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Alessitimia: come si manifesta nell’adolescenza?

L'alessitimia è molto frequente tra gli adolescenti e si associa spesso ad esperienze traumatiche, dissociazioni o sintomi internalizzanti o esternalizzanti %%page%%

Di Grazia Artoni, Martina Atti, Enrica Giaroli, Susanna Paterlini

Pubblicato il 28 Ott. 2015

Aggiornato il 19 Lug. 2019 12:13

Grazia Artoni, Martina Atti, Enrica Giaroli e Susanna Paterlini, OPEN SCHOOL STUDI COGNITIVI MODENA

 

Nell’adolescenza, forse più che nelle altre fasi del ciclo di vita, la sfera emotiva gioca un ruolo fondamentale. L’ambivalenza emotiva degli adolescenti, inevitabile in un percorso di crescita in cui la personalità e l’identità non si sono ancora strutturate, si riflette in tutti gli aspetti del loro percorso evolutivo. Negli ultimi anni, la ricerca nell’ambito del modello della regolazione affettiva e dell’alessitimia ha evidenziato la presenza di tale dimensione anche tra gli adolescenti.

LEGGI ANCHE: (1) Introduzione – (2) L’alessitimia in età evolutiva

 

I lavori di ricerca tendono a confermare la relazione, ampiamente descritta in età adulta, tra alessitimia e sviluppo della psicopatologia anche nell’età evolutiva.
Mettendo a confronto due studi su adolescenti (Joukamaa et al., 2007; Säkkinen, Kaltiala-Heino, Ranta, Haataja, & Joukamaa, 2007) con due studi sulla popolazione anziana (Joukamaa, Saarijärvi, Muuriaisniemi & Salokangas, 1996; Gunzelmann, Kupfer & Brähler, 2002), la prevalenza dell’alessitimia si riscontra fra l’8% e il 16% negli adolescenti, mentre fra il 33% ed il 39% negli anziani. Onnis, Gentilezza, Granese & Ierace (2009), invece, riportano che gli adolescenti presentano livelli di alessitimia superiori rispetto agli adulti. Quindi, vi è discordanza riguardo la percentuale di incidenza di questo costrutto in adolescenza.

Alcuni studi mostrano una relazione tra alessitimia e sintomi fisici in bambini e adolescenti della popolazione generale (Ebeling, Moilane, Linna & Räsänen, 2001; Rieffe, Meerum Terwogt, & Bosch, 2004; Rieffe, Oosterveld & Meerum Terwogt, 2006; Rieffe et al., 2010; Allen, Lu, Tsao, Hayes & Zeltzer, 2011), mentre altri lavori riscontrano alti punteggi di alessitimia in bambini e adolescenti con specifiche patologie fisiche (ad es. disturbi ematici: Fukunishi, Yoshida & Wogan, 1998; diabete: Koski, Holmberg & Torvinen, 1988; mal di testa cronico: Gatta et al., 2011; cancro: Mishra, Maudgal, Theunissen & Rieffe, 2012).

Alcuni lavori evidenziano negli adolescenti un rapporto tra l’alessitimia e la presenza di sintomi internalizzanti, quali ansia, depressione, sintomi somatici e ipercontrollo (Honkalampi et al., 2009; Rieffe et al., 2010; Di Trani et al., 2013) ed esternalizzanti, quali difficoltà di controllo degli impulsi con condotta aggressiva anche di tipo sessuale (Moriarty, Stough, Tidmarsh, Eger & Dennison, 2001).

Circa la valutazione delle competenze emotive in campioni clinici, rispetto a gruppi di controllo sani, si riscontrano alti livelli di alessitimia in bambini/adolescenti con diversi disturbi del comportamento alimentare (Greenberg, 1999; Merino, Godès & Pombo, 2002; Zonnevylle-Bender, van Goozen, Cohen-Kettenis, van Elburg & van Engeland, 2004). D’altra parte, in altri studi su campioni non clinici, emerge che rispetto ai problemi del comportamento alimentare vi sono relazioni tra alessitimia e body checking (Carano et al., 2006).

E’ molto stretta anche l’associazione tra alessitimia e numerosi disturbi caratterizzati da una condizione di dipendenza, che può manifestarsi nei confronti di una sostanza chimica (dipendenza da alcol e disturbo da uso di sostanze) come nel caso della dipendenza da cannabis (Dorard, Berthoz, Phan, Corcos & Bungener, 2008), ma anche nei confronti di particolari comportamenti, per lo più leciti e socialmente accettati (dipendenze comportamentali). La dipendenza patologica rappresenta una condizione o una serie di condizioni dettate dall’incapacità di riconoscere vissuti emotivi, i quali, vengono “attutiti” appunto mediante l’uso di sostanze o il ricorso a particolari comportamenti (Martinotti, Hatzigiakoumis & Janiri, 2010).
Da uno studio condotto da Parker, Wood, Bond & Shaughnessy (2005) su studenti liceali canadesi, si deduce che una combinazione di alessitimia, esperienze dissociative, bassa autostima e discontrollo degli impulsi può costituire un fattore di rischio per lo sviluppo di internet addiction legato al gioco patologico, almeno in un campione non clinico.

