La letteratura ha cercato in questi anni di definire la relazione presente tra alessitimia, disregolazione emotiva, impulsività e aggressività, con risultati che evidenziano la necessità di approfondire tale legame. La disregolazione emotiva predice agiti aggressivi negli autori di reato e nei pazienti con Disturbo Borderline di Personalità e media la relazione presente tra trauma subito e aggressività con o senza premeditazione. Per quanto riguarda l’alessitimia, gli studi hanno verificato la presenza di alti livelli di tale tratto in campioni di sex offender. Alti livelli di alessitimia predicono agiti aggressivi in un campione di veterani e mediano la relazione tra insicurezze nell’attaccamento e comportamenti violenti tra gli adolescenti.
Alessia Offredi, OPEN SCHOOL STUDI COGNITIVI MODENA
L’aggressività
L’aggressività umana è una forma naturale e funzionale di azione volta a fronteggiare le avversità della vita quotidiana (Bushman & Anderson, 2001, Fonagy, 2003). Bandura (1983) fu uno dei primi autori a concettualizzare il costrutto dell’aggressività, attraverso la teoria dell’apprendimento sociale: egli afferma che l’individuo può apprendere il comportamento aggressivo subendolo o osservandolo in un ambiente in cui l’aggressività viene approvata.
Berkowitz (1993) amplia tale concetto analizzandone le componenti cognitive; l’autore ipotizza un modello a più livelli, in cui inizialmente all’evento che provoca rabbia il soggetto risponde con due possibili reazioni, flight or fight (fuga o attacco). Successivamente, ulteriori processi cognitivi intervengono allo scopo di attribuire significato all’evento e considerare le possibili conseguenze, determinando il comportamento effettivamente messo in atto dal soggetto. Kassinove e Tafrate (2002) ipotizzano che gli agiti aggressivi siano necessari a esprimere la rabbia: il soggetto che agisce in modo violento ottiene nell’immediato un rinforzo positivo, ad esempio il raggiungimento di un obiettivo in situazioni interpersonali.
Fonagy (2003) afferma che ciò che verosimilmente provoca reazioni distruttive e disfunzionali è il fallimento delle capacità di canalizzare e regolare l’aggressività. Comportamenti aggressivi non regolati possono tradursi in problemi cronici di gestione della rabbia, violenza sessuale, frequenti scoppi d’ira, o altro: per questo motivo diventa fondamentale individuare gli antecedenti di tali comportamenti, al fine di sviluppare strumenti di prevenzione.
La letteratura ha cercato già da tempo di identificare quali fossero i fattori predisponenti per forme maladattive di aggressività e si riscontra un certo accordo nell’evidenziare come tratti nucleari l’alessitimia, la disregolazione emotiva e l’impulsività (Loas et al., 2015; Nemiah and Sifneos, 1970; Taylor et al., 1997).
L’alessitimia
L’alessitimia viene definita come un disturbo della regolazione emotiva, caratterizzato da una difficoltà a identificare e descrivere le proprie emozioni, un’ideazione impoverita e uno stile di pensiero orientato all’esterno (Taylor et al., 1997). Senza un’adeguata comprensione dei propri sentimenti, la persona alessitimica rischia di non avere sufficienti risorse per comprendere la vera natura dello stato d’animo del momento e ciò che l’ha provocato: il rischio è quello di reagire negativamente a un’emozione indesiderata, creando conflitti tra sé e gli altri. L’alessitimia è stata correlata a ansia, depressione, abuso di sostanze, ed è risultata significativa nella patogenesi di disturbi psicosomatici (Honkalampeti al., 2001; De Rick and Vanheule, 2007; Kojima, 2012). Dal punto di vista concettuale, l’alessitimia può essere identificata come condizione di stato, quindi una condizione transitoria, che può essere correlata a fattori contestuali specifici, o di tratto, caratterizzanti l’individuo.
