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Burnout e insegnamento: come combattere lo stress dell’insegnante

Il burnout indica una condizione di stress lavorativo protratto e intenso che determina un logorio psicofisico, associato a demotivazione e disinteresse.

Di Angela Ganci

Pubblicato il 06 Mag. 2015

Burnout: definizione e caratteristiche

Con il termine burnout (in inglese bruciato, fuso) si indica una condizione di stress lavorativo protratto e intenso che determina un logorio psicofisico ed emotivo, cui seguono demotivazione, svuotamento interiore, disinteresse e senso di inefficacia per l’attività lavorativa (con riduzione della produttività).

Particolarmente diffusa nelle professioni sanitarie ed educative (infermieri, medici, insegnanti), presenta numeri preoccupanti nel nostro Paese. Una ricerca condotta dal Comune di Milano per i casi di inabilità al lavoro, nel periodo 1992/2001, ha mostrato che, su oltre 3000 persone, le più colpite sono le insegnanti, con una frequenza doppia di patologia psichiatrica rispetto ad altre categorie (Lodolo D’Oria, e coll., 2002).

I tipici sintomi del burnout interessano diversi livelli, da quello cognitivo a quello fisiologico.
Sintomi cognitivo/emotivi. Scoraggiamento, difficoltà di concentrazione, incubi notturni, irritabilità, sensi di colpa e fallimento (sia nella sfera professionale che privata), distacco emotivo (indifferenza verso gli utenti), cinismo, trascuratezza degli affetti e delle relazioni, iperinvestimento sul lavoro, che diventa il centro della propria vita, anche a dispetto dell’esaurimento delle energie. Esempi di distacco psicoemotivo in ambito scolastico riguardano l’adozione di forme d’insegnamento esclusivamente tradizionali, l’applicazione non flessibile della programmazione, l’attribuzione del fallimento scolastico dell’alunno al suo scarso impegno, a modeste capacità intellettive o alla famiglia e al ceto sociale di appartenenza, e l’abbandono di strategie didattiche quali il recupero individualizzato.
Sintomi comportamentali. Assenteismo, mancanza di iniziativa, aggressività verso gli utenti, aumento dei comportamenti di dipendenza (caffè, fumo o farmaci, con il serio pericolo di sviluppare malattie psichiatriche, come depressioni gravi).
Sintomi fisici. Disturbi intestinali (gastrite, stitichezza), senso di debolezza, emicrania, allergie e asma, insonnia, inappetenza. 
Chi soffre di burnout vuole dimostrare le proprie capacità a tutti i costi, ma nutre profonda sfiducia in se stesso, e spesso non si rende conto che il logoramento di cui è vittima gli imporrebbe di riposarsi e pensare al proprio benessere.

 

Fattori di rischio e fattori protettivi nel burnout

Recentemente, l’Inail – Dipartimento di medicina del lavoro – ha pubblicato una scheda su Burnout e insegnamento dove vengono affrontate le tematiche inerenti ai fattori di rischio e alle strategie per contrastare il burnout a scuola.
Fattori di rischio. Tra i fattori predisponenti a carattere individuale troviamo un’eccessiva dedizione al sacrificio, il bisogno di affermazione attraverso il lavoro (a discapito della vita privata), problematiche familiari o relazionali e la scarsa tolleranza dello stress. Esistono molteplici cause di carattere organizzativo, come le condizioni di lavoro (classi numerose, carenza di attrezzature), l’organizzazione scolastica (eccessive pratiche burocratiche, carenza di percorsi di aggiornamento significativi) e le “politiche” scolastiche (limitata possibilità di carriera, retribuzione insoddisfacente, precarietà e mobilità).
Fattori protettivi. All’interno della gamma degli “ammortizzatori” del burnout si possono citare le relazioni familiari solide e che offrono una rete di sostegno emotivo adeguata, il genere (le donne possiedono maggiori risorse emotive) e l’età di servizio (gli anziani hanno più esperienza lavorativa e strumenti per affrontare situazioni stressogene). Altre condizioni favorenti sono il supporto di colleghi e il livello di autoefficacia percepita, attraverso il riconoscimento del proprio lavoro da parte di superiori e utenti.

 

Burnout: Trattamento e strategie didattico-organizzative 

La terapia cognitivo-comportamentale per il burnout

Nell’ ottica cognitivo-comportamentale, i pensieri che assorbono la vittima di burnout ruotano intorno a due convinzioni “l’utente è ingrato, insensibile ai miei sforzi di aiutarlo”, ma anche “sono abbandonato dall’azienda, non riconoscono i miei sforzi, e quindi mi sento inutile”.
Questo atteggiamento mentale determina risposte emotive e comportamentali di aggressività, che si alternano a disperazione e inutilità, “non riesco a raggiungere i miei obiettivi, devo impegnarmi di più”. L’obiettivo del trattamento è cambiare questo modo di pensare per ridurre l’intensità delle emozioni negative (e della conseguente tensione corporea) e creare un clima sereno e produttivo all’interno dell’ambiente lavorativo.

