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La follia d’amore in Lucia di Lammermoor, l’opera lirica di Gaetano Donizetti – Psicologia a Teatro

Un amore femminile capace di deformare la realtà in modo delirante: La lirica di Donizetti ci racconta perchè l'Amore non può stare senza Follia

Di Brunella Coratti

Pubblicato il 20 Mag. 2014

 

 

Lucia dilammermoor di Gaetano Donizetti

La follia d’amore priva gli esseri umani del più elementare buon senso… eppure nessun clinico moderno si azzarderebbe a fare una diagnosi del genere, applicandola come entità clinica a sè stante, preferendo altrimenti trattarla come depressione, ansia o disturbo delirante. In fondo anche l’innamoramento cos’altro è se non un episodio psicotico acuto a carattere schizoaffettivo, a remissione spontanea e tuttavia recidivante?

Si manifesta con dei sintomi veri e propri, quasi sempre di tipo somatico, accompagnati da variazioni dell’umore e più o meno seri disturbi del pensiero che, da ossessivo, può arrivare perfino a piegare, a deformare la realtà in modo delirante.

Nel Medioevo in molti credevano che fosse una malattia mortale, perfino nell’antichità era conosciuta e temuta. Il mito ci racconta una storia, troppo lunga per essere riportata in questa sede, sui motivi per cui Amore non potè stare senza Follia.

Ricerche neurobiologiche anche recenti affermano che, quando si ama, cambiano la quantità e la qualità di alcuni neurotrasmettitori del cervello.

Ha suggestionato ed ispirato tutte le arti, contribuendo a realizzare le più commoventi opere.

Ha riempito i manicomi in anni in cui si veniva rinchiusi anche per futili motivi.

La follia d’amore priva gli esseri umani del più elementare buon senso… eppure nessun clinico moderno si azzarderebbe a fare una diagnosi del genere, applicandola come entità clinica a sè stante, preferendo altrimenti trattarla come depressione, ansia o disturbo delirante.

In fondo anche l’innamoramento cos’altro è se non un episodio psicotico acuto a carattere schizoaffettivo, a remissione spontanea e tuttavia recidivante?

( Il ricercatore che ne troverà la cura risparmierà tante sofferenze al genere umano)

Gaetano Donizetti scrisse Lucia di Lammermoor, la più celebre pazza della storia della musica lirica nel 1835, su libretto di Salvatore Cammarano tratto da un romanzo dell’ allora assai celebre scrittore inglese Walter Scott.

Siamo in Scozia, sul finire del 1500, nel contesto delle violente lotte tra cattolici e protestanti.

Edgardo è l’ultimo erede dell’aristocratica famiglia di Ravenswood, da sempre in lotta con l’altrettanto nobile, ma ormai impoverita, famiglia di Ashton composta da Enrico e Lucia.

Nonostante l’odio antico che separa le due famiglie, Edgardo e Lucia si amano segretamente e appassionatamente.

Enrico, molto in collera con la sorella dopo la scoperta di questo amore illecito, cerca di convincerla in tutti i modi possibili, subdola persuasione, inganni, fino a vere e proprie minacce, a sposare un nobile ricco e potente che potrà salvarli dalla rovina.

Lucia, docile, già molto fragile per il recente lutto della madre e piena di dubbi sulla fedeltà di Edgardo che, nel frattempo, è dovuto partire, si sente costretta ad accettare questo matrimonio.

Ma, durante le nozze, Edgardo ritorna e, furibondo, maledice la donna che ama e giura vendetta.

Lucia è sopraffatta, attonita, spaventata, talmente confusa da non riuscire a spiegarsi, a giustificare nè a sè, nè all’amato, cosa sia successo. E’ in questa mancanza di senso, nel non essere compresa dal suo Edgardo e non solo nella possibile perdita, che germoglia il delirio.

Impazzisce e uccide l’ uomo che ha appena sposato.

Non è più in sè, vaneggia, oscillando tra la convinzione che finalmente può sposare Edgardo e l’allucinazione del fantasma che è arrivato a separarli definitivamente.

Infine, muore di dolore.

Edgardo, cui finalmente viene rivelata la storia, incapace di vivere senza Lucia si uccide pugnalandosi.

