancora una volta che le ragazze esposte ai modelli idealizzati di magrezza mostravano, oltre ad una vulnerabilità a breve termine di comportamenti alimentari patologici, anche sentimenti di depressione e minore considerazione di sé, rispetto al gruppo di controllo. Dallo studio è infatti emersa una forte correlazione tra i punteggi ottenuti in relazione a “bassa stima di sé” e “confronto sociale” e un maggior numero di sintomi ansiosi e depressivi nei confronti del proprio corpo dopo la condizione sperimentale.
L’ oggettivazione sessuale inoltre conduce, a partire dall’ adolescenza, ad avere complicazioni nella sfera delle relazioni e della sessualità: un esperimento di Tolman e colleghi (Tolman, Impett, Tracy & Michael, 2006) rileva come le ragazze con una prospettiva del proprio corpo oggettivata mostrino una minore attenzione alle precauzioni e minori attenzioni nell’ambito della salute sessuale. Anche altri studi in merito a questo argomento (Ward, 2002; Durham, 1998) mostrano che la frequente esposizione a specifici standard di bellezza può alterare le aspettative che le ragazze si creano nei riguardi delle esperienze sessuali, portando ansia, insoddisfazione e frustrazione.
Secondo Wiederman (2001), una ragazza che mostra insoddisfazione per un corpo che percepisce distante dagli standard imposti dai media può rimanere vincolata solo al giudizio del partner, limitando i suoi desideri, la sua sicurezza e il suo piacere.
Lo stesso concetto è stato rinforzato anche da altri autori, come ad esempio Roberts e Gettman (2004). Gli autori enfatizzano come la percezione distorta del proprio corpo, nel caso di ragazze sessualizzate e oggettivate, conduca a un minore apprezzamento e riconoscimento dei propri sentimenti e piaceri nella sfera della sessualità.
L’insoddisfazione nei confronti del proprio corpo sta prendendo piede anche nel delicato mondo della chirurgia estetica. In Italia c’è una grandissima diffusione di interventi estetici per le donne; basti pensare che il 70% degli interventi chirurgici per l’impianto di protesi effettuati nel nostro paese è legato a ragioni di tipo estetico.
Conclusioni
I mass media giocano un ruolo fondamentale nella diffusione degli standard culturali stereotipici della nostra società; sono il mezzo attraverso cui vengono proposti modelli da seguire e perseguire e per cui ogni differenza rispetto al canone viene considerata intollerabile. Le donne vengono rappresentate come sempre giovani, belle, truccate, sono “volti ricondotti a maschere della chirurgia estetica. Corpi gonfiati a dismisura come fenomeni da baraccone di un circo perenne che ci rimandano un’idea di donna contraffatta, irreale” (Zanardo, 2010, pag. 191). Parallelamente, i media esaltano l’aspetto di virilizzazione dell’uomo e la sottomissione della donna in favore dei suoi desideri.
Affinché sia contrastato il fenomeno dell’ oggettivazione sessuale della donna, sarebbe auspicabile un intervento preventivo rivolto ai bambini e agli adolescenti volto ad aumentare la consapevolezza del potere che i media assumono nel diffondere una cultura erotizzante e nel promuovere stereotipi di genere (Bargh, Chen e Burrows (1996)): è necessario far comprendere l’importanza di assumere un comportamento che non sia di passiva ricezione sviluppando una maggior criticità nel codificare i messaggi proposti dai mass media.
A questo si aggiunge l’importanza attribuita ad un training all’autostima, alle life skills considerati fattori protettivi per promuovere, in primis il benessere dei bambini e quindi dei futuri adulti, che saranno in grado di contrastare i fenomeni di influenza sociale di cui l’oggettivazione sessuale fa parte (APA, 2010).
I genitori e la famiglia in generale hanno un primo e importante ruolo nell’aiutare i figli a interpretare i messaggi a cui sono sottoposti e a proteggerli da una precoce oggettivazione sessuale (APA, 2010). Questo vale soprattutto quando i bambini sono molto piccoli e quindi più vulnerabili e bisognosi di maggior protezione e sostegno da parte degli adulti.
Fred Kaeser (2011) invita i genitori a guidare e, se necessario, fare chiarezza e sostenere i bambini che sono esposti ai numerosi quotidiani messaggi oggettivanti. L’autore suggerisce di parlare onestamente ai propri figli del mondo ipersessualizzato presente intorno a loro, di aiutarli a creare un senso critico mostrando quali possano essere gli effetti negativi, in modo tale che agiscano consapevolmente, consci delle conseguenze positive e negative che possono avere le loro scelte.
Alcuni studi si sono occupati di stabilire quali possano essere le caratteristiche individuali che rendono le donne maggiormente sensibili all’ oggettivazione sessuale, in particolare lo studio di Posavac, Posavac e Posavac (1998, 2002) e lo studio di Volpato (2011) hanno messo in evidenza quanto le variabili individuali possano mitigare gli effetti di un’ oggettivazione sessuale: in particolare gli autori hanno suggerito che i media non mostrano un evidente effetto nelle donne che presentano un’ elevata autostima e che quindi non considerano il proprio corpo così distante dai canoni imposti dai mass media e dai modelli da loro proposti e nelle donne che hanno un adeguato livello di autostima, ma che si dimostrano disinteressate dalla componente fisica considerando di maggior importanza le proprie competenze e abilità intellettive.