Una pratica ampiamente usata per contrastare gli effetti di pensieri ed emozioni frustranti è la Mindfulness, tecnica meditativa che si fonda sulla presa di coscienza (consapevolezza) delle sensazioni presenti che vengono accettate, senza giudizio, senza valutazioni, nel loro “naturale fluire” (Harris, 2009). Si impara a vivere nel presente, senza colpevolizzarsi per il passato né temendo il futuro, con benefici su molti disturbi emotivi e fisici, tipici del burnout (disturbi del sonno, cefalee, dolori muscolari, ansie, depressioni, paura del fallimento) (Gilbert, 2005).

Per migliorare i rapporti con colleghi, superiori e allievi a scuola, è utile apprendere tecniche di assertività, abilità che serve a contrastare sia la tendenza alla passività “non sono in grado di aiutare nessuno” sia cinismo e aggressività, apprendendo a rispondere a richieste eccessive con chiarezza, calma e salvaguardando il rapporto di fiducia con l’utenza e l’immagine lavorativa.

Fulcro della terapia è la ristrutturazione cognitiva dei pensieri depressivi del tipo “l’alunno non apprende, sono un incompetente” con pensieri più razionali e positivi sul tono dell’umore come “farò del mio meglio con i mezzi a mia disposizione”. La collaborazione con i colleghi è poi fondamentale per sfogare le proprie frustrazioni e preoccupazioni e diminuire il peso delle responsabilità. A questo fine il supporto dato da gruppi di sostegno con altre persone che vivono la stessa condizione di logoramento, e la vicinanza dei familiari, evitano il sovraccarico di ansie e tiene lontani da comportamenti dannosi per sé e gli altri.

Mettere in primo piano i propri bisogni (coltivando hobby e interessi o riprendendo i contatti sociali che si erano persi concentrandosi troppo sul lavoro), servirà a non logorare le energie indispensabili per curare le persone che chiedono a loro volta aiuto.

Ad oggi sul burnout è possibile intervenire con ottimi risultati, ma è necessario rendersi conto che continuare a negare le proprie necessità primarie (riposo, svago, tranquillità) porta solo all’autodistruzione e che si ha urgente bisogno di aiuto per cambiare stile di vita e far riemergere il rispetto per sé, l’ottimismo, la gioia di vivere.
Uscire dal burnout è possibile, quindi, attraverso il controllo sulle proprie priorità di vita, sulle proprie emozioni e l’impegno per la riorganizzazione di un ambiente di lavoro in cui siano chiari ruoli, compiti da svolgere, aspettative realistiche di miglioramento delle difficoltà degli utenti, così da non superare i limiti personali ed esaurire le proprie energie interiori.

 

Prevenzione del burnout: Strategie professionali

Tra le strategie personali/professionali suggerite nel documento INAIL (Petyx, S. e coll., 2012) e che ogni insegnante può adottare troviamo:
– Considerare gli insuccessi lavorativi come momenti transitori e costruttivi.
– Creare una rete sociale all’ interno della scuola per migliorare la comunicazione all’ interno del contesto lavorativo.
– Individuare fonti di soddisfazioni e gratificazioni anche esterne al contesto lavorativo.
– Formulare al dirigente proposte per ottimizzare alcuni aspetti critici a livello organizzativo, insieme ad altri colleghi che sperimentano le stesse difficoltà.

Compiti dell’organizzazione scolastica

Secondo l’art. 6 dell’Accordo Europeo sullo stress lavoro-correlato dell’8 ottobre 2004, spetta al datore di lavoro stabilire misure adeguate per la prevenzione e la riduzione dello stress, e attuarle con la partecipazione dei lavoratori e/o dei loro rappresentanti, lungo tre direzioni:
1. Area gestione e comunicazione. Assicurare ascolto (valorizzare proposte, risorse umane e professionali) e sostegno (incoraggiamento a manifestare il disagio legato a fattori organizzativi, senza colpevolizzare l’insegnante), una maggiore flessibilità nell’applicazione di norme.
2. Area formazione. Stimolare la consapevolezza degli insegnanti rispetto ai motivi scatenanti dello stress, aiutarli a comprenderne le cause (screening dei vari fattori probabili) e il modo in cui affrontarlo (tecniche di gestione dello stress).
3. Informazione e consultazione dei lavoratori. Sottolineare le effettive risorse dell’organizzazione scolastica, coinvolgere i docenti nelle decisioni (gestire le criticità in team).

 

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Angela Ganci
Angela Ganci

Psicologia & Psicoterapeuta, Ricercatrice, Giornalista Pubblicista.

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