Alessitimia e disregolazione emotiva
Jenkins e colleghi (2014) affermano che proprio una scarsa consapevolezza delle proprie emozioni potrebbe essere alla base del tratto di disregolazione emotiva, ritenuto a sua volta responsabile di condotte maladattive volte a moderare la sofferenza soggettiva, quali i gesti autolesivi (Linehan, 1993).
Gratz e Roemer (2004) analizzano le diverse sfaccettature del costrutto di regolazione emotiva, delineando diverse componenti: (1) consapevolezza e comprensione delle emozioni, (2) accettazione delle emozioni, (3) capacità di controllare le emozioni negative e di agire in base ai propri obiettivi anche quando vengono provate emozioni negative, (4) capacità di utilizzare strategie di regolazione emotiva flessibili e adatte al contesto. Sebbene il concetto di disregolazione emotiva sia storicamente legato alle ricerche sul Disturbo Borderline di Personalità, ad oggi la letteratura considera i deficit nella gestione delle emozioni come fattore influente in differenti campi della psicopatologia, come ad esempio i disturbi dell’umore (Garnefski and Kraaij, 2006; Garnefski et al., 2001, 2005).
L’impulsività, la disregolazione emotiva e l’aggressività
Così come la mancanza di abilità di riconoscimento e riflessione sulle proprie emozioni, anche l’impulsività è riconosciuta come uno degli antecedenti dell’aggressività (Bousardt et al., 2015). Di fronte a una potenziale minaccia, l’individuo con un forte tratto di impulsività sembra non avere le risorse cognitive necessarie a valutare adeguatamente l’evento e identificare la risposta più adeguata. Al contrario, vi è un’alta probabilità che vengano messi in atto comportamenti aggressivi volti a proteggersi o a evitare il dolore.
Moeller e colleghi (2001) affermano che una definizione completa di impulsività dovrebbe considerare (1) la mancanza di considerazione verso le conseguenze negative del comportamento impulsivo, (2) una reazione rapida e non pianificata agli stimoli, prima di aver concluso un adeguato processo di raccolta di informazioni, e (3) la mancanza di considerazione per le implicazioni a lungo termine. Impulsività e disregolazione emotiva vengono talvolta sovrapposte o considerate l’una un’espressione dell’altra. Occorre tuttavia sottolineare che c’è una distinzione e non si tratta di concetti totalmente sovrapponibili: la disregolazione emotiva comprende difficoltà non totalmente afferenti all’area dell’impulsività. Allo stesso modo, l’impulsività non riguarda solo la reazione alle emozioni: lo strumento più diffuso per valutare il grado di impulsività, ad esempio, divide il costrutto in impulsività attentiva, motoria e da non pianificazione, sottolineando quindi la componente cognitiva di questo tratto.
Relazione tra alessitimia, disregolazione emotiva, impulsività e aggressività
La letteratura ha cercato in questi anni di definire la relazione presente tra alessitimia, disregolazione emotiva, impulsività e aggressività, con risultati che evidenziano la necessità di approfondire tale legame. La disregolazione emotiva predice agiti aggressivi negli autori di reato (Garofalo et al., 2016; Roberton et al., 2014) e nei pazienti con Disturbo Borderline di Personalità (Scott et al., 2014) e media la relazione presente tra trauma subito e aggressività con o senza premeditazione. Per quanto riguarda l’alessitimia, gli studi hanno verificato la presenza di alti livelli di tale tratto in campioni di sex offender (Moriarty et al., 2001). Alti livelli di alessitimia predicono agiti aggressivi in un campione di veterani (Teten et al., 2008) e mediano la relazione tra insicurezze nell’attaccamento e comportamenti violenti tra gli adolescenti (Fossati et al., 2009).
Nello studio presentato, gli autori cercano di formulare un modello esplicativo che unisca i tratti analizzati separatamente in letteratura e ne verificano la validità su campione clinico e non clinico. Nel descrivere i risultati attesi, i ricercatori ipotizzano (1) la presenza di maggiori tratti di impulsività, alessitimia, disregolazione emotiva e aggressività nel campione clinico, (2) una correlazione tra i costrutti indagati in entrambi i campioni e (3) l’effetto di mediazione di disregolazione emotiva e impulsività sulla relazione tra alessitimia e aggressività.
