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Credulità e paranoia nel Bel Paese: gli italiani sono più creduloni o complottisti?

Credulità e paranoia obbediscono entrambe al bisogno della mente di dare spiegazione al mondo e agli eventi. Ma gli italiani sono più paranoici o creduloni?

Di Giovanni Maria Ruggiero

Pubblicato il 05 Feb. 2016

Questo articolo è stato pubblicato da Giovanni Maria Ruggiero su Linkiesta il 16/01/2016

Gli italiani sono creduloni? Gli Italiani davvero credono a tutto? Oppure no? Oppure Italiani che diffidano di tutto e non credono in nulla. Italiani paranoici?

Gli italiani sono creduloni? Possibile, pensando al metodo Di Bella o ai mille maghi, agli omeopati, ai vaccini, al gioco d’azzardo, alle bufale da social network e a molto altro. Gli Italiani davvero credono a tutto? Oppure no? Oppure Italiani che diffidano di tutto, non credono in nulla e vedono complotti dietro qualunque evento inspiegato. Italiani paranoici? Ci torneremo. Per ora riflettiamo su credulità e paranoia.

Credulità e paranoia sono gemelle separate. Entrambe obbediscono al bisogno della mente umana di dare spiegazione al mondo e agli eventi e in essa trovare una direzione e una consolazione. Potremmo considerarle figlie di un istinto irrazionale, di un’immaturità emotiva, e invece sono generate dalla funzione più evoluta e raffinata della mente, quella capacità di simbolizzare, di trovare significati e costruire modelli, teorie e racconti. Il pensiero nasce come pratica di atti linguistici semplici, come l’indicare qualcosa a portata di mano o di vista -una preda, un antilope che corre- e poi diventa teoria quando si indica qualcosa di assente –una preda da cercare lontano dal villaggio- qualcosa che è oltre la portata degli occhi e che quindi immaginato e comunicato.

E quindi i suoni e i gesti di incitamento e di indicazione della preda caccia diventano, se pronunciati nella calma della sera del villaggio, una comunicazione: domani si va a caccia. Questa capacità linguistica e mentale di costruire mondi assenti sviluppa nei popoli primitivi –ma no solo- la cosiddetta ‘paranoia costruttiva‘. Così ha chiamato questa funzione inquietante e proficua Jared Diamond, figura affascinante di scienziato a cavallo tra biologia e antropologia.

La paranoia costruttiva è la capacità di dare un significato a eventi apparentemente insignificanti e futili, spiegazioni ora superstiziose e ora invece misteriosamente razionali. Non dormire sotto un albero di notte può sembrare un atto magico e rituale non dissimile dall’evitare un gatto nero e tale sembrò al giovane Diamond in uno dei suoi primi viaggi tra popolazioni di cacciatori. Eppure, dopo mesi passati nella foresta pluviale della Guinea, un atto razionalmente prudente: ogni giorno Diamond sentiva lo schianto di un albero che crollava provenire dal profondo della foresta. Quindi non dormire sotto gli alberi non era solo superstizione: L’evento non era così improbabile.

Questa paranoia però si unisce a una credulità altrettanto magica e paradossalmente costruttiva, come la paranoia. Diffidare porta a cercare spiegazioni alternative e nascoste. E porta a credere a queste spiegazioni nascoste e a crederle con intensità, fino alla credulità. Di qui mille credenze mitologiche e magiche così diffuse tra i primitivi.

Paranoia e credulità costruttiva per i popoli primitivi, dunque. E gli Italiani? Creduli e paranoici anch’essi, dicevamo. Tra gli esempi citati, infatti, c’è il caso dei vaccini, in cui paranoia e credulità s’intersecano inestricabili. Prevale la diffidenza verso i vaccini o la credulità della bufala della loro pericolosità? Certo, permane negli italiani una diffidenza verso ciò che non è visibile, una passione per ciò che è nascosto e inspiegato, unita a una percezione di vulnerabilità che ci apparenta ai popoli primitivi soggetti a mille pericoli e che ci allontana dalla modernità potente, fiduciosa, che da peso solo al certo e non al possibile e al dettaglio significativo. È dubbio però che questa credula diffidenza sia davvero frutto di un’emotività irriflessiva. Al contrario, trovare spiegazioni e pericoli dietro ogni dettaglio è proprio un frutto delle capacità riflessive spiegate al massimo grado.

Non a caso la modernità si accompagna a un particolare uso economico, prudente e pragmatico delle capacità riflessive superiori. Economia che si accentua man mano che ci inoltriamo in questa modernità. La razionalità pragmatica contemporanea è sempre più caratterizzata da un uso parsimonioso delle risorse intellettuali. Si cercano spiegazioni semplici, si obbedisce al rasoio di Occam, ci si fonde con pratiche orientali di economizzazione del pensiero speculativo, si diventa sempre più pragmatici, si diffida delle grandi spiegazioni, delle grandi paranoie e delle grandi credulità del passato. Le pratiche di meditazione di provenienza orientale, lungi dall’essere un potenziamento del pensiero, piuttosto lo recintano e lo delimitano, ne ridimensionano la potenza, trovando forza proprio nel pensare di meno. È la cosiddetta mindfulness, di cui si parla sempre più spesso in psicologia.

La vita sociale diventa fattiva anche nel tempo libero, si parla solo di ciò che c’è da fare insieme, o anche di cose c’è di divertente da fare insieme, mentre ci si astiene dal discutere dei massimi sistemi, di capitalismo e comunismo, di politica o di filosofia e men che meno di religione. Tutti rottami che hanno iniziato ad arrugginire negli anni ’70, l’ultima grande esplosione di razionalità speculativa europea con i suoi ultimi filosofi francesi e tedeschi incomprensibili e disperati.

Poi tutto ha iniziato a spegnersi. In Italia –ma anche all’estero- vi sono delle ultime impennate, come nel caso Di Bella o dei vaccini. Ma sono gli ultimi fuochi, frutto di una residua abitudine a speculare, discutere, commentare, ragionare e sragionare spaccando il capello in quattro. Ormai, nel bene e nel male, si rimugina di meno, si discute di meno, si parla di meno, soprattutto di politica. Con questo declino della conversazione impegnata e politica, sia al bar che nel luogo di lavoro, declinerà anche la credulità e la paranoia, sorelle legate e figlie di un modo di pensare che sembra appartenere al passato. Almeno per ora.

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Giovanni Maria Ruggiero
Giovanni Maria Ruggiero

Direttore responsabile di State of Mind, Professore di Psicologia Culturale e Psicoterapia presso la Sigmund Freud University di Milano e Vienna, Direttore Ricerca Gruppo Studi Cognitivi

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