Alti livelli di alessitimia, inoltre, vengono evidenziati in soggetti con disturbo post traumatico da stress (Ledouc, 2002) e in soggetti che hanno subito abusi e maltrattamenti (Paivio & McCulloch, 2004). Studi su questi ultimi, infatti, mettono in luce il ruolo dell’alessitimia come mediatore tra maltrattamento infantile e autolesionismo in un campione di ragazze adolescenti. Da tale studio (Paivio & McCulloch, 2004) emerge che l’alessitimia può essere intesa come un meccanismo di coping, in particolare un evitamento cognitivo delle emozioni associate all’abuso. I risultati sembrano a favore di un modello causale in cui il deficit di consapevolezza ed espressione delle emozioni favorisce il legame tra una storia di maltrattamento infantile e le successive condotte autolesive. Infatti, le difficoltà emotive che incontrano gli adolescenti vengono spesso vissute con un’enfasi sul corpo indicando la complessità nell’entrare in contatto con le proprie emozioni, a livello tanto corporeo quanto psicologico. I comportamenti autolesionistici sono caratterizzati dall’intenzionalità di farsi del male, sia in senso fisico che psicologico e a volte si associano a intenzioni suicidarie. Studi su popolazioni cliniche di adolescenti nelle comunità terapeutiche (Marchetti & Cavalli, 2013) rilevano una prevalenza del fenomeno quasi doppia rispetto alla popolazione generale. Si parla, in questi casi, di un deficit nella competenza emotiva: non solo chi compie atti autolesivi vive molte emozioni negative, che fatica a regolare, ma presenta anche difficoltà nell’esperienza, nella consapevolezza e nell’espressione delle emozioni. Gli studi sugli adolescenti relativi a questo ambito sottolineano la presenza di isolamento emotivo e l’incapacità di comunicare le proprie emozioni, aspetti del costrutto dell’alessitimia.

Una forma diversa di abuso connesso all’autolesionismo viene indagata da Garisch e Wilson (2010) in studenti di scuola superiore, mostrando come l’alessitimia sia un mediatore importante tra l’essere vittima di bullismo e le condotte autolesive. Secondo gli autori l’alessitimia contribuirebbe a isolare le vittime di bullismo dalle reti sociali positive e ostacolerebbe il coping relativo alle conseguenze emotive degli stress sociali. Questo legame tra alessitimia e autolesionismo è ulteriormente rafforzato dalla presenza di eventuali stati depressivi nell’adolescente.

Studi sulla popolazione generale riscontrano una relazione anche tra alessitimia e sintomi dissociativi (Sayar & Kose, 2003; Sayar, Kose, Grabe & Topbas, 2005), che può essere spiegata dalla funzione svolta dai processi dissociativi nel gestire gli stati emotivi attraverso l’alterazione dello stato di coscienza. Già vent’anni fa, infatti, sono stati confrontati i punteggi ottenuti a due test, la TAS-20 e la DES (Dissociative Experiences Scale, forma A; Armstrong, Putnam, Carlson, Libero & Smith, 1997), da un gruppo di adolescenti di una casa alloggio della Sicilia, con un gruppo di controllo appartenente alla popolazione generale. I risultati hanno evidenziato correlazioni positive tra i punteggi dei test utilizzati e punteggi più elevati sono stati rilevati nel gruppo clinico. Questa differenza è in relazione con le esperienze traumatiche che gli adolescenti hanno sperimentato fin dalla prima infanzia.
In una ricerca recente (Tolmunen et al., 2008) viene indagata la relazione tra dissociazione e alessitimia in un ampio campione di adolescenti appartenenti alla popolazione generale della Finlandia. I risultati sottolineano che i fenomeni dissociativi, oltre che essere correlati con diversi indici di psicopatologia, sono significativamente associati con le caratteristiche alessitimiche. Questi risultati sono a sostegno dell’ipotesi che l’alessitimia e la dissociazione, pur costituendo fenomeni distinti, presentano alcuni aspetti comuni e di sovrapposizione.

Queste ricerche sottolineano e confermano l’importanza delle emozioni nello strutturare le rappresentazioni interne di sé e delle interazioni (Emde, 1999), avendo questi effetti di integrazione, organizzazione, sostegno allo sviluppo, soprattutto nella fase adolescenziale. [blockquote style=”1″]Le emozioni rappresentano una “fonte di informazione” sulla propria identità, sui propri bisogni personali e sulle azioni necessarie a soddisfare tali bisogni[/blockquote] (Dafter, 1996).

Quali strumenti utilizzare per misurare l’alessitimia in adolescenza?