Lo studio di Velotti e colleghi (2016) ha coinvolto un campione non clinico di 617 soggetti e un campione clinico di 257 pazienti in regime di ricovero successivo a una riacutizzazione della sintomatologia. Tra i pazienti, le diagnosi più comuni erano psicosi o schizofrenia (36.3%), depressione (20.9%), disturbi di personalità (13.4%). Ai soggetti sono stati somministrati questionari self report volti a indagare le variabili considerate.
– Toronto Alexithymia Scale (Bagby et al., 1994) – composto da 20 item, indaga l’alessitimia attraverso tre dimensioni: difficoltà a identificare le emozioni, difficoltà a descrivere le emozioni, pensiero orientato all’esterno.
– Difficulties in Emotion Regulation Scale (Gratz and Roemer, 2004) – analizza la presenza di difficoltà nella regolazione emotiva indagando tendenza a non accettare le risposte emotive, mancanza di consapevolezza e mancanza di conoscenza delle emozioni, mancanza di chiarezza emotiva, capacità di adottare strategie efficaci di controllo emotivo, capacità di perseguire i propri obiettivi quando si è a disagio, capacità di inibire comportamenti impulsivi.
– Barratt Impulsiveness Scale – 11 (Patton et al., 1995) – strumento utilizzato nella misurazione dell’impulsività, indaga tre aspetti del costrutto: impulsività motoria, attentiva e assenza di pianificazione.
– Aggression Questionnaire (Buss & Perry, 1992) – composto da 29 item, indaga la tendenza a reagire in modo aggressivo; si divide in quattro ambiti, aggressività fisica, verbale, ostilità e rabbia.
– Brief Symptom Inventory – sottoscala Depressione (Derogatis, 1975) – il Brief Symptom Inventory è una forma ridotta del più famoso Symptom Checklist–90-R. La sottoscala depressione indaga attraverso 6 item la presenza e la frequenza di sintomi depressivi nell’ultimo mese.
L’analisi dei dati ha confermato la prima ipotesi dei ricercatori, ovvero la presenza di valori significativamente maggiori nella popolazione clinica. Tale dato indica la presenza di maggiori difficoltà nel riconoscere e regolare le proprie emozioni, così una maggior tendenza a agire in modo impulsivo e aggressivo. Tutte queste variabili sono risultate nei due campioni correlate tra loro, risultato che ha suggerito la presenza di sovrapposizione tra i costrutti e la necessità di indagini più specifiche. Gli autori hanno quindi cercato di capire il peso delle variabili impulsività e disregolazione emotiva sul rapporto tra alessitimia e aggressività. Nel campione non clinico, l’alessitimia influiva significativamente sull’aggressività, ma il suo peso diminuiva quando venivano introdotti nel modello impulsività e disregolazione, che risultavano mediatori significativi di tale relazione.
Lo stesso modello è stato verificato all’interno del campione clinico, con la sola differenza per cui la disregolazione emotiva è risultato unico mediatore significativo del rapporto: anche l’impulsività interviene nel rapporto tra alessitimia e aggressività, ma non ha un ruolo di mediatore se considerata singolarmente. Gli effetti dei mediatori sono risultati piuttosto rilevanti: disregolazione emotiva e impulsività spiegano la maggior parte dell’impatto dell’alessitimia sull’aggressività in entrambi i campioni. Controllando tale modello per i sintomi depressivi raccolti, si nota che anche nel campione non clinico l’impulsività perde significatività, lasciando la disregolazione emotiva come unico mediatore del rapporto tra alessitimia e aggressività.
Infine, Velotti e collaboratori hanno ripetuto le analisi considerando le singole sottoscale degli strumenti utilizzati. Nella popolazione non clinica, emergevano come mediatori significativi la capacità di inibire comportamenti impulsivi, l’impulsività motoria e l’impulsività attentiva. Tra i pazienti i mediatori rilevanti sono risultati capacità di inibire comportamenti impulsivi e impulsività motoria.
