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Dibattito cognitivo-comportamentale: ancora su processi, scopi e credenze

Psicoterapia Il dibattito cognitivista rispecchia le evoluzioni del paradigma cognitivo comportamentale e il passaggio dal modello standard ai successivi...

Di Giovanni Maria Ruggiero

Pubblicato il 18 Mar. 2015

In questi giorni il dibattito scientifico sulla nostra State of Mind è vivace, rendendo la nostra rivista online un luogo di confronto stimolante. Il dibattito rispecchia le recenti evoluzioni del paradigma cognitivo comportamentale e il difficile passaggio dal modello standard a quelli successivi.

 Semplificando, e come ho già scritto in un articolo precedente il modello standard di Aaron T. Beck (1964) riduce la sofferenza emotiva a errori di valutazione della realtà che riducono il paziente a una sorta di idiota che vede pericoli e disgrazie inesistenti. Mi rendo conto che questa è una versione caricaturale che non rende pieno merito a Beck. Quali che siano i limiti del modello di Beck, non si può negare che abbia aperto una strada.

Nell’articolo sull’apologo scientifico di Tycho Brahe, ho anche accennato a come anche nel modello geocentrico galileiano ci fossero dei buchi, destinati a essere sanati solo in seguito da Newton e da Foucalt (quello del pendolo). Questo non toglie a Galileo i suoi meriti storici.

Un modello può essere imperfetto eppure additare la giusta direzione, vale per Beck come valeva per Galileo.

Se però Beck ha i suoi meriti storici, è anche vero che il suo modello offre il fianco alla critica. Il suo razionalismo ingenuo applica all’uomo troppo pedissequamente la metafora mente –computer, riducendo l’attività mentale alla corretta applicazione di algoritmi di valutazione del grado di negatività delle situazioni. Gli sviluppi successivi del modello cognitivo-comportamentale vedono uno sviluppo sia in termini evolutivi (gli errori cognitivi sono radicati nella storia di vita), costruttivisti (la valutazione della realtà non corrisponde a un modello di razionalità astratta e universale), metacognitivi (l’attività mentale avviene per livelli successivi di valutazione auto-riflessiva della mente sui suoi stessi stati) e scopistico/esistenziali (l’attività mentale non è solo analisi delle situazioni ma costruzione di scopi e motivazioni).

È proprio su questo aspetto che Francesco Mancini (link) rivendica la sua originalità rispetto a Beck, sottolineando il suo antico interesse, condiviso con Cristiano Castelfranchi, per gli scopi individuali, trascurati da Beck a favore delle sole credenze. Questo ha portato Mancini a elaborare una forma di cognitivismo esistenziale che integra aspetti razionalistici e costruttivistici (Paciolla e Mancini, 2010).

Insomma, è semplicistico appiattire Mancini sul modello razionalistico. È però altrettanto giusto che poi a sua volta Giancarlo Dimaggio (link) rivendichi a sua volta la presenza di aspetti motivazionali e scopistici sia nel suo modello interpersonale-metacognitivo che in altri modelli metacognitivi, come quelli di Fonagy e di Wells e rimproveri a Mancini di avere appiattito i modelli più recenti cosiddetti di terza ondata a semplici innovazioni tecniche senza sostanza teorica. La risposta di Dimaggio è quindi del tipo: anche noi metacognitivisti sappiamo concepire un modello motivazionale e scopistico della mente umana e anche Mancini tende a semplificare le posizioni altrui.

Forse però è possibile anche un’altra risposta. Ricordiamo che la base di partenza del dibattito era il timore, espresso da Mancini (link), che i più recenti modelli cognitivo-comportamentali di tipo funzionalistico e processuale finiscano per minare la fiducia nella possibilità del cambiamento in psicoterapia a favore della sola terapia farmacologica. Questo non ci pare vero, le teorie processuali non riducono l’uomo a un robot sul quale si può intervenire solo a livello materiale, ovvero chimicamente con i farmaci.

Il nocciolo del processualismo è la critica della psicopatologia delle credenze e la sua sostituzione con una psicopatologia delle funzioni. Su questo si può riflettere in maniera, speriamo, non semplificatrice.

È in preparazione un contributo a questo dibattito di Sandra Sassaroli e i suoi collaboratori su questo tema. Rimanete in linea.

 

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Giovanni Maria Ruggiero
Giovanni Maria Ruggiero

Direttore responsabile di State of Mind, Professore di Psicologia Culturale e Psicoterapia presso la Sigmund Freud University di Milano e Vienna, Direttore Ricerca Gruppo Studi Cognitivi

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