La storia è questa, simile ad altre storie, anche più celebri, d’amore infelice, dove ricorre sempre il conflitto tra il singolo individuo e la famiglia, come per una fallita individuazione in senso junghiano: i parenti si mettono in mezzo.

L’atmosfera è cupa, la musica sottolinea costantemente l’ineluttabilità di un destino cui nessuno può sottrarsi, dove si è costretti a giocare la partita secondo ruoli che non lasciano speranza.

Questa famiglia è psicotica, pensa il clinico, il comando di fedeltà al modello familiare è talmente totalitario e acritico da non lasciare spazio al desiderio personale, “dobbiamo essere così perché è stato detto che deve essere così, anche se non ne conosciamo più i motivi o essi stessi sono diventati anacronistici”, con l’imposizione di un mondo di valori e di regole che non possono essere messe in discussione, al di fuori delle quali non c’è che la pazzia o la morte (i due grandi timori dei pazienti ansiosi), ovvero la perdità di sè.

C’è il totale pessimismo e l’impossibilità di pensare in modo creativo per uscire dalla strada tracciata, chissà quanto tempo prima, da chi si giurò odio per sempre.

Le famiglie trovano la loro identità nella reciproca contrapposizione per cui l’amore tra i due rappresenta una minaccia da eliminare ad ogni costo.

Su tutto aleggia una rigida fedeltà al copione e la colpa di non essere abbastanza conformi e schierati.

Un desiderio autonomo diventa alto tradimento e suscita terrore in chi l’ha solo immaginato.

Enrico rappresenta bene tutto questo: anche se a tratti ha dei dubbi sul sacrificio chiesto alla sorella, si giustifica (e giustifica la propria violenza) considerandolo un’azione morale, necessaria per recuperare la dignità della famiglia, bene superiore.

Forse è un po’ geloso del fatto che Lucia, pur se nei suoi modi sottomessi, stia cercando la libertà dai vincoli familiari e la realizzazione di un desiderio personale in contrasto con l’obbedienza cieca. La rabbia, rabbia invidiosa, lo spinge all’inganno, alle minacce; cerca di suscitare in lei, riuscendoci, il senso di colpa e la paura.

E Lucia?

Sin dalla Bibbia “lascerà il padre e la madre e i due saranno una carne sola” è l’amore e la sessualità che allontanano dalla famiglia d’origine per crearne una nuova (tranne che in alcuni pazienti psicotici). Lucia, dunque, racimolando il coraggio che le viene dalla passione, cerca di contrastare la sua sorte pur avendo il presentimento di una sciagura e sembra sapere, fin dall’inizio, che non ha speranza, in ciò intuendo la brutalità e la prepotenza del mito familiare.

Usa modi sottotono, cerca di suscitare compassione, si dibatte chiedendo pietà e non riesce veramente ad odiare questo fratello così poco comprensivo perché lei, invece, capisce che anche lui non ha alternative, entrambi vittime di un carnefice impersonale. Infine la resa, ma nello stesso momento in cui si arrende la realtà smette di essere tale e lei sprofonda nei suoi incubi.

E quando perfino l’uomo che ama non capisce ma la maledice, in questo manifestando la stessa poca fantasia del rivale, abbandona definitivamente la realtà e si sottrae, con la follia che la porterà a morire.

Ha appena ucciso l’incolpevole marito, i cortigiani stanno festeggiando le nozze e lei appare lugubre, sguardo fisso, sporca di sangue, assorta,”vede finalmente il suo matrimonio con Edgardo poi vede i fantasmi che lo impediranno, voce che rincorre altre voci, voce che racconta le allucinazioni, immagini contraddittorie ora di gioia ora di dolore e flauto che rinforza queste immagini rendendole ancora più vivide e ancora più inconciliabili.

Non può che rompersi, quel già precario equilibrio a malapena curato dai rari e piccoli momenti di speranza nel poter essere libera.

Che dolore, quell’alternarsi continuo e stremante di illusione e disillusione, tra il -forse ce la posso fare- e il -non c’è proprio niente da fare- che la musica rende ancora più drammatico, mentre l’ascoltatore partecipa, non ne può fare a meno, allo stesso movimento interiore della protagonista.

 

RIFERIMENTI:

 

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RUBRICA: PSICOLOGIA A TEATRO

AMORE E RELAZIONI SENTIMENTALI DELIRIOGELOSIA 

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