I risultati ottenuti sono in linea con la letteratura precedente, evidenziando il ruolo dell’alessitimia sul comportamento aggressivo, ma specificano le variabili in gioco in maniera dettagliata. Nonostante non vengano analizzati rapporti di causalità tra le variabili analizzate, è possibile suggerire che persone con difficoltà a riconoscere e nominare le proprie emozioni potrebbero provare, in condizioni di stress, un’attivazione emotiva difficile da gestire. L’alessitimia potrebbe determinare la mancanza di risorse cognitive e affettive necessarie a regolare l’arousal e inibire agiti aggressivi.
I ricercatori ipotizzano per il futuro un ampliamento del campione clinico così da indagare eventuali variazioni nel modello all’interno di differenti categorie diagnostiche. In particolare, un riferimento specifico viene fatto alla popolazione con Disturbo Borderline della Personalità, in cui una buona parte della sofferenza psicologica viene attribuita alla presenza di difficoltà nella regolazione emotiva, provocando il ricorso a strategie di coping maladattive (Linehan, 1993).
Tra i limiti della ricerca vengono citati l’assenza di controllo sulla diagnosi della popolazione clinica (formulata dai singoli professionisti di riferimento dei pazienti) e l’utilizzo di questionari self report. Nel tentativo di offrire un modello esaustivo sugli antecedenti del comportamento aggressivo occorrerebbe inoltre considerare altri aspetti, come l’assenza di empatia o la tendenza a un atteggiamento manipolatorio e pianificare un disegno longitudinale in grado di cogliere nessi causali. Inoltre, nel lavoro esposto non sembrano essere considerati altri elementi, come psicopatia e rabbia di tratto, evidenziati come significativi nel determinare agiti violenti verso sé e gli altri (Swogger, M.T., et al. 2011).
I dati raccolti suggeriscono la promozione di un intervento centrato sull’aumento della consapevolezza emotiva e sulla regolazione emotiva e comportamentale, per contrastare possibili agiti aggressivi. Le difficoltà legate all’alessitimia e a possibili comportamenti aggressivi sono spesso trasversali alle diagnosi del DSM-5, tuttavia si potrebbero identificare alcune categorie diagnostiche in cui questi elementi sono maggiormente presenti, al fine di definire le possibili implicazioni cliniche dello studio. L’instabilità emotiva, ad esempio, è un criterio cardine per il Disturbo Borderline, insieme a una precaria immagine di sé, relazioni sociali insicure, aggressività e autolesionismo.
Uno studio del 2012 ha sottolineato che, nei differenti disturbi di personalità, soggetti con Disturbo Borderline tendono a gestire un altro sentimento negativo, la vergogna, proprio attraverso differenti forme di aggressività: verbale, passiva – razionalizzata, fisica e relazionale (Schoenleber, M. & Berenbaum, H., 2012). Le stesse categorie vengono utilizzate da pazienti con Disturbo Antisociale di Personalità, comunemente caratterizzato da violenza e fonte di un forte allarme sociale.
Uno studio del 2009 ha indagato inoltre i correlati emotivi, cognitivi e fisiologici emergenti, in seguito all’induzione di rabbia, in un gruppo di pazienti con Disturbo Antisociale di Personalità. L’obiettivo della ricerca era verificare se ci fossero differenze tra questi e pazienti con altre patologie o soggetti sani. I risultati hanno dimostrato che nel campione di pazienti antisociali si registra una maggior attivazione dal punto di vista cognitivo e fisiologico, che i ricercatori hanno interpretato come un arcaico meccanismo di preparazione alla lotta (Lobbestael, Arntz, Cima & Chakhssi, 2009). Entrambe le categorie diagnostiche considerate risulterebbero quindi eleggibili nei confronti di un trattamento che pone l’accento sulla capacità di riconoscere e definire le proprie emozioni, per poterle regolare e trovare alternative agli agiti aggressivi.