Attualmente gli strumenti esistenti in questo campo sono davvero pochi e la ricerca, nonostante la possibile rilevanza clinica delle osservazioni, appare ancora ad uno stadio iniziale.

Gli strumenti per la misurazione dell’alessitimia in adolescenza sono l’Alexithymia Questionnaire for Children (AQC) (vedasi sopra), che comprende una fascia di età fino ai 14 anni. L’AQC è, però, uno strumento per l’età evolutiva che comprende anche l’adolescenza e non è specifico solamente per questa fase evolutiva. Altro strumento è la Scala Alessitimica Romana (SAR) che può essere utilizzata anche dagli operatori non psicologi (insegnanti, pedagogisti, operatori sociali) e somministrata a partire dai 15 anni di età. Altro strumento è il Multidimensional Alexithymia Questionnaire (MAQ) (Catalano, Blandi, & Miragliotta, 2007) utilizzato dai 16 anni in poi.

Vi sono, inoltre, studi che stanno andando verso la validazione della TAS-20 anche per adolescenti.
Säkkinen, Kaltiala-Heino, Ranta, Haataja, & Joukamaa (2007) valutano la struttura fattoriale della TAS-20 in 882 adolescenti Finlandesi dai 12 ai 17 anni, riscontrando che la migliore soluzione fattoriale era quella a tre fattori tipica degli adulti (Difficoltà a Identificare i Sentimenti, DIS; Difficoltà a Descrivere i Sentimenti, DDS; Pensiero Orientato all’Esterno, POE). Anche Zimmermann e al. (2007) confermano la struttura a tre fattori della TAS-20 in 264 adolescenti francesi dai 14 ai 19 anni, riscontrando però gli stessi problemi di attendibilità evidenziati da Säkkinen et al. (2007). Parker, Eastabrook, Keefer & Wood (2010) effettuano delle analisi fattoriali confermative, per verificare la struttura a 3 fattori, su 734 adolescenti dai 13 ai 18 anni, ma dividendo il campione per fasce di età (13-14 anni prima adolescenza, 15-16 media adolescenza, 17-18 tarda adolescenza) e confrontandolo con un gruppo di 267 giovani adulti dai 19 ai 21 anni. Come previsto, la struttura fattoriale è risultata essere stabile, con differenze tra le varie fasce di età.

In Italia un primo passo verso la validazione della TAS-20 su popolazione adolescenziale è stato effettuato da La Ferlita, Bonadies, Solano, De Gennaro & Gonini (2007), con uno studio di tipo esplorativo effettuato su 360 studenti con un’età media di 16,13 anni, che ha mostrato una struttura fattoriale diversa da quella degli adulti. Sono stati infatti estratti 4 fattori, di cui i primi due (Difficoltà a Identificare e Difficoltà a Descrivere i Sentimenti) corrispondono quasi completamente a quelli degli adulti, mentre il terzo fattore originale è risultato scomposto in due fattori, denominati rispettivamente “Difficoltà nel Contatto e nell’Utilizzo delle Emozioni” e “Pensiero Orientato all’Esterno”.

E’ plausibile, quindi, se si considera l’aspetto evolutivo della competenza emotiva nei bambini e negli adolescenti, che le difficoltà emotive in queste fasce di età possano assumere caratteristiche espressive diverse dall’età adulta. Inoltre, avere la possibilità di evidenziare nuove dimensioni, permette di ottenere una misura più precisa e specifica delle abilità emotive, ma apre a ulteriori prospettive di ricerca.

Esiste un trattamento per gli adolescenti?

La letteratura sembra indirizzare verso terapie di supporto, terapie a orientamento cognitivo o a forme modificate di terapia psicodinamica (Cantelmi & Sarto, 1999; Taylor, Bagby & Parker, 1997).
Particolarmente nelle prime fasi della terapia, deve essere dato molto spazio all’educazione emotiva, così che gli adolescenti imparino in modo graduale a sostituire le parole (che descrivono i loro stati interni) alle azioni disadattive, come l’ingestione di una droga o di cibo, o ai sintomi fisici.

L’adolescente impara, così, a differenziare le proprie emozioni e ad esternarle per mezzo del linguaggio, comincia a conoscere e “mentalizzare” il proprio mondo interno, a dare senso alla propria storia, ad integrare le esperienze vissute in un quadro significativo. Per incrementare la consapevolezza delle proprie sensazioni corporee e del legame tra queste ultime, gli eventi ambientali e le proprie capacità di autoregolazione, si possono utilizzare anche tecniche di rilassamento, il training autogeno e il biofeedback (Cantelmi & Sarto, 1999).

L’alessitimia nell’adolescenza va considerata, dunque, come possibile fattore predisponente ad una psicopatologia adolescenziale o adulta, come mediatore degli effetti di situazioni traumatiche o comunque svantaggiate, ma anche e soprattutto come indice evolutivo di sviluppo della capacità di regolazione affettiva (La Ferlita et al., 2007).

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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